Collegati con noi

Esteri

Israele, l’Unifil si ritiri. Nuovo incidente in una base

Pubblicato

del

Benyamin Netayahu ancora una volta ha mostrato al mondo il suo volto più duro e intransigente. Il premier israeliano, che non vuole ostacoli per le sue truppe impegnate contro Hezbollah in Libano, ha chiesto all’Onu di ritirare i peacekeeper dalle zone dei combattimenti. E alle parole sono seguite le azioni, con due nuovi incidenti che hanno coinvolto postazioni dei Caschi Blu, inclusa una clamorosa irruzione dell’Idf con due carri armati, denunciati dalla missione come “violazioni scioccanti”. Anche l’Italia, che all’Unifil fornisce il più alto numero di militari, ha rinnovato la sua protesta: Giorgia Meloni, in una telefonata con il premier israeliano, ha parlato di “attacchi inaccettabili”. Negli ultimi giorni le forze armate israeliane hanno intensificato le operazioni contro le milizie del Partito di Dio per spingerle più a nord possibile dal confine.

La presenza tra i due fuochi dell’Unifil rallenta questa avanzata, secondo Netanyahu, che ha inviato un messaggio al segretario generale dell’Onu chiedendo di “proteggere” le forze di pace che operano nella zona cuscinetto: “li metta in salvo immediatamente”, la sua richiesta, motivata dal fatto che i Caschi Blu sarebbero sfruttati da Hezbollah come “scudi umani”. “Abbiamo chiesto più volte all’Unifil di andarsene”, ha ricordato Netanyahu, per giustificarsi dopo l’ondata di critiche della comunità internazionale per la conduzione sempre più aggressiva della guerra da parte dell’Idf. Anche al prezzo di minacciare più volte le postazioni dell’Unifil, provocando cinque feriti in tre giorni e danni gravi alle strutture. La missione Onu inoltre ha denunciato due nuove “violazioni scioccanti” alla sua sicurezza.

Prima dell’alba di domenica, l’ingresso con la forza di due carri armati a Ramyah, che hanno distrutto il cancello principale, rimanendo all’interno per 45 minuti. Il risultato, 15 peacekeeper rimasti intossicati per il fumo di colpi sparati dagli israeliani a centro metri di distanza dal luogo dell’irruzione. La sera prima, l’Idf ha negato il passaggio del contingente Onu nei pressi di Meiss ej Jebel, ha riferito Unifil, che ha chiesto “spiegazioni”. Anche per il governo italiano si è trattato di un “ennesimo incidente inaccettabile”, ha avvertito il ministro della Difesa Guido Crosetto, mentre il capo di Stato Maggiore Luciano Portolano ha chiesto al suo omologo israeliano Herzi Halevi di “evitare ulteriori azioni ostili”. Richiesta formulata in precedenza dalla premier Meloni, che al telefono con Netanyahu ha rinnovato l’impegno di Roma attraverso Unifil per “la piena applicazione della risoluzione 1701”, considerata la strada maestra per “contribuire alla stabilizzazione del confine israelo-libanese”.

L’azione di pressing dell’Italia su Israele è condivisa dai partner dell’Ue, che hanno trovato un’intesa per un documento di risposta agli attacchi all’Unifil. Per gli Stati Uniti, il capo del Pentagono Lloyd Austin ha espresso all’omologo Yoav Gallant “profonda preoccupazione” sui peacekeeper ed ha chiesto di “passare a una soluzione diplomatica in Libano appena possibile”. Quanto all’Onu, rispetto alla richieste di Netanyahu, Antonio Guterres ha più volte ribadito che la missione di pace non si muove.

Al termine di questa ennesima giornata di tensione, l’Idf ha dato la sua versione sui nuovi incidenti che hanno coinvolto l’Unifil: “Un carro armato che cercava di evacuare soldati feriti, mentre si trovava sotto il fuoco nemico, ha indietreggiato di diversi metri e ha colpito una postazione dell’Unifil”. E “una volta cessato il fuoco nemico, e in seguito all’evacuazione dei i feriti, il carro armato ha lasciato la postazione”. Al netto delle giustificazioni di Israele, la situazione lungo la Linea Blu del confine si conferma sempre più incandescente. Tanto che lo stesso premier libanese Najib Mikati ha condannato la richiesta di ritiro dell’Unifil da parte di Netanyahu, ed anzi ha accusato lo Stato ebraico di insistere con il suo “approccio del mancato rispetto delle norme internazionali”.

Advertisement

Esteri

Sull’embargo delle armi a Israele l’Ue resta divisa

Pubblicato

del

L’Ucraina sarà stato anche il primo punto all’ordine del giorno del Consiglio Esteri del Lussemburgo ma è il Medio Oriente a tenere banco, tra divisioni e difficili compromessi per avvicinare le posizioni dei 27. L’Ue ha trovato finalmente le parole per condannare ad una sola voce gli attacchi d’Israele al contingente Unifil – “ci abbiamo messo troppo tempo per una cosa ovvia”, è il rammarico dell’alto rappresentante Josep Borrell – ma sul resto (quasi tutto) zoppica. Come ad esempio sulla questione di un possibile embargo alle forniture d’armi, ventilato da Emmanuel Macron e Pedro Sanchez. “Si potrebbero citare altri Stati membri che si trovano nella situazione opposta e chiedono una maggiore fornitura di armi a Israele”, nota Borrell. La verità è che si tratta di una “competenza nazionale” e per cambiare le cose ci vorrebbe una risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’Onu (improbabile) oppure una decisione all’unanimità dei 27 (altrettanto impossibile, come spiegato dall’alto rappresentante).

Dunque si procede alla spicciolata. La posizione dell’Italia viene spiegata dal ministro Antonio Tajani, a Berlino per il vertice sui Balcani. “Dal 7 ottobre dell’anno scorso – ha detto – noi abbiamo bloccato tutti i contratti che riguardano la vendita di armi ad Israele, come previsto dalla legge; se poi usano armi vendute in passato non lo so”. Roma, anche in funzione di presidente del G7, è al lavoro per contenere la crisi. L’emiro del Qatar, Tamim bin Hamad Al-Thani, sarà in visita di Stato in Italia il prossimo 21 ottobre. Ed è in questo quadro che la presidente del Consiglio Giorgia Meloni starebbe valutando una missione in Medio Oriente nei prossimi giorni, con il Libano fra le possibili tappe. Per quanto riguarda l’Unifil, l’Ue ha definito “gravi violazioni del diritto internazionale” gli attacchi degli scorsi giorni e ha chiesto “spiegazioni immediate” a Tel Aviv.

I ministri degli Esteri di Italia, Francia, Germania e Gran Bretagna oggi hanno ribadito la “preoccupazione profonda” in una nota congiunta e hanno chiesto che gli attacchi “cessino immediatamente”. Borrell, dal canto suo, ha esortato Israele a non minimizzare. Da un lato, infatti, ha definito gli episodi come “incidenti”, ma poi ha suggerito il ritiro come soluzione per evitarli. “L’Unifil non si ritira, sta dove deve stare, fino a che il Consiglio di sicurezza dell’Onu non prenderà una decisione in merito: gli attacchi vanno assolutamente evitati e non possono essere giustificati come ‘incidenti'”, ha aggiunto. Il Consiglio Esteri ha però varato delle misure pratiche contro l’Iran per il suo coinvolgimento nella guerra in Ucraina (nello specifico per aver fornito droni e missili balistici a Teheran).

Sette individui e sette entità sono stati sottoposti a misure restrittive e tra queste figurano tre compagnie aeree iraniane, inclusa l’Iran Air (le altre due sono Saha Airlines e Mahan Air). Inoltre, il Consiglio ha deciso di imporre misure restrittive nei confronti del vice ministro della Difesa iraniano, Seyed Hamzeh Ghalandari – oltre che ufficiali di spicco della Forza Qods del Corpo delle Guardie Rivoluzionarie Islamiche (Irgc), del Quartier Generale Centrale dell’Irgc Khatam al-Anbiya e della Divisione Spaziale della Forza Aerospaziale dei Pasdaran, nonché gli amministratori delegati delle società Iran Aircraft Manufacturing Industries (Hesa) e Aerospace Industries Organization (Aio), quotate nell’Ue.

Continua a leggere

Esteri

La Cina accerchia Taiwan, tensione alle stelle

Pubblicato

del

Un numero record di incursioni di jet militari, elicotteri e droni in poco più di 12 ore, combinato allo schieramento delle forze missilistiche, navali e a quello inedito della guardia costiera, ha portato all’accerchiamento di Taiwan. La Cina ha mostrato i suoi muscoli alla provincia ribelle finita in stato di massima allerta per le manovre militari lampo ‘Joint Sword 2024/B’, le seconde della serie “punitiva” avviata a maggio come “severo avvertimento” alla leadership dell’isola di fronte “agli atti separatisti delle forze indipendentiste di Taiwan”.

Le operazioni sono state lanciate senza notifiche preventive, indicazioni di aree interessate dalle attività e durata, e con un perimetro d’azione entrato per la prima volta nelle 24 miglia nautiche della zona contingua. Insomma, passi ulteriori della ‘strategia dell’anaconda’ teorizzata dall’ammiraglio capo della flotta militare taiwanese, Tang Hua, in un’intervista all’Economist, basata sull’escalation mirata di attività militari con cui le forze armate cinesi soffocano l’isola nella loro morsa. “Abbiamo individuato 125 jet militari cinesi, elicotteri e incursioni di droni alle 16.30 locali, il record giornaliero più alto”, ha riferito il tenente generale taiwanese Hsieh Jih-sheng. La portaerei cinese Liaoning, schierata ad est, ha esercitato “pressione e abbiamo monitorato i decolli dei suoi jet da combattimento J-15”. Il presidente taiwanese William Lai ha riunito il Consiglio di sicurezza, con il ministro della Difesa Wellington Koo e altri funzionari. Mentre da Washington, il portavoce del Dipartimento di Stato Matthew Miller ha espresso “seria preoccupazione” per le mosse cinesi, “ingiustificate e a rischio di escalation”.

Quanto ai fini della postura di Pechino, Su Tzu-yun, direttore strategia e risorse di difesa del National Defense and Security Research di Taiwan, ha osservato che “il fulcro delle manovre è stato un blocco della parte meridionale e settentrionale di Taiwan, mirando ai porti di Taipei, di Keelung e di Kaohsiung, nonché a quello di Hualien sulla costa orientale”. In altri termini, le sei zone di interdizione tracciate dalla Cina hanno avuto il fine di “inibire” porti e basi militari per impedire l’uso da parte di Taipei delle sue forze armate. Su ha interpretato poi la collaborazione tra la Marina e la guardia costiera cinesi come lo sforzo per fare di Taiwan e delle sue acque circostanti il “mare interno” della Cina, stroncando ogni supporto esterno. La guardia costiera, a tal proposito, ha pubblicato una mappa con i suoi pattugliatori intorno a Taiwan a formare un cuore perché “l’accerchiamento è un atto d’amore”. La Liaoning, in questo scenario, potrebbe aver avuto il ruolo di simulare una portaerei Usa, ha notato Ying yu-lin della Tamkang University in un post su X, per studiare le soluzioni per neutralizzarla.

La prova di forza è stata legata da Pechino al discorso “indipendentista” del presidente William Lai per la Festa nazionale del 10 ottobre, secondo cui la Repubblica popolare non ha il diritto di rappresentare Taiwan e “la Repubblica di Cina (il nome ufficiale di Taiwan, ndr) e la Repubblica popolare non sono subordinate l’una all’altra”. La Cina considera l’isola parte del suo territorio “sacro” e “inalienabile”, come ha ribadito il recente il presidente Xi Jinping. Tuttavia, Michael Cole, analista sulla sicurezza basato a Taipei, s’è detto sicuro che Pechino volesse le manovre. A dispetto del monito alla moderazione del segretario di Stato americano Antony Blinken e con l’attenzione dell’Occidente su Medio Oriente, Ucraina e presidenziali Usa, “le operazioni come queste sono ben pianificate”, ha osservato. Aggiungendo che sono state lanciate in un momento in cui la Corea del Nord sembra mobilitarsi “per qualche tipo di azione militare o dimostrazione rivolta alla Corea del Sud”. Una sorta di coordinamento tra Pechino e Pyongyang? Non da escludere, secondo Cole, per testare come Usa e alleati regionali avrebbero risposto a contingenze simultanee. “C’è un elemento di guerra cognitiva in tutto questo”, un aspetto affatto secondario.

Continua a leggere

Esteri

Wsj: droni misteriosi sorvolano base Usa, Pentagono perplesso

Pubblicato

del

Droni misteriosi hanno sorvolato, lo scorso dicembre per 17 giorni, la base militare di Langley, in Virginia, violando lo spazio aereo su un’area che ha la maggiore concentrazione di strutture di sicurezza nazionale negli Stati Uniti e innervosendo il Pentagono. Lo riporta il Wall Street Journal citando alcune fonti, secondo le quali non è chiaro chi controllasse i droni o tantomeno a chi appartenessero.

La legge federale vieta che siano abbattuti vicino alle basi militari se non rappresentano un problema di sicurezza. Gli avvistamenti, tutti i giorni alla stessa ora, sono stati notificati anche al presidente Joe Biden. E mettono in evidenza – osserva il Wall Street Journal – il dilemma degli Stati Uniti fra il difendersi in casa dai droni e usarli invece facilmente all’estero. Per far fronte all’emergenza, a Langley sono state cancellate le esercitazioni notturne per diverso tempo. Ancora oggi a mesi di distanza non è chiaro chi ci sia stato dietro i droni, avvistati negli ultimi mesi anche nei pressi della base militare di Edwards, vicino Los Angeles.  8

Continua a leggere

In rilievo

error: Contenuto Protetto