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Kiev, a Bakhmut i russi perdono un battaglione al giorno

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L’esercito ucraino si fa ancora forte dell’avanzata a Bakhmut, ma a un ritmo “più lento” rispetto ai giorni scorsi mentre continuano “le feroci battaglie” sulla città simbolo del fronte di Donetsk. La posta in gioco è una vittoria dall’enorme significato simbolico dopo mesi di sangue. Secondo il ministro della Difesa ucraino Oleksii Reznikov, i russi perdono un battaglione al giorno su quel fronte, e tra morti e feriti hanno già pagato la battaglia con 70mila soldati. Perché a Bakhmut le forze di Mosca “non possono vincere con la qualità, ma con la quantità” e per questa ragione hanno aumentato la presenza di truppe “di diverse migliaia di persone”, oltre a cercare “di sfruttare il suo vantaggio nell’artiglieria pesante e nel numero di proiettili”, ha spiegato la viceministra della Difesa Hanna Malyar. Le truppe russe “continuano ad attaccare a costo di pesanti perdite, che superano in modo sproporzionato le nostre”, è la lettura della funzionaria ucraina che racconta di edifici “ridotti in cenere” di cui rimangono solo “le fondamenta, impossibili da difendere”. In ogni caso, “il nemico non è in grado di riconquistare le posizioni perse”, secondo Malyar.

La situazione è infatti molto difficile “ma controllata”, ha spiegato Serhiy Cherevaty, portavoce del Gruppo orientale delle forze ucraine. “Possiamo vedere le intenzioni del nemico, prevederle, anticiparle. Si può dire che sì, prendiamo l’iniziativa e cerchiamo di contrattaccare”. La città resta quindi il fuoco dello scontro al fronte in Ucraina. Qui le forze di Kiev hanno messo a segno successi tatticamente significativi, ha evidenziato il think tank statunitense Isw. Ma non è solo sulle linee di scontro tra invasori e invasi che la guerra alza la sua voce: le città dell’Ucraina hanno infatti vissuto l’ennesima notte di raid aerei con la capitale Kiev “al suo decimo attacco aereo in 19 giorni a maggio”, ha sottolineato l’amministrazione militare della città riferendo di “diverse ondate” di droni, “tutti distrutti”.

Gli Uav di Mosca sono arrivati a minacciare l’ovest, con attacchi a Rivne e anche a Leopoli, dove le esplosioni dell’antiaerea hanno risuonato nella notte costringendo i cittadini a restare svegli e nei rifugi. Dopo un inverno passato ad attaccare le infrastrutture energetiche, la nuova strategia di Mosca è ormai chiara: puntare ai sistemi di difesa aerea, ai centri di comando, alle vie di rifornimento, si magazzini di munizioni, alle aree di stoccaggio del carburante e quelle di concentrazione delle truppe. Tutto per “interrompere i nostri piani e preparativi per le azioni attive durante la campagna della primavera-estate”, ha spiegato Vadim Skibitsky, vice capo della direzione principale dell’intelligence del ministero della Difesa ucraino. Secondo il funzionario degli 007, da questi raid è chiaro che nonostante le sanzioni, la Russia riesce ancora ad importare componenti che le consentono di produrre ogni mese due missili ipersonici Kinzhal, 25 missili da crociera Kalibr, 35 missili da crociera X-101 e cinque missili balistici Iskander.

I frammenti recuperati dopo i bombardamenti russi indicano infatti che i missili degli ultimi attacchi sono stati prodotti nel primo trimestre del 2023. Alla notte di attacchi russi, l’Ucraina ha risposto ancora una volta con una vendetta sulla Crimea, dove secondo il canale Telegram russo Baza, un drone ha colpito la ferrovia tranciando i fili vicino alla stazione di Salty Ozero, nel distretto di Dzhankoyskiy, senza causare vittime o danni. Il governatore della regione russa di Kursk ha poi denunciato che “il distretto di Korenevsky è stato bombardato dalle forze armate ucraine” provocando danni. Ma nonostante gli attacchi – non esplicitamente rivendicati da Kiev – la Russia non molla nella sua “operazione militare speciale”. E lancia l’ennesimo messaggio che i territori occupati sono Russia, con la visita del ministro della Difesa russo Serghei Shoigu alle truppe del fronte di Zaporizhzhia, indicato da molti osservatori militari come potenziale campo di battaglia primario nella controffensiva ucraina.

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La trumpiana Greene lavorerà con Musk e Ramaswamy a taglio costi

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La trumpiana di ferro Marjorie Taylor Greene collaborerà con Elon Musk e Vivek Ramaswamy come presidente di una commissione della Camera incaricata di lavorare con il Dipartimento dell’efficienza. “Sono contenta di presiedere questa nuova commissione che lavorerà mano nella mano con il presidente Trump, Musk, Ramaswamy e l’intera squadra del Doge”, acronimo del Department of Government Efficiency, ha detto Greene, spiegando che la commissione si occuperà dei licenziamenti dei “burocrati” del governo e sarà trasparente con le sue audizioni. “Nessun tema sarà fuori dalla discussione”, ha messo in evidenza Greene.

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Pam Bondi, fedelissima di Trump a ministero Giustizia

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Donald Trump nomina la fedelissima Pam Bondi a ministra della Giustizia. L’ex procuratrice della Florida ha collaborato con il presidente eletto durante il suo primo impeachment. “Come prima procuratrice della Florida si è battuta per fermare il traffico di droga e ridurre il numero delle vittime causate dalle overdosi di fentanyl. Ha fatto un lavoro incredibile”, afferma Trump sul suo social Truth annunciando la nomina, avvenuta dopo il ritito di Matt Gaetz travolto da scandali a sfondo sessuale. “Per troppo tempo il Dipartimento di Giustizia è stato usato contro di me e altri repubblicani. Ma non più. Pam lo riporterà al suo principio di combattere il crimine e rendere l’America sicura.

E’ intelligente e tosta, è una combattente per l’America First e farà un lavoro fantastico”, ha aggiunto il presidente-eletto. Bondi è stata procuratrice della Florida fra il 2011 e il 2019, quando era governatore Rick Scott. Al momento presiede il Center for Litigation all’America First Policy Institute, un think tank di destra che sta lavorando con il transition team di Trump sull’agenda amministrativa. Come procuratrice della Florida si è attirata l’attenzione nazionale per i suoi tentativi di capovolgere l’Obamacare, ma anche per la decisione di condurre un programma su Fox mentre era ancora in carica e quella di chiedere al governatore Scott di posticipare un’esecuzione per un conflitto con un evento di raccolta fondi.

La nomina di Bondi arriva a sei ore di distanza dal ritiro di Gaetz dalla corsa a ministro della Giustizia dopo le nuove rivelazioni sullo scandalo sessuale che lo ha travolto. Prima dell’annuncio, l’ex deputato della Florida era stato contattato da Trump che gli aveva riferito che la sua candidatura non aveva i voti necessari per essere confermata in Seanto. Almeno quattro senatori repubblicani, infatti, si era espressi contro e si erano mostrati irremovibili a cambiare posizione. Il nome di Bondi, riporta Cnn, era già nell’iniziale lista dei papabili ministro alla giustizia stilata prima di scegliere Gaetz. Quando l’ex deputato ha annunciato il suo passo indietro, il nome di Bondi è iniziato a circolare con insistenza fino all’annuncio.

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Da Putin a Gheddafi, i leader nel mirino dell’Aja

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Con il mandato d’arresto spiccato contro il premier israeliano Benyamin Netanyahu, insieme all’ex ministro della Difesa Yoav Gallant, si allunga la lista dei capi di Stato e di governo perseguiti dalla Corte penale internazionale con le accuse di crimini di guerra e crimini contro l’umanità. Da Muammar Gheddafi a Omar al Bashir, e più recentemente Vladimir Putin. Ultimo in ordine di tempo era stato appunto il presidente russo, accusato nel marzo del 2023 di “deportazione illegale” di bambini dalle zone occupate dell’Ucraina alla Russia, insieme a Maria Alekseyevna Lvova-Belova, commissaria per i diritti dei bambini del Cremlino.

Sempre a causa dell’invasione dell’Ucraina nel mirino della Corte sono finiti in otto alti gradi russi, tra cui l’ex ministro della Difesa Sergei Shoigu e l’attuale capo di stato maggiore Valery Gerasimov: considerati entrambi possibili responsabili dei ripetuti attacchi alle infrastrutture energetiche ucraine. Prima di Putin, nel 2011 l’Aja accusò di crimini contro l’umanità Muammar Gheddafi, ma il caso decadde con la morte del rais libico nel novembre dello stesso anno.

Un simile provvedimento fu emesso per il figlio Seif al Islam e per il capo dei servizi segreti Abdellah Senussi. Tra gli altri leader di spicco perseguiti, l’ex presidente sudanese Omar al Bashir: nel 2008 il procuratore capo della Corte Luis Moreno Ocampo lo accusò di essere responsabile di genocidio e crimini contro l’umanità e della guerra in Darfur cominciata nel 2003. Anche Laurent Gbagbo, ex presidente della Costa d’Avorio, è finito all’Aja, ma dopo un processo per crimini contro l’umanità è stato assolto nel 2021 in appello.

Nel 2016 la Corte penale internazionale ha condannato l’ex vicepresidente del Congo, Jean-Pierre Bemba, per assassinio, stupro e saccheggio in quanto comandante delle truppe che commisero atrocità continue e generalizzate nella Repubblica Centrafricana nel 2002 e 2003. Il signore della guerra ugandese Joseph Kony, che dovrebbe rispondere di ben 36 capi d’imputazione tra cui omicidio, stupro, utilizzo di bambini soldato, schiavitù sessuale e matrimoni forzati, è la figura ricercata dalla Cpi da più tempo: il suo mandato d’arresto venne spiccato nel 2005. Tra gli altri dossier aperti e su cui indaga l’Aja c’è l’inchiesta sui crimini contro la minoranza musulmana dei Rohingya in Birmania. Un’altra indagine è quella su presunti crimini contro l’umanità commessi dal governo del presidente venezuelano Nicolas Maduro. E non è solo l’Aja ad aver processato capi di Stato e di governo: nel 2001, l’ex presidente Slobodan Milosevic fu accusato di crimini di guerra, genocidio e crimini contro l’umanità dal Tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia. Arrestato, morì d’infarto in cella all’Aja nel 2006, prima che il processo potesse concludersi.

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