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Ambiente

In 4 anni raddoppiate persone esposte a caldo sopra 40 gradi

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Dall’agosto 2019 allo stesso mese del 2023 (ultimi dati disponibili) è raddoppiato il numero di italiane e italiani esposti a temperature superficiali pari o superiori ai 40 gradi centigradi nelle città monitorate daIstat, ovvero i capoluoghi di Regione e delle province autonome di Trento e Bolzano. Si tratta di oltre 8 milioni di cittadini (di cui più di 1,3 milioni sono anziani e bambini, categorie considerate come “fragili”), ovvero l’87,3% delle persone interessate dal rilevamento.

È quanto emerge dal report “L’estate che scotta”, in cui Greenpeace Italia e ricercatori di Istat hanno preso in considerazione la temperatura della superficie terrestre, ovvero il calore “al tatto” della “superficie” della Terra. Stime comunque al ribasso, dato che è stata presa in esame solo la popolazione residente, mentre il numero di persone che vive nelle città analizzate è sicuramente maggiore. “Si tratta di temperature rilevate da satelliti che fotografano la superficie terrestre dall’alto, quindi si riferiscono a tutte le superfici visibili dall’alto: tetti, abitazioni, strade, campi, chiome degli alberi. Una rilevazione che sottostima il fenomeno, dato che parliamo di rilevazioni effettuate tra le 9 e le 11 di mattina, quindi non si tratta della temperatura massima giornaliera”, spiega Alessandro Cimbelli, ricercatore dell’Istat.

Un recente studio che ha coinvolto scienziati da tutta Europa ha dimostrato che le ondate di calore in Europa sono in aumento rispetto al decennio 2000-2009, le persone esposte sono aumentate del 57%, con impatti particolarmente pronunciati nelle città a causa dell’effetto “isola di calore”. Sebbene le ondate di calore siano definite da una combinazione di fattori – innanzitutto la temperatura dell’aria -, calcolare la temperatura superficiale e la popolazione esposta resta un elemento molto rilevante, dal momento che il calore irradiato dal suolo e dalle superfici contribuisce alla vivibilità di un determinato ambiente.

“La comunità scientifica è da tempo concorde sul fatto che le ondate di calore sono rese sempre più frequenti e intense dai cambiamenti climatici, a loro volta alimentati dall’emissione di grandi quantitativi di gas serra dovuta ad attività antropiche, in particolare all’utilizzo dei combustibili fossili”, commenta Federico Spadini della campagna Clima di Greenpeace Italia. “Se vogliamo evitare temperature sempre più estreme e il loro impatto su una fetta sempre più grande di popolazione, dobbiamo mettere fine al più presto alla nostra dipendenza da petrolio, gas e carbone. I governi devono farsi promotori di una reale transizione alle fonti rinnovabili, impegnandosi al tempo stesso in interventi sul territorio per evitare gli effetti più pericolosi del caldo estremo”. Secondo gli ultimi dati disponibili per il 2024, relativi al mese di giugno, in quasi tutti i capoluoghi italiani le temperature superficiali massime sono state superiori a 35°C, arrivando a toccare soglie superiori a 39°C in 12 città sulle 21 analizzate.

Temperature superficiali record sono state rilevate a Bari, Napoli, Roma, Catanzaro, Ancona, Palermo e Campobasso, dove il termometro delle temperature superficiali ha superato i 40°C. Al Nord, Milano non è da meno con una media delle temperature superficiali massime di 39,9°C. Una situazione diffusa su tutta la penisola, quindi, come si nota analizzando nel dettaglio la percentuale di popolazione che in ogni capoluogo è stata esposta a temperature superficiali pari o superiori a 40°C. Dati alla mano, in 11 capoluoghi su 21 più del 90% della popolazione è stata interessata dal fenomeno, con picchi di percentuali oltre il 98% a Bari, Firenze, Cagliari, Napoli e Palermo. Una delle novità che emerge dell’analisi è che, come spiegano i ricercatori di Istat, anche in alcuni capoluoghi del Nord si riscontrano degli importanti valori di popolazione esposta a temperature al suolo uguali e superiori a 40°C. Prova ne sono Aosta (96,7% di popolazione coinvolta), Torino (95,6%) e Milano (91,3%). In generale, un quadro disarmante visto che in soli tre capoluoghi la percentuale di popolazione coinvolta dal fenomeno scende sotto il 60% (Trieste 51,3%, Genova 47%, Bolzano 2,1%).

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Ambiente

Cop29, respinta ipotesi di aiuti per 300 miliardi

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Alla Cop29 di Baku i paesi ricchi provano a chiudere l’accordo sul fondo di aiuti climatici, alzando l’offerta a 300 miliardi di dollari all’anno dal 2035. Ma ai paesi più poveri sembrano ancora troppo pochi: così lasciano il tavolo delle trattative, anche se non escono dal negoziato. La situazione è confusa, le riunioni si susseguono. In serata viene fissata una nuova assemblea plenaria. La Cop29 doveva chiudersi venerdì. Ma l’accordo sugli aiuti climatici (il dossier più importante) non è stato raggiunto, e la conferenza è stata prolungata ad oggi. Venerdì era stata pubblicata una bozza di documento finale sulla finanza, con un compromesso proposto dalla presidenza azera. I paesi sviluppati si impegnavano a versare 250 miliardi di dollari all’anno dal 2035 in aiuti ai paesi in via di sviluppo per la mitigazione e l’adattamento al cambiamento climatico. Questa cifra era fatta di contributi pubblici a fondo perduto, ma anche di prestiti da banche multilaterali di sviluppo e banche private. La proposta era stata respinta dai paesi emergenti e in via di sviluppo del G77+Cina.

Questi chiedono 1.300 miliardi di dollari all’anno dal 2025, prevalentemente in contributi pubblici a fondo perduto, e sostengono che non si possa scendere sotto 300 miliardi all’anno dal 2030 e 390 dal 2035 (le cifre minime di aiuti indicate da uno studio di consulenti della Cop). Oggi i paesi sviluppati hanno provato ad alzare l’offerta, arrivando a 300 miliardi. In più, hanno precisato nella bozza che i paesi in via di sviluppo possono erogare aiuti, ma non hanno alcun obbligo, e i loro soldi non rientrano nel conteggio dei 300 miliardi. Un modo per accontentare la Cina, che per l’Onu risulta ancora paese in via di sviluppo: Pechino vuole erogare i suoi aiuti senza avere vincoli. La bozza accontenta anche l’Arabia Saudita, perché non aumenta gli impegni di decarbonizzazione rispetto a quanto deciso l’anno scorso alla Cop28 di Dubai. La Ue ha dovuto cedere su questo, come pure su diritti umani e delle donne, citati in modo generico.

Ma il gruppo dei paesi meno sviluppati (Ldc) e quello dei piccoli stati insulari (Aosis) hanno bocciato anche questa proposta. “Siamo temporaneamente usciti, ma rimaniamo interessati nei negoziati finché non otteniamo un accordo equo”, ha scritto su X Jiwoh Emmanuel Abdulahi, ministro dell’Ambiente e del cambiamento climatico della Sierra Leone. Cedric Schuster, presidente dell’Alleanza dei piccoli stati insulari (Aosis), in un comunicato ha detto che “siamo usciti dalle discussioni in stallo sull’Ncgg (l’obiettivo di finanza climatica, n.d.r.), che non stava offrendo alcun progresso. Ci siamo ritrovati continuamente insultati dalla mancanza di inclusione, le nostre richieste sono state ignorate”. “Un’altra Cop sta fallendo – ha commentato Greta Thunberg su X -. La bozza attuale è un completo disastro”. Più ottimista l’invia americano sul clima, John Podesta: “Spero che sia la tempesta prima della calma”.

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In 10 anni 146 disastri meteo, agricoltura in ginocchio

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In Italia negli ultimi dieci anni, in particolare dal 2015 al 20 settembre 2024, sono stati registrati 146 eventi meteo estremi che hanno causato danni all’agricoltura, pari al 7,4% del totale degli eventi avvenuti nello stesso periodo in Italia. Lo evidenzia il report Città Clima – speciale Agricoltura di Legambiente realizzato in collaborazione con il Gruppo Unipol – indicando che “preoccupa in particolare l’accelerata degli ultimi due anni 2023-2024, con 79 eventi meteo estremi con danni al settore, che è oltre la metà del totale registrato negli ultimi 10 anni. Sei le regioni più colpite: Piemonte con 20 eventi, seguito da Emilia-Romagna (19), Puglia (17), Sicilia e Veneto (ciascuna con 14), Sardegna (11) con danni alle produzioni di frutta, ortaggi, mais, barbabietole, frutteti e vigneti che sono stati sradicati.

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Trovato un ecosistema preistorico fossile in Valtellina

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Orme di anfibi e rettili, ma anche piante, semi, impronte di pelle e persino gocce di pioggia: è un vero e proprio ecosistema fossilizzato su lastre di arenaria, quello scoperto nel Parco delle Orobie Valtellinesi in provincia di Sondrio. Riportato alla luce dallo scioglimento di neve e ghiaccio causato dal cambiamento climatico, conserva tracce di vita risalenti a 280 milioni di anni fa. I primi reperti, recuperati pochi giorni fa a 3.000 metri di quota con una spettacolare operazione supportata da un elicottero, sono stati mostrati per la prima volta al Museo di Storia Naturale di Milano.

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