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Kasparov ancora nel mirino, Mosca lo vuole processare

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L’ex campione del mondo di scacchi Garry Kasparov, fuggito dalla Russia da oltre dieci anni, potrebbe affrontare un procedimento penale a Mosca per aver violato la legge del Cremlino sugli “agenti stranieri”. A sostenerlo sono le forze dell’ordine russe, nell’ultimo capitolo dell’offensiva giudiziaria avviata dalla Russia contro l’attivista e duro critico del presidente Vladimir Putin. Le autorità russe – ha riferito l’agenzia di stampa Tass – hanno affermato che ci sono “tutte le ragioni” per incriminare Kasparov ai sensi dell’articolo 330.1 del codice penale della Federazione Russa, che riguarda gli “agenti stranieri”.

Il feroce critico del Cremlino potrebbe rischiare fino a due anni di prigione o una multa se venisse avviato il procedimento, hanno detto i funzionari russi. Nel maggio 2022, subito dopo l’invasione dell’Ucraina, la Russia ha aggiunto Kasparov all’elenco delle persone che agiscono come agenti stranieri, che comprende dozzine di critici di Vladimir Putin. Secondo la legge, ampiamente condannata dall’Unione Europea e da Washington, un agente straniero è una persona che riceve sostegno da Stati stranieri o è sotto influenza straniera ed è impegnata in attività politiche in Russia.

La norma richiede che chiunque sia identificato come avente sostegno o influenza straniera si registri presso il ministero della Giustizia e si dichiari agente straniero. Da ultime sono entrate nella lista nera anche le mogli e le madri dei soldati russi al fronte in Ucraina, che ne chiedono il ritorno a casa o ne hanno denunciato la morte. Nel marzo scorso, il dissidente è stato inserito dalle autorità di Mosca nella lista dei “terroristi ed estremisti”, dopo che a dicembre 2023 il ministero dell’Interno lo aveva denunciato con l’accusa di aver organizzato un’asta allo scopo di raccogliere fondi per i cittadini russi e bielorussi che combattono al fianco delle truppe ucraine. Kasparov è fuggito dalla Russia nel 2013 per paura di essere perseguitato dal Cremlino, e attualmente vive a New York.

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Esteri

Nasrallah: l’attacco di Israele dichiarazione di guerra

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Il fronte israelo-libanese del Medio Oriente in fiamme è diventato l’epicentro delle ostilità, facendo quasi passare in secondo piano la situazione a Gaza. In Galilea le sirene hanno risuonato continuamente per i razzi lanciati dagli Hezbollah, e gli israeliani hanno risposto con massicce incursioni aeree in Libano. I caccia dell’Idf hanno anche sorvolato a bassa quota Beirut, rompendo il muro del suono, come gesto di sfida al discorso di Hassan Nasrallah, che si attendeva giurasse vendetta per il maxi sabotaggio ai cercapersone e ai walkie talkie delle sue milizie. “E’ stata una dichiarazione di guerra da parte di Israele”, ha tuonato il leader sciita, senza tuttavia annunciare per il momento un contrattacco sul larga scala. “La punizione arriverà, ma non diremo quando e dove”, il suo unico avvertimento.

A cui è seguito il via libera dello stato maggiore israeliano ai piani di battaglia per il confine settentrionale. Il conteggio delle vittime non è ancora concluso, dopo la sorprendente operazione che in due giorni ha messo in scacco gli Hezbollah facendo esplodere migliaia di apparecchi di comunicazione in tutto il Paese ed anche in Siria, provocando almeno una quarantina di morti e tremila feriti. Un’azione non rivendicata dallo Stato ebraico, ma con i tratti distintivi del Mossad. Lo stesso Nasrallah, nell’intervento trasmesso in tv da una località segreta, ha ammesso che il suo movimento “ha subito un duro colpo, senza precedenti”. Allo stesso tempo ha accusato il nemico di aver “oltrepassato tutte le linee rosse” prendendo di mira “aree affollate di civili”. La sua retorica incendiaria contro Israele non ha tuttavia portato all’annuncio di un’escalation militare.

Il capo del partito di Dio si è limitato a promettere che il “fronte libanese resterà aperto finché non finirà l’aggressione contro Gaza” e che la rappresaglia ci sarà, senza tuttavia precisare “tempi e luoghi”. Ancora una volta, un apparente segnale di voler puntare più su una guerra psicologica con Israele che su un conflitto su larga scala. In linea con gli alleati iraniani. Il discorso di Nasrallah è stato oggetto di valutazione durante una riunione convocata da Benyamin Netanyahu con i suoi ministri, ma lo Stato ebraico continua a premere con l’obiettivo dichiarato di riportare nelle proprie case i 60mila residenti fuggiti dalle zone di confine, dove oggi sono stati uccisi due soldati israeliani. Negli ultimi giorni il governo, a partire dal premier, ha ripetuto che serve un “cambiamento fondamentale” per la sicurezza nel nord, mentre il ministro della Difesa Yoav Gallant ha parlato di una “nuova fase della guerra” in cui le “operazioni continueranno”. Anche se l’ex generale, spesso in rotta di collisione con Bibi, ha parlato di “opportunità significative ma anche di gravi rischi”. Proprio per scongiurare i gravi rischi legati alla polveriera libanese si moltiplicano i tentativi di mediazione della diplomazia occidentale.

I ministri degli Esteri di Stati Uniti, Francia, Italia, Germania e Gran Bretagna si sono riuniti a Parigi per fare il punto della situazione. Antony Blinken, in un bilaterale con Stephane Sejourne, ha invocato “moderazione da tutte le parti”, mentre Antonio Tajani ha portato nella capitale francese, per condividerle con i colleghi, le informazioni che arrivano dai militari italiani impegni in Unifil, a Beirut e al confine israelo-libanese. Dalla Cnn intanto è arrivata l’indiscrezione che Netanyahu non incontrerà Joe Biden a New York, a margine dell’Assemblea generale dell’Onu. Un ulteriore indizio che non lascia intravedere nulla di buono, neanche per quanto riguarda la trattativa sugli ostaggi a Gaza. Anche il capo del Pentagono Lloyd Austin ha rinviato il suo viaggio in Israele inizialmente previsto all’inizio della prossima settimana in seguito all’escalation delle tensioni. In questa persistente instabilità, le compagnie aeree sono corse ai ripari: sia Lufthansa che Air France hanno esteso lo stop ai voli nella regione, mentre Londra ha invitati i britannici a lasciare il Libano quanto prima paventando “un rapido peggioramento della situazione”.

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‘Società fittizie del Mossad per i device bomba’

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Appare come un intricato rompicapo, dove ogni tassello ne nasconde un altro, la vicenda dei dispositivi di comunicazione esplosi nelle mani e nelle tasche dei miliziani di Hezbollah. Chi li ha prodotti? Chi li ha manomessi? Chi infine li ha forniti ai soldati del partito di Dio? Il New York Times conferma, citando tre funzionari informati, che dietro all’intera operazione ci sono i servizi segreti israeliani: il Mossad non si sarebbe limitato a manomettere i cercapersone in qualche fase della loro produzione o distribuzione, ma li avrebbe direttamente “fabbricati come parte di un elaborato stratagemma”. E per farlo avrebbe costituito la società ungherese Bac Consulting, con sede a Budapest: questa era stata indicata come “unica responsabile della progettazione e produzione” dei cercapersone in questione dalla taiwanese Gold Apollo, detentrice del marchio (ben visibile dalle immagini dei dispositivi esplosi), che ha negato ogni coinvolgimento.

La Bac, aggiunge il Nyt, forniva cercapersone anche ad altre aziende, ma solo quelli destinati a Hezbollah erano stati dotati di batterie con esplosivo Petn (tetranitrato di pentaeritrite). Le fonti hanno spiegato al giornale americano che gli israeliani hanno inoltre creato altre due società fittizie per mascherare il legame tra la Bac e il Mossad. I dispositivi sarebbero cominciati ad arrivare in Libano già dal 2022, ma gli israeliani ne avrebbero aumentato la produzione dopo che il leader Hassan Nasrallah aveva ordinato ai suoi di evitare l’uso dei telefoni cellulari, facilmente tracciabili dal Mossad, a favore dei più elementari cercapersone o walkie talkie, distribuiti a migliaia tra gli ufficiali del movimento sciita e ai suoi alleati iraniani. Mercoledì anche l’ad di Bac, Cristiana Barsony-Arcidiacono, ha respinto le accuse di aver prodotto i cercapersone esplosivi, e il governo di Budapest ha assicurato che la società “è un intermediario commerciale e non ha siti produttivi in Ungheria” e che quei dispositivi “non sono mai stati in territorio ungherese”. Citando fonti anonime, il sito magiaro Telex ha a sua volta indicato un’altra società, stavolta in Bulgaria: la Norta Global, con sede a Sofia, che avrebbe importato i cercapersone e organizzato la consegna al movimento libanese. Fondata nell’aprile 2022 dal norvegese Rinson Jose, ha registrato l’anno scorso un giro d’affari di circa 650.000 euro per consulenze amministrative a clienti fuori dall’Ue.

I servizi di sicurezza bulgari (Dans) hanno già aperto un’inchiesta “attraverso il fisco e il ministero dell’Interno per chiarire l’eventuale ruolo della società nella fornitura di strumenti di comunicazione a Hezbollah”. La Dans ha tuttavia escluso che i dispositivi siano arrivati legalmente in Unione europea attraverso la Bulgaria: “Nessun controllo doganale con i suddetti prodotti è stato registrato” dagli agenti, ha riferito in un comunicato. Secondo la tv bulgara, attraverso il Paese sono passati solo flussi di cassa: circa 1,6 milioni di euro. Anche la polizia di Oslo ha annunciato l’apertura di un’indagine preliminare sulle attività di Jose. Dei walkie talkie esplosi mercoledì a sud di Beirut e in altre località del Libano si sa – anche questo dalle immagini – che riportavano il marchio della giapponese Icom. La società con sede a Osaka ha reso noto di aver prodotto ed esportato il modello IC-V82, “anche in Medio Oriente, dal 2004 all’ottobre 2014” e di averne interrotto la produzione “circa 10 anni fa: da allora non sono stati più spediti dalla nostra azienda”. “Stiamo indagando sui fatti riguardanti questa questione – ha assicurato la stessa Icom -. Pubblicheremo informazioni aggiornate, non appena saranno disponibili, sul nostro sito web”.

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Medjugorje, il Vaticano oggi fornirà una valutazione sulle presunte “apparizioni” della Vergine Maria

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Il Vaticano sta per fornire la sua attesa valutazione sulle presunte “apparizioni” della Vergine Maria nel villaggio di Medjugorje, situato nel sud della Bosnia. Dopo quasi 15 anni di studi, giovedì il cardinale Víctor Manuel Fernández, a capo dell’ufficio dottrinale del Vaticano, terrà una conferenza stampa sull’argomento, che il Vaticano ha definito “l’esperienza spirituale di Medjugorje”.

Dal 1981, sei bambini e adolescenti affermano di aver avuto visioni della Madonna, visioni che, secondo alcuni di loro, continuano regolarmente. Questo ha reso Medjugorje una meta di pellegrinaggio per milioni di credenti cristiani. Tuttavia, le apparizioni non sono mai state riconosciute ufficialmente dal Vaticano, che ha più volte espresso dubbi sulla loro autenticità.

Papa Francesco ha dichiarato che, pur avendo dubbi sulle visioni attuali, non si può negare l’impatto spirituale di Medjugorje sui pellegrini. Nonostante ciò, il Vaticano ha chiarito che non dichiarerà l’autenticità delle visioni, ma fornirà un orientamento dottrinale che permetta ai fedeli di esprimere la loro devozione senza contraddire la fede.

L’annuncio del Vaticano avrà un impatto significativo su Medjugorje, un luogo che dipende fortemente dal turismo religioso, con il 2024 previsto come un anno record di visite.

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