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Salute

Individuato meccanismo alla base di un raro tumore pediatrico

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Un gruppo internazionale di ricerca guidato da studiosi dell’Università di Bologna e dell’Università di Sydney ha svelato per la prima volta il meccanismo che porta alla formazione del neuroblastoma pediatrico, una rara forma di tumore che ogni anno colpisce in Italia circa cento di bambini sotto i tre anni. Pubblicato su “Nature Communications”, lo studio – informa l’Alma Mater – identifica un gene necessario per l’inizio della trasformazione tumorale già durante la fase embrionale e fetale di sviluppo dell’organismo, suggerendo così anche un potenziale bersaglio terapeutico da cui potrebbero nascere nuovi farmaci per combattere la malattia.

“La nostra analisi ha individuato per la prima volta la funzione di un particolare gene, indispensabile non solo per la nascita del neuroblastoma, ma anche per lo sviluppo di questo tumore pediatrico”, spiega Giovanni Perini, professore al Dipartimento di Farmacia e Biotecnologie dell’Università di Bologna, tra i coordinatori dello studio. “Si tratta di risultati importanti, che aprono la strada allo sviluppo di nuovi approcci al trattamento terapeutico della malattia”.

Il neuroblastoma pediatrico colpisce ogni anno oltre mille bambini a livello globale: nonostante sia molto raro è però la prima causa di morte tra tutti i bambini colpiti da tumore, perché le terapie oggi utilizzate sono ancora poco efficaci e con pesanti effetti collaterali. In circa la metà dei casi più gravi, il tumore mostra un’alterazione genetica che consiste nell’amplificazione di MYCN, un gene che controlla il ciclo cellulare e in parte il differenziamento delle cellule che, durante lo sviluppo, sono destinate a diventare neuroni maturi. Di norma, all’interno di una cellula ci sono due copie del gene, ma quando avviene l’amplificazione se ne possono contare decine o centinaia. Di conseguenza, la cellula neuronale invece di funzionare correttamente comincia a dividersi in modo smisurato, portando rapidamente alla formazione della massa tumorale.

“La precocità temporale con cui il tumore si manifesta nel bambino lascia pensare che il tumore inizi a formarsi quando il bambino è ancora in grembo”, dice Perini. “Fino ad oggi erano però poco chiare le condizioni genetico-molecolari che spingono il gene MYCN ad avviare il processo di formazione del tumore e soprattutto non sapevamo se fossero coinvolti anche altri geni”. Per cercare di fare chiarezza su questi interrogativi ancora aperti, gli studiosi sono partiti da un modello animale che esprime alti livelli di MYCN e che sviluppa il neuroblastoma con le stesse modalità e caratteristiche di quello umano.

È stato avviato quindi un vasto lavoro di screening, durante il quale sono stati inattivati in modo sistematico, uno ad uno, più di duemila geni, per valutare il loro possibile coinvolgimento nello sviluppo del tumore. Dopo molte centinaia di prove, i ricercatori sono così riusciti a isolare un singolo gene, chiamato RUNX1T1, la cui inattivazione impedisce la nascita della malattia. “Una mutazione inattivante nel gene RUNX1T1 è sufficiente ad impedire a MYCN di iniziare il processo tumorale”, conferma Giorgio Milazzo, ricercatore al Dipartimento di Farmacia e Biotecnologie dell’Università di Bologna, tra gli autori dello studio.

“A partire da questa scoperta, i nostri studi hanno permesso di dimostrare che già durante lo sviluppo embrionale il gene RUNX1T1 funziona come repressore della trascrizione genica e collabora attivamente con MYCN nell’impedire l’espressione di quei geni necessari per il differenziamento neuronale e nel promuovere al contrario la proliferazione incontrollata delle cellule”. Grazie a questo studio, quindi, il gene RUNX1T1 potrebbe diventare un nuovo bersaglio terapeutico per la lotta al neuroblastoma pediatrico, attraverso farmaci in grado di disattivarne l’azione

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La spesa per i farmaci sale del 6% e supera 36 miliardi

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Cresce del 6% la spesa farmaceutica totale, che ha raggiunto quota 36,2 miliardi di cui il 68,7% rimborsato dal Servizio sanitario nazionale (Ssn). Nel 2023 in Italia ogni giorno sono state consumate complessivamente 1.899 dosi di medicinali ogni 1.000 abitanti, il 69,7% dei quali erogate a carico del Ssn e il restante 30,3% acquistate direttamente dal cittadino. Ai primi tre posti per il consumo sono rispettivamente i farmaci per il sistema cardiovascolare, per l’apparato gastrointestinale e per il il sangue. Questi i punti salienti del Rapporto ‘L’uso dei farmaci in Italia’ nel 2023 pubblicato dall’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) e presentato oggi.

Tra le categorie di farmaci, la spesa per quelli di fascia C, a totale carico del cittadino, è cresciuta del 9,8% a 7,1 miliardi. Mentre per quanto riguarda i generici si registra un lieve aumento dei consumi negli ultimi 5 anni (+3%), ma l’Italia su questo fronte è terzultima in Europa. Dal capitolo antibiotici, emergenza sanitaria che nel 2050 potrebbe provocare oltre 39 milioni di morti nel mondo a causa dei batteri sempre più resistenti, emerge che il loro consumo risale (+6,4% nel 2023). La spesa territoriale pubblica, comprensiva di quella convenzionata e in distribuzione diretta e “per conto”, è stata, secondo il report, di 12 miliardi e 998 milioni (+3%). La spesa per compartecipazione a carico del cittadino è stata invece pari a 1 miliardo e 481 milioni, circa 25 euro pro-capite, dato in calo dell’1,3% dovuto alla riduzione del 2,5% del differenziale di prezzo rispetto al generico dovuto da chi acquista invece il farmaco “originator”.

Aumenta invece dell’1,7% la spesa per i ticket sulla ricetta o la confezione. La spesa per i farmaci acquistati dalle strutture pubbliche, poi, è stata pari a 16,2 miliardi di euro (+8,4% rispetto al 2022). I farmaci per il sistema cardiovascolare si confermano al primo posto per consumi (513,9 dosi giornaliere per 1000 abitanti), seguiti da quelli dell’apparato gastrointestinale e metabolismo (298,6 dosi) e dai farmaci del sangue e organi emopoietici (144,5 dosi). “I dati del rapporto – ha sottolineato il presidente dell’Aifa Robert Nisticò – mostrano che stiamo migliorando per appropriatezza prescrittiva e aderenza alle terapie, mentre resta stabile l’uso dei generici, tre pilastri del sistema di assistenza farmaceutica che fanno bene alla salute dei cittadini e alla tenuta dei conti pubblici. Su questi aspetti c’è tuttavia ancora molto da lavorare per garantire la migliore efficacia dei farmaci e la loro sostenibilità economica”.

Per questo “con gli esperti delle società scientifiche e delle organizzazioni mediche – ha reso noto – abbiamo aperto un tavolo sulla ‘prescrittomica’, il campo emergente di ricerca che studia la complessa interazione tra fattori genetici ed epigenetici – come quelli legati ad età, attività fisica e fattori ambientali – e il loro impatto su efficacia e sicurezza dei farmaci prescritti. Magari per depennarne qualcuno dalla lista delle prescrizioni”. “Una delle novità di quest’anno – ha spiegato Pierluigi Russo, direttore tecnico-scientifico di Aifa – è l’approfondimento sugli anziani, in particolare sulla politerapia, cioè l’uso di più farmaci concomitanti. Quasi uno su tre, il 28,5%, ne assume 10 diversi, mentre il 68% ha ricevuto prescrizioni per almeno 5 medicinali. Per questa fascia di età il problema è della scarsa aderenza alle terapie farmacologiche”. Sui dati di spesa, Russo ha osservato che “la voce che incide maggiormente sull’aumento del 5,7% della spesa rispetto al 2022 è quella dei farmaci acquistati dalle strutture sanitarie pubbliche, dove a loro volta incidono maggiormente i medicinali innovativi di recente commercializzazione per patologie rare e con un decorso grave”.

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Nuove armi anti-pandemie contro migliaia di virus

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Dai virus più noti dell’influenza stagionale a quelli emergenti dell’influenza aviaria, fino alla grande famiglia dei coronavirus alla quale appartiene anche il SarsCoV2 responsabile della pandemia di Covid-19, sono migliaia i virus nel mirino della ricerca e numerosi sono anche i batteri, primo fra tutti lo streptococco: è l’esercito minaccioso che a partire dal 2025 si preparano ad affrontare le iniziative che stanno nascendo a livello nazionale e internazionale.

“Esistono circa 30 famiglie di virus, ognuna delle quali comprende centinaia di specie e la strategia è individuare le più pericolose per concentrarsi su di esse”, ha detto Rino Rappuoli, direttore scientifico della Fondazione Biotecnopolo di Siena, a margine del convegno internazionale su virus emergenti e prevenzione delle pandemie organizzato a Trieste da Area Science Park in collaborazione con l’ l’International Centre for Genetic Engineering and Biotechnology (Icgeb). La strategia indicata da Rappuoli è quella adottata da tutti i nuovi centri che stanno nascendo. L’Italia si sta organizzando con il Centro nazionale anti-pandemico (Cnap), che si prepara a partire dal 2025.

A Trieste, con fondi del Pnrr, è nata l’infrastruttura di Area Science Park chiamata Prp@Ceric (Pathogen Readiness Platform for Ceric-Eric Upgrade).I due centri potrebbero collaborare: “conducono attività complementari: il primo fa ricerche di base, come quelle epidemiologiche, e il Centro nazionale si occupa di applicazioni, come i vaccini. E’ una collaborazione che vedo con ottimismo”, ha detto Rappuoli. Sempre dal 2025, ha aggiunto, sono previste iniziative analoghe a livello internazionale. Tra queste c’è la rete ReVampp, per la ricerca e lo sviluppo di vaccini e anticorpi monoclonali, promossa negli Stati Uniti dall’Istituto Nazionale per le Allergie e le Malattie Infettive (Niaid): “è il progetto di punta del governo americano – ha osservato l’esperto – e può contare su un finanziamento di oltre 350 milioni, destinati a progetti per sviluppare prototipi di vaccini contro grandi famiglie di virus”.

L’Unione Europea intende realizzare una sorta di hub per la ricerca sulle pandemie. Più che un’unica sede fisica, “l’idea è mettere insieme più centri di diversi Paesi europei perché collaborino fra loro”. I centri stanno organizzando anche le loro strategie di ricerca, identificando gli obiettivi prioritari. Lo stanno facendo Organizzazione Mondiale della Sanità, National Institutes of Health e Cepi (Coalition for Epidemic Preparedness Innovations). Fra i principali bersagli ci sono influenza aviaria e batteri resistenti agli antibiotici, accanto al virus Hiv responsabile dell’Aids e a quello dell’epatite C. ReVampp ha deciso di concentrarsi sulle famiglie dei virus più pericolosi con progetti da circa 50 milioni l’uno.

“Ogni progetto riguarda una famiglia di virus, che comprende centinaia di specie diverse, da studiare a fondo sviluppando vaccini e diagnostici, in modo da avere una base sulla quale lavorare se dovesse cominciare a diffondersi un virus di qualcuna delle famiglie studiate. “E’ quello che è accaduto con la pandemia di Covid-19, quando si sono sfruttate le conoscenze acquisite sulla Sars”, ha osservato Rappuoli riferendosi ai due coronavirus. “Con piccole variazioni, questo – ha concluso – è l’approccio seguito da tutti, anche in Italia”.

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Salute

I medici italiani fra i meno pagati in Europa

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Gli stipendi dei dirigenti medici sono diminuiti negli ultimi anni e gli specializzandi risultano tra i meno pagati in confronto ai colleghi di altri Paesi europei: tra il 2015 e il 2022 i salari dei dirigenti italiani sono scesi del 6,2%, mentre la retribuzione dei medici in formazione specialistica è al quint’ultimo posto in Europa, come indica un’analisi della Federazione europea dei medici salariati (Fems) – che considera i dati forniti da sindacati e associazioni mediche di 21 paesi europei – e dalla quale emerge che “l’Italia non valorizza economicamente i suoi professionisti sin dal percorso di specializzazione”. “Il quadro italiano in rapporto all’Europa appare molto allarmante, anche considerando gli ultimi dati Censis che evidenziano come nel periodo 2015-2022 i salari dei dirigenti medici in Italia siano calati del 6,2% e la spesa dei contratti a tempo indeterminato diminuita del 2,8%”, commentano Alessandra Spedicato presidente Fems e Pierino Di Silverio (nella foto imagoeconomica in evidenza), segretario nazionale del sindacato dei medici ospedalieri Anaao Assomed.

Inoltre la remunerazione dei medici in formazione specialistica in Italia, corretta per il potere di acquisto, è al disopra solo di Spagna, Grecia, Repubblica ceca e Slovacchia; la Spagna, però, recupera una posizione più vantaggiosa al momento dell’ingresso dei medici da specialisti nel sistema sanitario. Paesi come Olanda, Germania, Austria e Svezia mostrano invece sin dall’inizio della carriera un forte investimento nella remunerazione per fidelizzare e valorizzare il professionista. Il dato nuovo è, però, che, accanto alla consolidata posizione di Germania, Francia, Austria ed Olanda, si affacciano Paesi che investono molto nei professionisti sanitari, anche per arginare il fenomeno migratorio.

Spedicato e Di Silverio precisano che “non è solo una questione economica che spinge i dirigenti medici e sanitari a fuggire dagli ospedali – 8mila solo nell’ultimo anno e mezzo – ma anche le condizioni di lavoro, penalizzate dalle mancate assunzioni, le scarse possibilità di carriera – il 12% arriva ai livelli apicali, di cui solo il 2% donne – inficiate da scelte politiche che non premiano il merito, il mancato rispetto dei contratti sottoscritti, la deficitaria sicurezza dovuta al crescere delle aggressioni e le denunce civili e o penali”. Per i sindacati serve dunque “un cambio di rotta immediato, anche con questo obiettivo il 20 novembre saremo a scioperare e in piazza a manifestare, sapendo che questa giornata, in assenza di risposte positive, non resterà isolata. Se pure il governo in carica non è il solo responsabile dello stato della sanità italiana, potrebbe essere responsabile del colpo di grazia ad un Sistema sanitario nazionale in crisi profonda. La questione delle retribuzioni dei medici è questione politica perché riguarda il valore del lavoro e quello di chi lo fa, e perché una politica retributiva inadeguata disincentiva la domanda di formazione e alimenta le fughe”.

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