La Cina non ci sta a passare ancora una volta come untore del mondo ma, esattamente come tre anni fa, la poca trasparenza sui dati della diffusione del Covid tra la sua popolazione ha portato diversi Paesi occidentali – Italia in primis – a prendere delle precauzioni, imponendo tamponi a chi arriva dal gigante asiatico. Una mossa che Pechino, nel timore di un isolamento internazionale, ha giudicato “non scientifica” e, quindi, “inaccettabile”. E, quasi dimenticando di aver applicato solo fino a poche settimane fa quarantene draconiane in appositi hotel per chiunque arrivasse in Cina dall’estero, ha minacciato “contromisure, sulla base del principio di reciprocità”.
“Mi sembrano misure normalissime – ha replicato il ministro degli Esteri Antonio Tajani -. Fare un tampone non ha nulla di offensivo né limitativo delle libertà personali. E’ un provvedimento normale” per “evitare che si diffonda” il Covid, “a tutela della salute degli italiani”. Anche la Francia, dove l’obbligo scatterà l’8 gennaio, non intende lasciarsi intimidire dalle minacce cinesi. “Il mio governo – ha dichiarato la premier Elisabeth Borne – fa il proprio dovere proteggendo i francesi e chiedendo dei test. E continueremo a farlo”, ha precisato Borne. Sebbene il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (Ecdc) assicuri che la nuova ondata di casi in Cina “non influirà sulla situazione del Covid-19 nell’Ue”, i Paesi europei che hanno già deciso di controllare i passeggeri in arrivo non intendono quindi fare passi indietro. Al contrario, “la grande maggioranza” dei 27 vuole che i test siano fatti alla partenza, ha fatto sapere la Commissaria Ue alla Salute, Stella Kyriakides, dopo la riunione del Comitato per la sicurezza sanitaria.
“Tutti gli Stati membri hanno concordato un approccio coordinato all’evoluzione della situazione del Covid in Cina e alle implicazioni dell’aumento dei viaggi dalla Cina verso l’Europa”, ha spiegato un portavoce della Commissione europea. Le proposte che saranno discusse dal meccanismo di risposta politica integrata alle crisi (Ipcr) includono tra le altre cose “misure su igiene personale e misure sanitarie per i viaggiatori (compreso l’uso raccomandato di maschere sui voli provenienti dalla Cina); monitoraggio delle acque reflue per gli aerei; maggiore vigilanza dell’Ue su test e vaccinazioni e una discussione sulla necessità di sottoporre i passeggeri provenienti dalla Cina a test preventivi prima della partenza”. Di fronte all’impennata di casi in Cina, esplosa dopo la fine della politica zero-Covid anche a causa del basso tasso di vaccinati nel Paese, Bruxelles ha offerto a Pechino anche “la donazione di vaccini adattati alle varianti” in segno di “solidarietà e sostegno”.
Ma la Cina ha rifiutato la mano tesa dell’Europa rivendicando “le più grandi linee di produzione al mondo di vaccini Covid con una capacità di produzione annuale di oltre 7 miliardi di dosi e una produzione annua di oltre 5,5 miliardi di dosi, che garantiscano che tutte le persone idonee alla vaccinazione abbiano accesso ai vaccini Covid”. “La situazione Covid in Cina è prevedibile e sotto controllo”, ha quindi ribadito il ministero degli Esteri. Ma i dati, sebbene parziali, dicono tutt’altro: la società britannica di analisi mediche Airfinity stima in 11.000 il numero dei decessi giornalieri in Cina per il Covid, prevedendo entro la fine di aprile 1,7 milioni di morti per il coronavirus.