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Iran, colpiti da cyberattacco anche agli impianti nucleari

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L’Iran denuncia di aver subito un massicco cyberattacco. “La quantità di attacchi informatici pesanti, che si sono verificati sui tre rami del governo, della magistratura e del parlamento, così come sull’industria nucleare, sono senza precedenti ed enormi”, ha detto l’ex segretario del National Virtual Space Center Abolhassan Firouzabadi, citato dai media locali. “Durante gli attacchi è stata rubata una grande quantità di informazioni”, ha aggiunto Firouzabadi, senza menzionare la data degli attacchi. Tra gli obiettivi – ha continuato – anche reti di distribuzione e trasporto di carburante, municipalità e porti.

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Due politici eletti come consiglieri comunali in Brasile nonostante siano ricercati dalla giustizia

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Due politici brasiliani, ricercati per diverse condanne passate in giudicato, sono stati eletti consiglieri comunali durante l’ultima tornata elettorale del 6 ottobre. La notizia è stata resa nota dal portale G1, che ha analizzato le informazioni sui candidati e incrociato i dati del Tribunale superiore elettorale (Tse) con il database nazionale dei mandati d’arresto (Bnmp).

La condanna per omicidio colposo di Givanildo Batista Soares

Uno dei consiglieri eletti è Givanildo Batista Soares, noto come Givan, che ha ottenuto 147 voti nel comune di Lagoinha, nello stato di Piauí. Nel 2021, Soares è stato condannato a 2 anni e 8 mesi di carcere per omicidio colposo a seguito di un incidente stradale avvenuto anni prima nello stato di Pará. La condanna è diventata definitiva nel 2021, ma solo il 23 settembre 2024 il Tribunale del Pará ha emesso un mandato di arresto contro di lui. Nonostante ciò, è riuscito a candidarsi e a essere eletto.

Marco Aurelio de Azevedo e il mandato per alimenti non pagati

Il secondo politico ricercato è Marco Aurelio de Azevedo, eletto al consiglio comunale del comune di Paty do Alferes, nello stato di Rio de Janeiro. De Azevedo è ricercato per non aver pagato gli alimenti alla sua famiglia per una somma totale di 700 euro (4.300 real brasiliani). Il mandato di arresto è stato emesso appena due giorni prima delle elezioni. Tuttavia, in questo caso, il mandato può essere revocato una volta saldato il debito.

Supplenti ricercati per reati gravi

Oltre ai due consiglieri eletti, la ricerca ha rivelato che altri 18 candidati, attualmente ricercati, figurano nelle liste dei ‘supplenti’. Questi potrebbero subentrare in consiglio comunale nel caso in cui i titolari eletti siano costretti a lasciare l’incarico o vengano rimossi. Tra i supplenti ci sono 14 persone condannate per il mancato pagamento degli alimenti e altri quattro ricercati per reati gravi come associazione per delinquere, traffico di droga e stupro di persone vulnerabili.

Un’anomalia nel sistema elettorale brasiliano

Il caso solleva interrogativi sulla capacità del sistema elettorale brasiliano di garantire che solo candidati senza pendenze giudiziarie possano essere eletti a cariche pubbliche. La presenza di individui con condanne definitive e mandati di cattura tra gli eletti e i supplenti pone una sfida significativa per il sistema giuridico e democratico del paese.

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La risoluzione 1701 e le regole di ingaggio Unifil

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La Risoluzione 1701 del Consiglio di Sicurezza dell’Onu è stata approvata nell’agosto del 2006 durante l’allora round di guerra tra Hezbollah e Israele. Con questa risoluzione sono state definite anche le regole d’ingaggio dei caschi blu dell’Onu. Dopo aver chiesto, prima di tutto, la cessazione delle ostilità tra le parti e il ritiro delle forze israeliane dal sud del Libano, la risoluzione prevedeva – e prevede ancora oggi – il dispiegamento dell’esercito regolare libanese e il rafforzamento della missione militare Onu di interposizione (Unifil). Questa era stata creata già nel 1978 durante la prima invasione israeliana del sud del Libano.

La risoluzione 1701 prevede ancora oggi: – il rafforzamento di Unifil per sostenere il governo libanese nel garantire la sicurezza e impedire il ritorno delle ostilità; – il dispiegamento delle forze armate libanesi e il loro rafforzamento tramite la creazione di ‘model regiment’; – il disarmo – da parte dell’esercito libanese ma non da parte di Unifil – di gruppi armati non statuali, come Hezbollah, per garantire che solo lo Stato libanese mantenga il monopolio delle armi; – la necessità di garantire l’accesso umanitario e facilitare il ritorno degli sfollati a causa del conflitto.

Le regole di ingaggio di Unifil sono state decise in base al capitolo sesto della Carta dell’Onu (“risoluzione pacifica delle controversie”) e non secondo il capitolo settimo, che autorizza invece l’uso della forza. I caschi blu dell’Onu non possono ingaggiare con la forza né i soldati Hezbollah né quelli di Israele a parte alcune circostanze:

– i caschi blu possono usare la forza per autodifesa o per difendere altri membri del personale Onu sotto attacco. L’autodifesa comprende anche la protezione dell’equipaggiamento e delle infrastrutture Onu.

– in situazioni in cui i civili sono sotto minaccia imminente di violenza, Unifil è autorizzata a intervenire e usare la forza per proteggere la popolazione civile, in linea con il mandato Onu e le capacità operative della missione.

– i caschi blu possono assistere l’esercito libanese nel garantire la sicurezza e stabilità nella loro area operativa, ma devono sempre operare sotto il coordinamento e la guida del comando dell’esercito di Beirut, rispettando la sovranità libanese.

– le regole d’ingaggio prevedono che l’uso della forza debba essere sempre proporzionale alla minaccia percepita e limitato al minimo necessario per ottenere l’effetto desiderato. L’obiettivo è sempre quello di evitare l’escalation del conflitto e minimizzare i danni collaterali.

– le operazioni devono essere strettamente coordinate con le forze libanesi. Queste, di fatto, almeno fino a metà settembre scorso, sono sempre rimaste in stretto contatto con Hezbollah, tramite ufficiali di collegamento tra il Partito di Dio e l’intelligence militare libanese.

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Meloni fa asse con Macron e Sanchez: Israele si fermi

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Il rischio è che basti poco in Medio Oriente, perché il conflitto regionale possa sfociare assumendo una dimensione ancora più spaventosa. Timori di questo tenore sono stati condivisi al summit del Med9 di Pafo, dove Giorgia Meloni ha fatto asse con Emmanuel Macron e Pedro Sanchez per condannare gli attacchi dell’esercito israeliano alle truppe Unifil in Libano. “È inaccettabile e non deve più ripetersi”, l’avvertimento lanciato all’unisono dai leader di Italia, Francia e Spagna, e scritto nero su bianco in una dichiarazione congiunta. Per mettere ulteriore pressione a Israele non sono escluse telefonate ai massimi livelli con Benjamin Netanyahu nelle prossime ore.

Intanto da parte del presidente francese e dal primo ministro spagnolo arriva un altro avvertimento: “Bisogna cessare la vendita di armi a Israele, unica leva per mettere fine ai conflitti”. A 400 chilometri in linea d’aria da Gaza e ancor meno dal Libano, la polveriera mediorientale è il principale tema al tavolo del summit a Cipro, allargato alla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen e al re di Giordania Abdullah II Al-Hussein. Durante la foto di famiglia sul campo da golf del resort scelto come sede, non mancano sorrisi e pacche sulle spalle fra i leader, Meloni mima anche uno swing. Ma nei saloni del vertice i ragionamenti sono gravi. Molti si concentrano sull’atteggiamento di Israele e gli attacchi a Unifil. “Questi attacchi – il senso della dichiarazione di Italia, Francia e Spagna – sono ingiustificabili e dovranno finire immediatamente”. “Non lo tolleriamo e non vogliamo che ciò si ripeta”, chiarisce Macron. Meloni ha ribadito la condanna di atti “inaccettabili che violano la risoluzione 1701 dell’Onu”. Così Netanyahu rischia l’autoisolamento, si ragiona nel governo italiano, dove si sottolinea che Roma ha chiesto in tempi non sospetti la rimodulazione del mandato e delle regole di ingaggio della missione di pace dei caschi blu al confine fra Libano e Israele.

“Il contributo” della missione Unifil “alla cessazione delle ostilità sarà fondamentale”, si afferma nella dichiarazione congiunta dei tre Paesi, ma è chiaro che ogni scenario viene preso in considerazione, senza nascondere che nel Consiglio di sicurezza Onu il consenso unanime è un’impresa ardua per la presenza della Russia. Non è escluso se ne parli anche al Consiglio supremo di difesa, convocato al Quirinale il 23 ottobre alle ore 10. “Durante il G7 della Difesa – ha annunciato Meloni – prevediamo un’iniziativa per rafforzare le forze armate libanesi”. Privare di rifornimenti militari Israele è invece la linea scelta da Francia e Spagna, che hanno varato già l’embargo e chiedono al resto della comunità internazionale di fare altrettanto. “È l’unica leva per porre fine ai conflitti”, ha sostenuto Macron.

Davanti alla “violazione del diritto internazionale” per “l’invasione” del Libano”, “il governo spagnolo dallo scorso 7 ottobre non fa esportare qualsiasi tipo di arma o materiale militare in Israele, niente”, ha spiegato Sanchez a Roma, dove ha incontrato il Papa prima di volare a Cipro. Meloni su questo tema non si è espressa nelle dichiarazioni finali, in cui il premier spagnolo ha anche chiesto “coerenza” all’Unione europea su Israele: “Se non si rispettano il diritto internazionale e i diritti umani, elementi essenziali dell’accordo di associazione fra Unione Europea e Israele, c’è solo una strada: rivedere questi accordi”. In parallelo, leader e diplomatici lavorano sulla questione umanitaria: il sovrano giordano trova sostegno al suo piano per superare i colli di bottiglia che continuano a rallentare la distribuzione degli aiuti a Gaza. “Si tratta di una leadership estremamente importante e preziosa in tema di moderazione e ricerca della pace”, spiega Meloni, che nel bilaterale con Abdullah II ha accettato l’invito a recarsi “presto” ad Amman.

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