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Intesa sui nomi dei vertici dell’Ue, von der Leyen negozierà con Meloni

Il volto della nuova Commissione europea, salvo colpi di scena, sarà ancora quello di Ursula von der Leyen. Accanto alla Sptizenkandidatin del Ppe, a prendere le redini della politica estera comunitaria sarà la premier estone liberale Kaja Kallas. Mentre il socialista portoghese Antonio Costa orchestrerà i lavori del Consiglio europeo.

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Emmanuel Macron e Olaf Scholz lo avevano promesso dopo il primo round tra i leader finito il 17 giugno con una fumata grigia: l’accordo sui nuovi vertici Ue sarebbe arrivato presto. Alla fine, l’intesa di principio ha preso forma in videoconferenza, unendo le loro due voci e quelle degli altri negoziatori dell’asse europeista formato da Popolari, Socialisti e Liberali. Il volto della nuova Commissione europea, salvo colpi di scena, sarà ancora quello di Ursula von der Leyen. Accanto alla Sptizenkandidatin del Ppe, a prendere le redini della politica estera comunitaria sarà la premier estone liberale Kaja Kallas. Mentre il socialista portoghese Antonio Costa orchestrerà i lavori del Consiglio europeo.

Un trio al quale con tutta probabilità si affiancherà la maltese Roberta Metsola – in quota Ppe – per il bis all’Eurocamera. Una rosa di nomi “stabile” da settimane sulla quale però pesava il gioco al rialzo dei Popolari che, sull’onda del trionfo elettorale, avevano avanzato la richiesta di una staffetta alla guida del Consiglio europeo rischiando così di far saltare l’intero tavolo. L’aut aut alla fine è stato accantonato, i dubbi fugati e la bozza di accordo potrà ora approdare sul tavolo dei leader dei Ventisette giovedì a Bruxelles per il via libera finale. Con o senza l’appoggio dei Conservatori di Giorgia Meloni e di un Viktor Orban già su tutte le furie per un’intesa che argina le destre europee. I sei negoziatori – al fianco di Macron e Scholz, anche Pedro Sanchez, Kyriakos Mitsotakis, Donald Tusk e Mark Rutte – si sono ritrovati per un round ristretto con lo stesso pacchetto di candidati sul tavolo. Nessuna sorpresa, ma un lavoro per affinare un patto che ricalca la maggioranza Ursula protagonista dell’ultima legislatura. E che era chiamato a tener conto di voti, profili e aree geografiche del continente.

L’esito finale, è il refrain ripetuto da alcune fonti diplomatiche, davanti all’avanzata dei sovranisti e all’instabilità politica, “non poteva essere diverso”. Il senso di urgenza del resto era condiviso da molti. Anche per questo i Popolari alla fine hanno lasciato cadere la clausola della staffetta al vertice del Consiglio europeo: l’intesa prevede che il portoghese Antonio Costa ne sia il nuovo presidente per un periodo iniziale di due anni e mezzo, in linea con i Trattati. Spetterà poi ai leader, come da prassi, decidere in seguito se prorogarne la nomina per la seconda parte del mandato quinquennale. Il rispetto dello status quo ha così permesso di arrivare alla fumata bianca. Alla trattativa però non ha preso parte la premier italiana.

Un’esclusione che, dopo la scia di malumori dell’ultima settimana, è stata comunque mitigata con una rassicurazione chiave: von der Leyen negozierà a porte chiuse con lei il prezzo del sostegno di Roma a un accordo per cui comunque basterà la maggioranza qualificata (almeno 15 Paesi rappresentanti il 65% della popolazione Ue) e sul quale dunque nessun leader avrà il potere di veto. In cambio, la garanzia è che Meloni “otterrà un portafoglio di peso” nella prossima Commissione, come da sua richiesta. Se al tavolo dei leader Ue tutto andrà liscio, l’ultimo ostacolo davanti a von der Leyen per agguantare il bis sarà il voto a metà luglio alla plenaria dell’Eurocamera.

Dove l’incognita dei franchi tiratori resta viva. I Socialisti europei, per bocca della capogruppo Iratxe Garcia Perez fresca di rielezione, hanno già fatto sapere che l’intesa – pur negoziata da Scholz – “non è un assegno in bianco” e che il loro sostegno dipenderà dal programma che la tedesca saprà redigere. Una linea condivisa anche dalla capogruppo dei liberali, la macroniana Valérie Hayer, per la quale la coalizione di maggioranza al Parlamento europeo è “europeista”.

“Non c’è spazio per i Conservatori” che, ha attaccato dopo aver incassato il rinnovo alla guida di Renew, rappresentano “l’estrema destra con il partito di Giorgia Meloni, il PiS polacco e Reconquête in Francia”. In Aula la presidente della Commissione europea avrà bisogno della maggioranza assoluta: 361 deputati su 720. L’asse Ppe-S&D-Renew artefice dell’accordo sui top jobs conta in tutto 399 deputati. Un margine risicato: per questo von der Leyen continuerà a lavorare nelle prossime ore per andare a caccia di ulteriore sostegno tra le altre forze. I Verdi potrebbero darle una sponda importante.

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Mattarella contro imbonitori che negano cambio climatico

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“Il Rapporto Draghi, è opportuno ricordarlo, ammonisce circa il rischio di fallimento per l’Europa senza un impegno coerente nelle politiche da mettere in atto. Ricette semplicistiche per problemi complessi sono adatte agli imbonitori”. Il presidente della Repubblica rilancia l’allarme clima e lo fa con decisione intervenendo a un seminario nel polo Onu di Bonn, nell’ultima giornata della sua visita in Germania. Sergio Mattarella non ha nascosto la sua preoccupazione in un discorso denso, nel quale ha spiegato come non ci sia alcuna alternativa ad una rapida de-carbonizzazione del pianeta, sferzando quanti, in Europa e in Italia, negano o sottovalutano la portata del problema.

“Per troppo tempo – ha detto il Capo dello Stato – abbiamo affrontato in modo inadeguato la questione della tutela dell’ambiente e del cambiamento climatico, opponendo artificiosamente fra loro le ragioni della gestione dell’esistente a quelle del futuro dei nostri figli e nipoti. Inadeguato perchè abbiamo pensato di poterla affrontare procedendo in ordine sparso, con lo sguardo rivolto alle scoperte del passato, con risorse ordinarie, con strumenti obsoleti”. Ricette troppo semplici, quindi. Negare i danni dei cambiamenti climatici ed l’esistenza del surriscaldamento del pianeta, non può più essere una scusa.

“Le conseguenze dei nostri ritardi sono sotto gli occhi di tutti e sempre nefaste”, ha incalzato con accanto , con accanto il presidente tedesco Frank-Walter Steinmeier che annuiva. Mattarella ha ricordato a chi non vuole vedere o fa finta di non vedere che “l’intensificazione della frequenza delle catastrofi naturali condiziona ogni aspetto della vita, devastando interi territori, mietendo vittime. Se vogliamo lasciare alle future generazioni un pianeta dove l’umanità possa vivere e prosperare in pace ovunque dovremo compiere, tutti insieme, progressi decisivi”. Naturalmente Mattarella non nega che il problema sia complesso e che le ricette, in una fase iniziale, possano essere dolorose: per questo raccomanda “una transizione energetica che sia concreta, pragmatica e sostenibile”.

Se da un lato il presidente ha sottolineato l’importanza di Italia e Germania nel guidare la transizione – entrambe “sono in grado di coniugare un’ambiziosa politica climatica con la salvaguardia delle filiere industriali, della crescita e del benessere” -, dall’altro si è appellato al ruolo dell’Unione europea che non può derogare ai suoi ideali: “quella sul clima è’ una sfida per l’innovazione in cui si gioca il futuro e poco importa che il peso dell’Unione Europea sul piano dell’equilibrio ecologico globale sia minore di altri colossi industriali che si attardano, invece, contribuendo in modo decisivo all’inquinamento del pianeta. Le loro scelte appaiono fuori tempo ed è orgoglio dell’Europa proporsi di puntare al futuro”. Evidente in questo passaggio il riferimento alle politiche industriali di alcuni Paesi come la Cina.

L’Europa è chiamata quindi a compiere “uno sforzo straordinario” così come indicato dal rapporto sulla competitività di Mario Draghi. Le ricette possono essere diverse ma il presidente ne indica una molto coraggiosa: la creazione di una “Unione per l’energia”, paradossalmente sulla falsariga della “Ceca” (la Comunità europea del carbone e dell’acciaio). “Quello per combattere il cambiamento climatico è un progetto ambizioso che potremo realizzare – ha concluso Mattarella – solo accettando una maggiore cooperazione che ci consenta di muovere verso una Unione dell’energia, con un ruolo analogo a quello che la collaborazione in materia di acciaio e carbone seppe avere, nel secondo dopoguerra”.

Perchè ha detto da Colonia, tappa finale del suo viaggio, l’unità dell’Unione era “un sogno di pochi. È diventata la speranza di molti. Oggi è una necessità per tutti”. Parole di Konrad Adenauer, primo cancelliere di Germania, che cambiò la storia dell’Europa cercando sin dal 1949 l’unità continentale.

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Meloni loda il Sud: quest’anno è la locomotiva che ha trainato l’Italia

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La presidente del Consiglio Giorgia Meloni non partecipa all’inaugurazione della 87esima Fiera del Levante ma, a dispetto di chi in Puglia l’accusa di presiedere un governo a “trazione leghista”, invia un videomessaggio in cui loda il Sud: “Stiamo mettendo il Mezzogiorno, che quest’anno è stato la locomotiva dell’Italia, nelle condizioni di competere ad armi pari con il resto della nazione”. Ma allora, replica a stretto giro il governatore pugliese Michele Emiliano, l’autonomia differenziata non serve. Anzi, è il suo ragionamento, “rischia di interrompere questo ciclo virtuoso” e quindi è “necessario fermarsi”. “Siamo stati la prima Regione a impugnarla e ci batteremo – avverte – con le armi della Costituzione basata sull’uguaglianza di tutti i cittadini, fino allo stremo”.

In rappresentanza del governo, seduto sul palco tra le autorità locali, c’è il ministro delle Imprese e del made in Italy, Adolfo Urso, il quale tiene a precisare che “l’autonomia è quello che da sempre chiedono i territori, al Nord come al Sud, in una logica di piena condivisione e coesione nazionale come questo governo ha saputo garantire e garantirà anche in un processo costituzionalmente corretto”. Poi, evidenziando quanto il governo creda alle “potenzialità del Mezzogiorno”, ricorda che ha “indicato” e fatto in modo che il ministro pugliese Raffaele Fitto diventasse “vicepresidente esecutivo della Commissione europea”. Le polemiche sull’assenza della premier in Fiera sono cominciate nei giorni scorsi e sono continuate poco prima dell’avvio della cerimonia inaugurale. “Sfuggire a un evento così importante è stato un errore”, ha detto Emiliano ai cronisti arrivando: “La sua assenza è dovuta probabilmente anche al fatto che qui in Puglia non trova gente che la applaude senza critica”.

L’ultimo presidente del Consiglio a inaugurare la campionaria è stato Giuseppe Conte nel 2020. Poi nel 2021 la Fiera non si è tenuta a causa della pandemia. Nel 2022 nessun rappresentante dell’esecutivo ha partecipato all’inaugurazione, che avvenne in versione ridotta, e l’anno scorso è intervenuto il vicepremier Matteo Salvini. Nel suo messaggio Meloni ha assicurato che il governo ha tracciato una direzione “nuova e chiara: dare alle imprese e ai cittadini del Mezzogiorno la possibilità concreta di dimostrare il proprio valore”. E ha annunciato che presto firmerà anche con la Puglia l’accordo di coesione: “Ne abbiamo sottoscritti 19 con le regioni e le province autonome mettendo a disposizione finora oltre 35 miliardi”. Ma l’intesa, che potrebbe essere siglata tra il 19 e il 22 ottobre a Bari durante il festival delle Regioni, sbloccando 4,6 miliardi del Fondo di sviluppo e coesione, avverrebbe “con due anni e mezzo di ritardo”, fa notare Emiliano aggiungendo: “Speriamo che la presidente venga”. Parlando del Mezzogiorno la premier snocciola i dati che gli attribuiscono un ruolo importante nell’economia italiana.

“Nel 2023 – evidenzia – il pil del Sud è cresciuto più della media nazionale, l’occupazione è aumentata in misura maggiore rispetto al resto d’Italia, gli investimenti sono cresciuti del 50%. Il Mezzogiorno ha dato una spinta decisiva alle esportazioni permettendo all’Italia di piazzarsi al quarto posto della classifica mondiale dell’export scavalcando prima la Corea del sud e poi il Giappone”. Poi, rivolgendosi alla platea di imprenditori in sala, li ringrazia perchè se “oggi l’Italia cresce più del doppio della media europea e dell’eurozona”, non è merito del governo ma “del nostro tessuto produttivo e di chi ogni giorno si rimbocca le maniche per portare avanti la propria attività”. Il governo, conclude, ha fatto solo “la sua parte”.

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Stretta su migranti e riforma flussi, slitta il decreto

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I Centri per migranti in Albania apriranno intorno a metà ottobre – con 5 mesi di ritardo sulla prima data annunciata – ma servono certezze sulla possibilità di trasferire e trattenere poi lì gli stranieri da sottoporre alle procedure accelerate di frontiera con successivo rimpatrio. Ecco perchè il governo sta lavorando a misure per oliare le procedure che consentono la rapida identificazione del richiedente asilo ed un veloce esame dei ricorsi contro i dinieghi. In Consiglio dei ministri oggi è stata esaminata una bozza di decreto legge – dentro anche la riforma dei flussi – che prevedeva nuove norme in materia. L’ok è però slittato a mercoledì prossimo.

“Nessun contrasto tra ministri”, ha assicurato il sottosegretario Alfredo Mantovano, ma solo l’esigenza, “trattandosi di una materia particolarmente complessa, di arrivare a un prodotto definito che regga”. Una bozza circolata nel pre-Consiglio dei ministri svoltosi ieri introduce anche una stretta sulle ong che fanno soccorso in mare: i loro aerei che monitorano il Mediterraneo centrale sono obbligati ad avvisare “immediatamente e con priorità” gli enti competenti per l’area attenendosi alle loro indicazioni. Multa fino a 10mila euro e fermo dell’aereo di 20 giorni per chi viola le disposizioni. E’ uno dei punti cui si sarebbe deciso di riservare degli approfondimenti. Si punta poi a risolvere alcune criticità segnalate dal Viminale, come la mancata identificazione del migrante che impedisce il rimpatrio. La bozza introduce l’obbligo per il richiedente asilo di cooperare con le autorità italiane per l’accertamento della sua identità “e di esibire o produrre gli elementi in possesso anche se detenuti sui dispositivi elettronici mobili, relativi all’età, all’identità, alla cittadinanza, nonchè al paese o ai paesi in cui ha soggiornato in precedenza”.

Se il migrante non coopera, “il questore può richiedere all’autorità giudiziaria l’autorizzazione all’accesso ai dispositivi elettronici mobili”. Su questo punto, si apprende, i rappresentanti della Giustizia avrebbero segnalato l’importanza di non violare la riservatezza; quelli del ministero dell’Interno hanno sostenuto la necessità della misura che ha uno scopo di mero controllo. Novità, quindi, sul decreto legislativo 25 del 2008 quando parla delle garanzie del richiedente asilo: il passaggio “durante la sua permanenza in Italia” diventa “durante la procedura di esame della domanda di protezione” che quindi può avvenire anche in Albania. Dimezzati da 14 a 7 i giorni entro i quali il richiedente può ricorrere contro il diniego della domanda di asilo. Previsto anche il trattenimento del richiedente “qualora non abbia consegnato il passaporto o altro documento in corso di validità o non presti idonea garanzia finanziaria, o nelle more del perfezionamento della procedura concernente la prestazione della garanzia finanziaria”.

Tutto rimandato al prossimo Consiglio dei ministri in programma mercoledì, comunque. In tempo per l’apertura delle strutture che l’Italia sta allestendo a Shengjin (prima accoglienza) e a Gjader, dove saranno ospitati proprio gli stranieri soggetti alle procedure accelerate di frontiera introdotte dal decreto Cutro. Che però sono state finora largamente bocciate dai magistrati. Nell’apposito Centro di Porto Empedocle, in provincia di Agrigento, ‘gemello’ di quello di Gjader, 64 dei 74 provvedimenti di trattenimento emessi dalla questura non sono stati convalidati in quanto ritenuti illegittimi. Un dato che sicuramente preoccupa il governo in vista dell’Albania. Per Mantovano tutto procede, al di là degli intoppi. Le difficoltà di allestimento, fa sapere, sono da attribuire “alla natura del terreno, a problematiche emerse in corso d’opera ed eventi atmosferici sfavorevoli avvenuti sia ad agosto che qualche giorno fa. Al più tardi entro la prima decade di ottobre” l’opera “sarà consegnata per i collaudi e dopo qualche giorno pienamente operativa”. La scorsa settimana, secondo le autorità locali, c’è stato un forte maltempo con il rischio di inondazione dell’intera area.

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