Il conto alla rovescia sulla Brexit e’ scattato, ma salvo miracoli scandisce la corsa verso la rottura, non verso l’accordo, fra Londra e Bruxelles. Un epilogo destinato a consumarsi entro questa settimana, secondo le ultime indiscrezioni fatte filtrare ad arte da Downing Street in quello che un furibondo Donald Tusk denuncia ormai apertamente come il gioco di Boris Johnson a uno “stupido scaricabarile”. Stavolta le indiscrezioni sono tutte di marca britannica, frutto dei briefing condotti sotto traccia da portavoce anonimi o delle imbeccate al settimanale amico Spectator di una gola profonda dietro il cui paravento la Bbc intravvede in effetti il profilo del Rasputin personale del premier Tory: il gelido consigliere e tessitore di trame elettorali Dominic Cummings. Il messaggio e’ quello di preparasi al peggio. E il tentativo e’ di additare fin d’ora come colpevoli l’Ue o magari Angela Merkel. Bruxelles viene accusata di non essersi “mossa di un centimetro” negli ultimi negoziati e avvertita che non ci saranno altre chance o vie d’uscita dopo il piano Johnson, salvo un salto nel vuoto in cui potrebbe venir messa in discussione persino la cruciale cooperazione nel campo della sicurezza fra il Regno e i 27.
La cancelliera tedesca, invocata in questi mesi come la figura piu’ incline al compromesso, diventa da parte sua improvvisamente il signorno’ di turno. Almeno stando al racconto delle fonti dell’entourage johnsoniano di una conversazione telefonica “franca” (alias tempestosa) con Boris. Conversazione in cui Merkel avrebbe parlato di accordo “essenzialmente impossibile” sulla base delle proposte avanzate dal successore di Theresa May il 2 ottobre in alternativa al vincolo del backstop a garanzia di quel confine irlandese senza barriere previsto dagli accordi di pace del Venerdi’ Santo 1998. E si sarebbe spinta a evocare un diktat sulla permanenza dell’Irlanda del Nord nell’unione doganale, con tanto di minaccia di veto. Una polemica che Berlino ha evitato con cura di raccogliere, limitandosi a insistere come la cancelliera non voglia il no deal, terrore di tanti attori del business britannico, tedesco o di altri Paesi. E che anche i portavoce di Bruxelles hanno preferito in sostanza ignorare, al pari del capo negoziatore Michel Barnier, reduce oggi da un incontro dai toni il piu’ possibile concilianti con il ministro italiano Vincenzo Amendola. Ma che ha trovato invece pronto ad abboccare all’amo il presidente uscente del Consiglio europeo Tusk. Johnson, e’ sbottato via Twitter l’ex primo ministro polacco rivolgendosi direttamente all’interlocutore, si sta incamminando verso “uno stupido scaricabarile”, mentre in ballo c’e’ “l’avvenire dell’Europa e del Regno Unito cosi’ come la sicurezza e gli interessi dei nostri popoli”.
“Non vuoi un accordo, non vuoi un’estensione, non vuoi una revoca, quo vadis?”, ha concluso. Parole a cui fanno eco quelle delle opposizioni britanniche, determinate a far valere la legge anti-no deal (o Benn Act) per imporre comunque al premier brexiteer la richiesta di un rinvio di tre mesi dell’uscita dall’Ue se entro il 19 ottobre non vi sara’ accordo. Rinvio che Johnson insiste a escludere oltre il 31 ottobre, con o senza deal, ma che potrebbe essere costretto a firmare da un tribunale. A meno di dimettersi. Il suo occhio, del resto, e’ gia’ rivolto verso le urne: un traguardo che punta a raggiungere – lo accusano gli oppositori, dai laburisti di Jeremy Corbyn alla leader indipendentista scozzese Nicola Sturgeon – anche a costo di “sabotare i negoziati”, esporre il Paese al rischio di una hard Brexit e “scaricare il fiasco su chiunque altro in modo pateticamente trasparente”. I sondaggi, tuttavia, sembrano dare ragione ancora a Boris, che con il ministro Michael Gove ha sbandierato oggi stesso un rapporto aggiornato sui preparativi di un ipotetico no deal dicendosi “fiducioso”. A dispetto di una sterlina che continua a calare, di una produttivita’ ai minimi da 5 anni e delle stime dell’Institute for Fiscal Studies di un’esplosione del debito pubblico al livello piu’ alto da mezzo secolo per far fronte ai costi d’un eventuale taglio netto dall’Ue: fino all’equivalente di 112 miliardi di euro, il 90% del Pil britannico.
Quattro militari italiani impegnati nella missione di pace UNIFIL in Libano sono rimasti feriti a seguito di un attacco alla base situata nel sud del Paese. Fonti governative assicurano che i soldati, che si trovavano all’interno di uno dei bunker della base italiana a Shama, non sono in pericolo di vita. Le autorità italiane e internazionali hanno espresso forte indignazione per l’accaduto, mentre proseguono le indagini per ricostruire la dinamica dell’attacco.
UNIFIL UNITED NATIONS INTERIM FORCE IN LIBANO. SOLDATI DELLE NAZIONI UNITE (FOTO IMAGOECONOMICA)
La dinamica dell’attacco
Secondo le prime ricostruzioni, due razzi sarebbero stati lanciati dal gruppo Hezbollah durante un’escalation di tensioni con Israele. Al momento dell’attacco, la base italiana aveva attivato il livello di allerta 3, che impone ai militari l’utilizzo di elmetti e giubbotti antiproiettile. La decisione si era resa necessaria a causa della pericolosità crescente nell’area, teatro di scontri tra Israele e Hezbollah.
Un team di UNIFIL è stato inviato a Shama per verificare i dettagli dell’accaduto, mentre il governo italiano monitora attentamente la situazione.
UNIFIL UNITED NATIONS INTERIM FORCE IN LEBANON. FOTO IMAGOECONOMICA ANCHE IN EVIDENZA
Le dichiarazioni del ministro Crosetto
Il ministro della Difesa Guido Crosetto ha commentato con durezza l’attacco, definendolo “intollerabile”:
“Cercherò di parlare con il nuovo ministro della Difesa israeliano per chiedergli di evitare l’utilizzo delle basi UNIFIL come scudo. Ancor più intollerabile è la presenza di terroristi nel Sud del Libano che mettono a repentaglio la sicurezza dei caschi blu e della popolazione civile”.
Crosetto ha inoltre sottolineato la necessità di proteggere i militari italiani, impegnati in una missione delicata per garantire la stabilità nella regione.
La solidarietà del Presidente Meloni
Anche la Presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha espresso solidarietà ai militari feriti e alle loro famiglie, dichiarando:
“Apprendo con profonda indignazione e preoccupazione la notizia dei nuovi attacchi subiti dal quartier generale italiano di UNIFIL. Desidero esprimere la solidarietà e la vicinanza mia e del Governo ai feriti, alle loro famiglie e sincera gratitudine per l’attività svolta quotidianamente da tutto il contingente italiano in Libano. Ribadisco che tali attacchi sono inaccettabili e rinnovo il mio appello affinché le parti sul terreno garantiscano, in ogni momento, la sicurezza dei soldati di UNIFIL”.
Unifil: una missione per la pace
La missione UNIFIL, operativa dal 1978, ha il compito di monitorare il cessate il fuoco tra Israele e il Libano, supportare le forze armate libanesi e garantire la sicurezza nella regione. L’attacco alla base italiana evidenzia la crescente instabilità nell’area e i rischi a cui sono esposti i caschi blu impegnati nella missione di pace.
La trumpiana di ferro Marjorie Taylor Greene collaborerà con Elon Musk e Vivek Ramaswamy come presidente di una commissione della Camera incaricata di lavorare con il Dipartimento dell’efficienza. “Sono contenta di presiedere questa nuova commissione che lavorerà mano nella mano con il presidente Trump, Musk, Ramaswamy e l’intera squadra del Doge”, acronimo del Department of Government Efficiency, ha detto Greene, spiegando che la commissione si occuperà dei licenziamenti dei “burocrati” del governo e sarà trasparente con le sue audizioni. “Nessun tema sarà fuori dalla discussione”, ha messo in evidenza Greene.
Donald Trump nomina la fedelissima Pam Bondi a ministra della Giustizia. L’ex procuratrice della Florida ha collaborato con il presidente eletto durante il suo primo impeachment. “Come prima procuratrice della Florida si è battuta per fermare il traffico di droga e ridurre il numero delle vittime causate dalle overdosi di fentanyl. Ha fatto un lavoro incredibile”, afferma Trump sul suo social Truth annunciando la nomina, avvenuta dopo il ritito di Matt Gaetz travolto da scandali a sfondo sessuale. “Per troppo tempo il Dipartimento di Giustizia è stato usato contro di me e altri repubblicani. Ma non più. Pam lo riporterà al suo principio di combattere il crimine e rendere l’America sicura.
E’ intelligente e tosta, è una combattente per l’America First e farà un lavoro fantastico”, ha aggiunto il presidente-eletto. Bondi è stata procuratrice della Florida fra il 2011 e il 2019, quando era governatore Rick Scott. Al momento presiede il Center for Litigation all’America First Policy Institute, un think tank di destra che sta lavorando con il transition team di Trump sull’agenda amministrativa. Come procuratrice della Florida si è attirata l’attenzione nazionale per i suoi tentativi di capovolgere l’Obamacare, ma anche per la decisione di condurre un programma su Fox mentre era ancora in carica e quella di chiedere al governatore Scott di posticipare un’esecuzione per un conflitto con un evento di raccolta fondi.
La nomina di Bondi arriva a sei ore di distanza dal ritiro di Gaetz dalla corsa a ministro della Giustizia dopo le nuove rivelazioni sullo scandalo sessuale che lo ha travolto. Prima dell’annuncio, l’ex deputato della Florida era stato contattato da Trump che gli aveva riferito che la sua candidatura non aveva i voti necessari per essere confermata in Seanto. Almeno quattro senatori repubblicani, infatti, si era espressi contro e si erano mostrati irremovibili a cambiare posizione. Il nome di Bondi, riporta Cnn, era già nell’iniziale lista dei papabili ministro alla giustizia stilata prima di scegliere Gaetz. Quando l’ex deputato ha annunciato il suo passo indietro, il nome di Bondi è iniziato a circolare con insistenza fino all’annuncio.