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‘Kaili tradita da Giorgi’, ex presidente pronta a difesa

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Un colloquio fiume di quasi cinque ore per preparare la strategia difensiva e provare che “Eva Kaili è innocente”. Alla vigilia della sua prima udienza davanti alla camera di consiglio del tribunale di Bruxelles, tutti i riflettori sono puntati sull’ex vicepresidente del Parlamento europeo. E il suo avvocato, l’istrionico Mihalis Dimitrakopoulos, arrivato direttamente dalla Grecia per difenderla, assicura di avere “argomenti legali molto forti” per garantirle la libertà. Argomenti che fanno il paio con le deposizioni del compagno, Francesco Giorgi, che “dopo averla tradita”, come accusa il suo legale, cerca di scagionarla addossandosi le colpe e descrivendo agli inquirenti passo a passo la rete di mazzette dell’Euroscandalo che continua a scuotere i palazzi comunitari. Intanto l’eurodeputato del Pd Andrea Cozzolino, da giorni tirato in ballo sulla stampa per presunte accuse a suo carico, ora chiede di essere sentito rinunciando all’immunità parlamentare.

E i vertici Ue, da Roberta Metsola a Charles Michel, invocano un’azione più forte “per contrastare gli attori maligni” che tramano attraverso la corruzione. Atterrato a Bruxelles su un volo della compagnia di bandiera greca Aegean partito da Atene alle 8:30 di mattina, il legale dei vip del Partenone ha avuto un lungo faccia a faccia – affiancato dall’altro avvocato André Rizopoulos – con l’ex conduttrice tv greca detenuta ormai da undici giorni nel nuovo carcere di Haren, alla periferia nord-orientale della capitale belga. Giorni durante i quali ha potuto vedere soltanto il padre, al quale è stata affidata la figlia di due anni nata dall’unione con Giorgi. Un colloquio richiesto dalla stessa ex vicepresidente dell’Eurocamera con la motivazione di avere qualcosa di “molto importante” da dire. E quel qualcosa riguarda la sua innocenza e il suo ruolo di madre. I due avvocati greci promettono di “combattere per lei” davanti alla giustizia belga perché Kaili ai loro occhi non è “né una sospetta latitante, né ha la capacità di inquinare le prove”: è soltanto una donna che si sente “tradita” dal compagno e “infelice” sapendo che ad attenderla a casa c’è una bambina “orfana”. Tutti elementi che inducono “ottimismo” sul pronunciamento dei giudici.

Prima dell’udienza davanti alla camera di consiglio, prevista in mattinata, il duo Dimitrakopoulos-Rizopoulos dovrà comunque visionare le carte della procura. E soprattutto i tre verbali con le dichiarazioni spontanee di Giorgi, considerato dagli inquirenti il factotum dell’anima del gruppo criminale di Antonio Panzeri. Sarebbe stato proprio Giorgi – secondo quanto ricostruito dai media – a raccontare alla polizia federale e poi al giudice istruttore belga Michel Claise che le mazzette del Qatar passavano tramite “l’algerino” dal nome Boudjellal. Per il Marocco invece i soldi arrivavano direttamente in contanti da Abderrahim Atmoun, l’ambasciatore di Rabat in Polonia.

Ma Kaili, ha assicurato l’istruttore di vela di Abbiategrasso, pur sapendo dei soldi, “non faceva parte della rete”. Per i due avvocati però la politica ellenica è sempre stata all’oscuro di tutto: le ricostruzioni sui giornali italiani, che parlano di una confessione parziale di Kaili, nel giudizio di Dimitrakopoulos “non corrispondono al vero” e la sua assistita non può far altro che “negare tutto”. E a negare è anche l’eurodeputato dem Cozzolino, ex collega di Panzeri, che rispedisce al mittente – lo stesso Panzeri – i “sospetti” e le “illazioni” circolate sulla stampa, incaricando i suoi avvocati di presentare al giudice istruttore belga Michel Claise una istanza formale per dichiararsi estraneo ai fatti e per “collaborare all’accertamento della verità”. Una verità che è tuttavia ancora lontana dall’essere chiarita.

Mentre la magistratura belga – aiutata da Eurojust – ha chiesto all’Italia di congelare i due conti correnti intestati a Panzeri e alla figlia Silvia, il gruppo dei Socialisti all’Europarlamento ha deciso di sospendere un suo funzionario – a quanto si apprende un consigliere politico non italiano impegnato nella commissione Esteri del Pe – per ‘colpa grave’. E anche la Commissione europea continua a scavare sulle attività dell’ex commissario Dimitris Avrampoulos. Contorni di uno scandalo che, è l’ammissione del presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, resta “drammatico e dannoso per la credibilità dell’Ue”.

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La trumpiana Greene lavorerà con Musk e Ramaswamy a taglio costi

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La trumpiana di ferro Marjorie Taylor Greene collaborerà con Elon Musk e Vivek Ramaswamy come presidente di una commissione della Camera incaricata di lavorare con il Dipartimento dell’efficienza. “Sono contenta di presiedere questa nuova commissione che lavorerà mano nella mano con il presidente Trump, Musk, Ramaswamy e l’intera squadra del Doge”, acronimo del Department of Government Efficiency, ha detto Greene, spiegando che la commissione si occuperà dei licenziamenti dei “burocrati” del governo e sarà trasparente con le sue audizioni. “Nessun tema sarà fuori dalla discussione”, ha messo in evidenza Greene.

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Pam Bondi, fedelissima di Trump a ministero Giustizia

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Donald Trump nomina la fedelissima Pam Bondi a ministra della Giustizia. L’ex procuratrice della Florida ha collaborato con il presidente eletto durante il suo primo impeachment. “Come prima procuratrice della Florida si è battuta per fermare il traffico di droga e ridurre il numero delle vittime causate dalle overdosi di fentanyl. Ha fatto un lavoro incredibile”, afferma Trump sul suo social Truth annunciando la nomina, avvenuta dopo il ritito di Matt Gaetz travolto da scandali a sfondo sessuale. “Per troppo tempo il Dipartimento di Giustizia è stato usato contro di me e altri repubblicani. Ma non più. Pam lo riporterà al suo principio di combattere il crimine e rendere l’America sicura.

E’ intelligente e tosta, è una combattente per l’America First e farà un lavoro fantastico”, ha aggiunto il presidente-eletto. Bondi è stata procuratrice della Florida fra il 2011 e il 2019, quando era governatore Rick Scott. Al momento presiede il Center for Litigation all’America First Policy Institute, un think tank di destra che sta lavorando con il transition team di Trump sull’agenda amministrativa. Come procuratrice della Florida si è attirata l’attenzione nazionale per i suoi tentativi di capovolgere l’Obamacare, ma anche per la decisione di condurre un programma su Fox mentre era ancora in carica e quella di chiedere al governatore Scott di posticipare un’esecuzione per un conflitto con un evento di raccolta fondi.

La nomina di Bondi arriva a sei ore di distanza dal ritiro di Gaetz dalla corsa a ministro della Giustizia dopo le nuove rivelazioni sullo scandalo sessuale che lo ha travolto. Prima dell’annuncio, l’ex deputato della Florida era stato contattato da Trump che gli aveva riferito che la sua candidatura non aveva i voti necessari per essere confermata in Seanto. Almeno quattro senatori repubblicani, infatti, si era espressi contro e si erano mostrati irremovibili a cambiare posizione. Il nome di Bondi, riporta Cnn, era già nell’iniziale lista dei papabili ministro alla giustizia stilata prima di scegliere Gaetz. Quando l’ex deputato ha annunciato il suo passo indietro, il nome di Bondi è iniziato a circolare con insistenza fino all’annuncio.

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Da Putin a Gheddafi, i leader nel mirino dell’Aja

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Con il mandato d’arresto spiccato contro il premier israeliano Benyamin Netanyahu, insieme all’ex ministro della Difesa Yoav Gallant, si allunga la lista dei capi di Stato e di governo perseguiti dalla Corte penale internazionale con le accuse di crimini di guerra e crimini contro l’umanità. Da Muammar Gheddafi a Omar al Bashir, e più recentemente Vladimir Putin. Ultimo in ordine di tempo era stato appunto il presidente russo, accusato nel marzo del 2023 di “deportazione illegale” di bambini dalle zone occupate dell’Ucraina alla Russia, insieme a Maria Alekseyevna Lvova-Belova, commissaria per i diritti dei bambini del Cremlino.

Sempre a causa dell’invasione dell’Ucraina nel mirino della Corte sono finiti in otto alti gradi russi, tra cui l’ex ministro della Difesa Sergei Shoigu e l’attuale capo di stato maggiore Valery Gerasimov: considerati entrambi possibili responsabili dei ripetuti attacchi alle infrastrutture energetiche ucraine. Prima di Putin, nel 2011 l’Aja accusò di crimini contro l’umanità Muammar Gheddafi, ma il caso decadde con la morte del rais libico nel novembre dello stesso anno.

Un simile provvedimento fu emesso per il figlio Seif al Islam e per il capo dei servizi segreti Abdellah Senussi. Tra gli altri leader di spicco perseguiti, l’ex presidente sudanese Omar al Bashir: nel 2008 il procuratore capo della Corte Luis Moreno Ocampo lo accusò di essere responsabile di genocidio e crimini contro l’umanità e della guerra in Darfur cominciata nel 2003. Anche Laurent Gbagbo, ex presidente della Costa d’Avorio, è finito all’Aja, ma dopo un processo per crimini contro l’umanità è stato assolto nel 2021 in appello.

Nel 2016 la Corte penale internazionale ha condannato l’ex vicepresidente del Congo, Jean-Pierre Bemba, per assassinio, stupro e saccheggio in quanto comandante delle truppe che commisero atrocità continue e generalizzate nella Repubblica Centrafricana nel 2002 e 2003. Il signore della guerra ugandese Joseph Kony, che dovrebbe rispondere di ben 36 capi d’imputazione tra cui omicidio, stupro, utilizzo di bambini soldato, schiavitù sessuale e matrimoni forzati, è la figura ricercata dalla Cpi da più tempo: il suo mandato d’arresto venne spiccato nel 2005. Tra gli altri dossier aperti e su cui indaga l’Aja c’è l’inchiesta sui crimini contro la minoranza musulmana dei Rohingya in Birmania. Un’altra indagine è quella su presunti crimini contro l’umanità commessi dal governo del presidente venezuelano Nicolas Maduro. E non è solo l’Aja ad aver processato capi di Stato e di governo: nel 2001, l’ex presidente Slobodan Milosevic fu accusato di crimini di guerra, genocidio e crimini contro l’umanità dal Tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia. Arrestato, morì d’infarto in cella all’Aja nel 2006, prima che il processo potesse concludersi.

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