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Johnson sbarra pub e locali e prepara la guerra dopo averla sottovalutata e snobbata

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Un passo deciso verso il lockdown dell’intera Gran Bretagna e un coinvolgimento diretto dello Stato nell’economia senza precedenti nel Regno. Boris Johnson rompe gli ultimi indugi e innesta la quarta – a colpi di diktat, ma anche aiuti finanziari a pioggia – nella battaglia al coronavirus: annunciando da un lato l’ordine di chiusura da stanotte di pub, ristoranti (esclusi take-away), caffe’, bar, club, palestre, teatri, cinema, istituzioni culturali, centri estetici e di ritrovo; dall’altro l’intervento del governo a garanzia del pagamento dell’80% degli stipendi fino a 2.500 sterline al mese (poco meno di 3.000 euro) a tutti i dipendenti del Paese costretti a casa dall’epidemia o dai suoi effetti. Nella percezione d’oltremanica si tratta di segnali del passaggio a un programma governativo da situazione bellica, con la trasformazione – “temporanea”, assicura il premier Tory, ma comunque eclatante – di un sistema tradizionalmente liberale in un modello quasi socialista. Sul fronte del “distanziamento sociale”, necessario a frenare un contagio che sta accelerando anche sull’isola, specialmente a Londra, con un bilancio di morti accertati salito a circa 180 e i primi ospedali gia’ in affanno sul fronte dei posti letto della terapia intensiva, finisce la fase molto ‘british’ delle raccomandazioni e degli advice, per quanto tassativi.

Lo stop a locali e siti d’incontro vari è una direttiva, valida erga omnes e a tempo indeterminato, anche se Johnson impegna l’esecutivo a rivederlo di mese in mese.

Per un lockdown totale manca solo il blocco formale degli accessi di confine e quello delle reti dei trasporti che il primo ministro continua ad oggi a escludere, sebbene a Londra sia già stato annunciato un taglio secco ai servizi di metropolitana, bus, treni urbani, persino noleggio delle biciclette. Misure che fanno il paio con la chiusura delle scuole, entrata in vigore da oggi salvo che per i figli di chi lavora in prima linea sulla trincea dell’emergenza. Nonche’ con la conferma della disposizione della quarantena obbligatoria per due settimane per chiunque manifesti sintomi non importa quanto lievi (da oggi anche il capo negoziatore per il dopo Brexit, David Frost) e i suoi familiari; della sollecitazione a non uscire e evitare ogni contato non essenziale; dell’invito generale – a giovani e meno giovani – a non dare neppure feste a domicilio.

Disposizioni non tutte controllabili, ma ormai stringenti anche nella retorica di Johnson, che ridimensiona a “un’ambizione” il target di “invertire il trend del contagio in tre mesi”, invocando, oltre all’arma di “nuovi test, nuovi farmaci, nuove tecnologie mediche”, “l’enorme sforzo e sacrificio” della gente.

“La salute e le persone – e’ il suo messaggio odierno, in un giorno in cui viene deciso pure il richiamo in servizio nel sistema sanitario nazionale (Nhs) di 65.000 medici e infermieri pensionati – vengono prima” di tutto. Economia inclusa, le cui redini vengono prese decisamente dallo Stato, nella persona del giovane neo cancelliere dello Scacchiere, Rishi Sunak, di nuovo al fianco di BoJo nella quotidiana conferenza stampa di Downing Street. Sunak, dopo aver messo sul piatto giorni fa un pacchetto extra da 350 miliardi di sterline fra crediti e risorse varie per il business e il mondo del lavoro, va oltre. “Per la prima volta nella nostra storia il governo interverra’ per aiutare a pagare gli stipendi”, spiega andando ben al di la’ dell’idea di un reddito minimo d’emergenza con l’impegno a garantire l’80% dei salari dei dipendenti a rischio per almeno tre mesi, il congelamento dell’Iva (Vat) sino al 30 giugno (valore 30 miliardi), ulteriori aiuti alle imprese e fondi in piu’ per lo schema dell’universal credit. Una ricetta vicina alle richieste dalla sinistra laburista di Jeremy Corbyn, applaudita dai sindacati. E che il filo-Tory Daily Telegraph, quasi a volersi consolare, sintetizza cosi’ sopra un commento affidato ad Ambrose Evans-Pritchard: “Boris deve abbracciare il socialismo, per salvare il libero mercato”.

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Georgia: Putin promulga cooperazione con Ossezia separatista

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Il presidente russo Vladimir Putin ha promulgato oggi la legge che ratifica il trattato di cooperazione tecnico-militare con la regione separatista georgiana dell’Ossezia del Sud, la cui indipendenza e’ stata riconosciuta dal Cremlino nel 2008. “Il rispetto dell’accordo consentira’ di approfondire la cooperazione tecnico-militare per rafforzare la capacita’ difensiva della Federazione Russa e della Repubblica dell’Ossezia del Sud”, si legge nella nota emessa a settembre dalla Duma russa.

Putin ha poi inviato alla camera bassa del parlamento russo un disegno di legge per la ratifica del trattato firmato nell’agosto 2023. Il documento, simile a quelli firmati con Bielorussia, Armenia o Kazakistan, regola la fornitura di armi ed equipaggiamento militare e rafforzera’ la presenza russa nel Caucaso. L’Ossezia del Sud, che conta quasi 50.000 abitanti, e’ praticamente un protettorato, il cui bilancio dipende per il 90% dalle casse dello Stato russo. La Russia ha basi militari sia nell’Ossezia del Sud che nella separatista Abkhazia, repubbliche che hanno inviato volontari per combattere l’Ucraina nelle file dell’esercito russo.

L’accordo e’ stato firmato poco dopo che l’Ossezia del Sud ha celebrato lo scorso anno il 15 anniversario del riconoscimento russo dell’indipendenza del territorio, riconosciuta anche da Venezuela, Nicaragua, Repubblica di Nauru e Siria. Il Cremlino ha riconosciuto l’indipendenza di entrambe le regioni separatiste georgiane – Ossezia del Sud e Abkhazia – il 26 agosto 2008, due settimane dopo la firma dell’accordo per porre fine al breve ma sanguinoso conflitto con la Georgia per il controllo del territorio dell’Ossezia del Sud la Guerra dei Cinque Giorni. La Georgia continua a non riconoscere l’indipendenza di entrambi i territori e ha invitato a revocare il suo riconoscimento il Cremlino, che ha il sostegno degli Stati Uniti e dell’Unione Europea e ritiene che le truppe russe siano forze di occupazione.

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Arresto di Sansal incendia i rapporti Francia-Algeria

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Si infiammano i rapporti già tesi tra la Francia e l’Algeria per la sorte di Boualem Sansal, lo scrittore algerino che da qualche mese ha ottenuto anche la nazionalità francese. Da sabato scorso, quando è stato arrestato all’aeroporto di Algeri, non si sa più nulla di lui. Settantacinque anni, da 25 impegnato da scrittore contro il potere di Algeri e i cedimenti all’integralismo islamico, potrebbe – secondo fonti algerine – essere processato per “violazione dell’unità nazionale e dell’integrità nazionale del Paese”. Preoccupati i familiari, gli amici, i sostenitori, mobilitata la stampa e il mondo degli intellettuali francesi, silenzioso il governo di Parigi con l’eccezione di Emmanuel Macron, che ieri sera ha espresso pubblicamente la sua forte preoccupazione.

L’arresto di uno degli intellettuali più critici contro il potere di Algeri ha inasprito i già tesi rapporti tra Francia ed Algeria, che avevano fatto toccare proprio nelle scorse settimane nuovi picchi per la visita di Macorn in Marocco e i toni di grande vicinanza col regno di Mohammed VI. Oggi anche l’editore francese Gallimard, che pubblica le opere di Boualem Sansal fin dall’uscita del suo libro più famoso, ‘Le serment des barbares’ (Il giuramento dei barbari), si è detto “molto preoccupato” e ha chiesto la “liberazione” dello scrittore. “Sgomento” ha espresso per l’arresto di Sansal anche la sua casa editrice italiana, Neri Pozza.

Dopo l’intensificarsi della pressione mediatica sulla sorte dello scrittore, l’Algeria è uscita oggi duramente allo scoperto attraverso la sua agenzia di stampa, accusando Parigi di essere covo di una lobby “anti-algerina” e “filo-sionista”. L’agenzia Aps conferma, nella sua presa di posizione, l’arresto di Sansal e attacca senza mezzi termini Parigi, la “Francia Macronito-sionista che si adombra per l’arresto di Sansal all’aeroporto di Algeri”. “La comica agitazione di una parte della classe politica e intellettuale francese sul caso di Boualem Sansal – scrive l’agenzia di stato – è un’ulteriore prova dell’esistenza di una corrente d’odio contro l’Algeria. Una lobby che non perde occasione per rimettere in discussione la sovranità algerina”. Si cita poi un elenco di personalità “anti-algerine e, fra l’altro, filo-sioniste” che agirebbe a Parigi, e del quale farebbero parte “Éric Zemmour, Mohamed Sifaoui, Marine Le Pen, Xavier Driencourt, Valérie Pécresse, Jack Lang e Nicolas Dupont-Aignan”.

Ad offendersi, secondo l’Aps, è uno stato che “non ha ancora dichiarato al mondo se ha la necessaria sovranità per poter arrestare Benyamin Netanyahu, qualora si trovasse all’aeroporto Charles de Gaulle!”. L’agenzia passa poi all’attacco diretto di Macron e di Sansal stesso: il presidente che “torna abbronzato da un viaggio in Brasile” scrive Aps, parla di “crimini contro l’umanità” in Algeria ricordando la colonizzazione francese “ma prende le difese di un negazionista, che rimette in discussione l’esistenza, l’indipendenza, la storia, la sovranità e le frontiere dell’Algeria!”, riferendosi a Sansal. Nel suo primo e più celebre libro, Sansal racconta la salita al potere degli integralisti che contribuì a far precipitare l’Algeria in una guerra civile negli anni Novanta. I libri di Sansal, editi in Francia, sono venduti liberamente in Algeria, ma l’autore è molto controverso nel suo Paese, in particolare dopo una sua visita in Israele nel 2014.

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Il porno attore italo egiziano Sharif nel carcere di Giza, rischia 3 anni di carcere

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E’ un appello accorato quello che arriva dall’Egitto dalla madre di Elanain Sharif, quarantaquattrenne nato in quel Paese ma cittadino italiano, fermato al suo arrivo in aeroporto al Cairo. “Sono molto preoccupata perché mio figlio sta male. Aiutatemi, lui ha bisogno di me e io di lui. Non so cosa fare” ha detto la donna con un audio diffuso tramite il legale che l’assiste, l’avvocato Alessandro Russo. E proprio per accertate le condizioni in cui è detenuto, le autorità italiane hanno già chiesto a quelle egiziane di poter effettuare una visita in carcere, alla quale dovrebbe partecipare anche la donna, e sono in attesa di una risposta. Sharif è accusato di produzione e diffusione di materiale pornografico.

Si tratta di reato, secondo la normativa egiziana, punibile con una pena da 6 mesi a tre anni. Il capo di imputazione è stato comunicato dal Procuratore egiziano al legale del 44enne e in base al codice penale egiziano, un qualunque cittadino di quel paese che commette un reato, anche fuori dall’Egitto, può essere perseguito. Un principio giuridico analogo a quello previsto dal nostro ordinamento. L’ex attore porno è stato già ascoltato dal procuratore che ha convalidato il fermo per 14 giorni, disponendo che il caso sia nuovamente riesaminato il 26 novembre. Le Autorità egiziane stanno infatti attendendo il risultato della perizia tecnica sul materiale presente online. Dopo il fermo all’aeroporto, il 9 novembre, l’uomo si trova ora nel carcere di Giza. “E’ stato messo in carcere appena siamo arrivati in aeroporto” ha detto ancora la madre di Sharif dall’Egitto.

“Non posso sapere come sta – ha aggiunto – perché non riesco a parlarci e sono molto preoccupata”. Sono in particolare le sue condizioni di salute a preoccuparla perché, ha spiegato, “mio figlio ha subito tre interventi alla schiena, l’ultimo 30 giorni fa a Londra”. Dal giorno in cui è stato bloccato la madre ha incontrato un paio di volte il figlio. “La prima – ha detto il legale – il giorno dopo a quello in cui era stato preso in consegna dalle autorità, in carcere al Cairo e poi dopo cinque o sei giorni trasferito dove è ora e l’ha visto sempre per un paio di minuti”. Sharif e la madre erano atterrati al Cairo provenienti dall’Umbria. Vive, infatti, da alcuni anni a Terni mentre la madre è residente a Foligno ed è sposata con un italiano.

“In aeroporto è stato tenuto a lungo negli uffici della polizia e poi la madre lo ha visto uscire con le manette ai polsi – aveva ricordato ieri il legale – Le procedure di arresto sono state fatte utilizzando solo il passaporto egiziano, quello dell’Italia gli è stato restituito alcuni giorni dopo”. L’avvocato Russo ha poi spiegato che la madre si trova ancora in Egitto “assieme al fratello, che lavora nella polizia egiziana, e spera di avere notizie di un suo rilascio”. Con la donna, e con gli avvocati italiano ed egiziano e le autorità del Cairo, sono in contatto fin dall’inizio della vicenda sia l’ambasciata italiana sia la Farnesina.

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