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Economia

Impenna la spesa privata, 4,5 milioni rinunciano a cure

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La spesa per la salute pagata di tasca propria dagli italiani vede un’impennata del 10% nel solo 2023 ed, è insieme alle liste d’attesa, la causa che porta 4,5 milioni di persone, in Italia, a rinunciare alle cure. Questi numeri, uniti alle diseguaglianze regionali, alla migrazione sanitaria e ai pronto soccorso affollati “dimostrano che la tenuta del Servizio sanitario nazionale è prossima al punto di non ritorno”. Mentre per la spesa sanitaria c’è un gap di 52 miliardi con la media dei Paesi dell’Ue. A denunciare una “sanità pubblica in emergenza” è la fondazione Gimbe, ma il ministro della salute che rassicura “nella Legge di bilancio ci saranno risorse adeguate per la sanità”.

Mentre spetta al presidente della Repubblica Sergio Mattarella sottolineare, ancora una volta, il valore del Servizio sanitario come “risorsa preziosa e pilastro essenziale per la tutela del diritto alla salute”. Alla vigilia del G7 Salute che si sta per aprire ad Ancona, il settimo rapporto Gimbe sul Servizio Sanitario nazionale scatta la fotografia. Rispetto al 2022, nel 2023 l’aumento della spesa sanitaria totale è stato sostenuto esclusivamente dalle famiglie come spesa diretta o tramite fondi e assicurazioni. Mentre resta stabile la spesa sanitaria pubblica italiana, che rispetto alla media dei Paesi Ocse membri dell’Unione Europea, vede un gap che sfiora i 52,4 miliardi e ci “rende fanalino di coda, con una differenza ormai incolmabile con altri Paesi”.

La conseguenza è che sempre più persone, spiega Nino Cartabellotta, presidente di Gimbe, “sono costrette a pagare di tasca propria un numero crescente di prestazioni sanitarie”: si chiama spesa ‘out-of-pocket’ e, se nel periodo 2021-2022 ha registrato un incremento medio annuo dell’1,6%, nel 2023 si è impennata aumentando del 10,3% in un solo anno. Ed è questo uno dei motivi principali che nel 2023, hanno portato 4 milioni e mezzo di persone a rinunciare a visite o esami medici per diversi motivi. “La grave crisi di sostenibilità del Servizio sanitario nazionale è frutto del definanziamento attuato negli ultimi 15 anni da tutti i Governi”, osserva Cartabellotta. Ma “le previsioni non lasciano intravedere alcun rilancio del finanziamento pubblico per la sanità”: secondo il Piano Strutturale di Bilancio (Psb), il rapporto spesa sanitaria/pil si riduce dal 6,3% nel 2024-2025 al 6,2% nel 2026-2027. E, a fronte di una crescita media annua del pil nominale del 2,8%, nel triennio 2025-2027 il Psb stima una crescita media della spesa sanitaria del 2,3%. “Questi dati – spiega Cartabellotta – confermano che il definanziamento prosegue”.

E vanno di pari passo con una “crisi del personale senza precedenti”, schiacciato tra turni massacranti, burnout e basse retribuzioni. Mentre la messa a terra dei progetti della Missione Salute del Pnrr “già risente delle diseguaglianze tra Nord e Sud del Paese”. A fronte di questo Gimbe chiede un patto maggioranza-opposizione. E sono stati proprio i due principali leader dell’opposizione, Elly Schlein e Giuseppe Conte ad assistere, entrambi in presenza ma lontani fra loro, alla presentazione del rapporto.

“Chiediamo maggiori risorse per la sanità pubblica”, ha detto la segretaria del Pd, che rilancia la proposta: “la spesa che le famiglie mettono di tasca loro è aumentata di 4,3 miliardi cioè la stessa cifra che il governo ha messo sulla riforma dell’Irpef. Quindi chiederemo, anche in questa manovra, di mettere quei 4,3 miliardi sulla sanità pubblica perché, se questo non accadrà, ricadrà sulle famiglie”. Il ministro della Salute Orazio Schillaci ribatte: “nessuno nel governo vuole tagliare la sanità pubblica, cosa che l’opposizione ricorda costantemente”. Quindi precisa che gli obiettivi principali della prossima legge di bilancio sono “pagare meglio il personale” e “avere un piano pluriennale per assumere nuovi medici”.

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Stefano Cantino nuovo ceo di Gucci, obiettivo rilancio

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Stefano Cantino è il nuovo ceo di Gucci. Toccherà a lui portare il principale marchio del gruppo Kering fuori dalle secche in cui è finito, complice anche l’uscita del precedente amministratore delegato Marco Bizzarri, oggi entrato con la sua holding Nessifashion nel capitale della casa di moda di Elisabetta Franchi. Cantino, arrivato da Louis Vuitton in Gucci come deputy chief executive officer (vice-amministratore delegato) lo scorso maggio, assumerà il nuovo incarico il primo gennaio prossimo ed entrerà anche nel comitato esecutivo di Kering.

Prende il posto di Jean-François Palus, da 30 anni stretto collaboratore di Francois-Henri Pinault, che era stato nominato ceo dello storico marchio italiano a luglio 2023 con l’incarico di porre le basi per il prossimo capitolo della storia della maison e di identificare nuovi talenti, tra cui appunto il suo successore. Per il rilancio di Gucci, oggi affidato a Cantino, è stato chiamato l’anno scorso anche un nuovo direttore creativo, Sabato di Sarno. Senza ottenere tuttavia ancora risultati tangibili in un contesto di mercato peggiorato. I grandi gruppo della moda, dopo l’euforia del post-covid, devono infatti fare in conti con il rallentamento dei consumi a partire dalla Cina.

Non a caso lo scorso marzo, prima di diffondere i risultati del primo trimestre, Kering, che realizza due terzi del suo utile grazie a Gucci, ha lanciato un profit warning rivedendo al ribasso le previsioni a causa delle difficoltà a fare apprezzare ancora i suoi prodotti storici, soprattutto sul mercato cinese, mentre l’abbigliamento firmato da di Sarno hanno ancora bisogno di tempo per imporsi. Francesca Bellettini, Kering deputy ceo, responsabile per il brand development del gruppo, alla quale riporterà Cantino, si è detta riconoscente a Jean-François “durante questo periodo di transizione. Sono fiduciosa che, sulla base di ciò che è stato realizzato negli ultimi 15 mesi, Stefano e il team di Gucci raggiungeranno l’obiettivo di restituire a Gucci la leadership che merita”. Un grazie a Palus è arrivato poi da Pinault, presidente e amministratore delegato di Kering nonché azionista del gruppo francese: “Durante un periodo particolarmente complesso, Jean-François ha preso decisioni difficili di cui la maison aveva bisogno, e ha posto le basi necessarie per rinnovare Gucci affinché possa ritrovare nuovo slancio sotto la direzione di Stefano”.

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Statali, smart working più facile per i neoassunti

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Restano ampie le distanze tra Aran e sindacati sul fronte degli aumenti salariali nella trattativa per il rinnovo del contratto delle Funzioni centrali mentre passi avanti sono stati fatti sullo smart working. Si prevede la è possibilità di inserire nella contrattazione integrativa una semplificazione per l’accesso al lavoro agile dei neo assunti. Una misura che punta a rendere più appetibile l’impiego pubblico, soprattutto nelle grandi città del Nord, a fronte dell’alto costo della vita. La trattiva riprenderà il 28 ottobre con l’obiettivo di affrontare il tema delle risorse per il rinnovo. Su questo tema i sindacati sono in allarme e l’Usb ha deciso di abbandonare il tavolo del confronto e proclamare uno sciopero per il 31 ottobre.

I sindacati del pubblico impiego di Cgil, Cisl e Uil hanno invece già fissato una manifestazione per sabato 18 ottobre a sostegno del rinnovo del contratto per il recupero del potere d’acquisto rispetto all’inflazione e per un piano straordinario di assunzioni. Al momento la bozza presentata prevede aumenti sulla retribuzione tabellare tra i 110,40 euro mensili a regime per gli operatori e i 193,90 euro per le elevate professionalità pari a circa il 7,2% degli stipendi. Ma questo, lamentano i sindacati, significa programmare la riduzione dei salari dato che nel triennio 2022-2024 i prezzi sono saliti di circa il 15%. E’ stato previsto all’interno delle aree, a livello della contrattazione di sede, che il negoziato consenta di stabilire dei differenziali stipendiali da attribuire, “segnando, dice la Uil, un indubbio passo in avanti” ma comunque questo non basterà a colmare il gap. Il presidente dell’Aran, Antonio Naddeo, pur dispiaciuto per l’abbandono del tavolo da parte dell’Usb, si è detto fiducioso sulla possibilità che si arrivi a un accordo entro il 2024, ultimo anno di vigenza del contratto.

“La trattativa per il rinnovo del contratto – dice il segretario nazionale Fp-Cgil Florindo Oliviero – rischia di finire su un binario morto se il Ministro per la PA e il governo non si decidono a mettere a disposizione le risorse necessarie per garantire l’adeguamento dei salari all’inflazione. Siamo sempre fermi al punto che lo stipendio di un funzionario, nel triennio 2022/2024 ha avuto una svalutazione da inflazione pari a 290 euro e il recupero proposto dall’Aran si ferma a 141 euro. Basta parlare del governo che fa i contratti in tempi più rapidi dei precedenti. I contratti si fanno quando sono dignitosi e questo non lo sarebbe”. “Per noi elemento dirimente per la sottoscrizione – afferma il numero uno della Uilpa, Sandro Colombi – è la disponibilità di nuove risorse economiche.

Responsabilmente, continueremo la trattativa in Aran fino all’ultimo giorno possibile. Ma nel frattempo scenderemo in piazza il 19 ottobre per l’ennesimo grido d’allarme sullo stato di salute dei servizi pubblici e per risvegliare le coscienze di chi ci governa affinché provveda a investimenti degni di questo nome a favore delle Funzioni Centrali”. Nel contratto oltre alla parte salariale resta centrale il tema dello smart working che in molte realtà può essere determinante per il candidato che ha vinto il concorso nella decisione di accettare o meno il posto di lavoro. “Nella definizione del contratto integrativo – si legge nella proposta presentata ai sindacati – le parti valuteranno l’adozione di strumenti volti a favorire l’inserimento del personale neoassunto quali, ad esempio, politiche di welfare e/o accesso al lavoro a distanza”.

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L’export del settore orafo nel semestre supera i 7 miliardi

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Grazie a una crescita di 2,3 miliardi di euro, le esportazioni del settore orafo italiano superano i 7 miliardi di euro nei primi sei mesi del 2024, con un aumento del 48,8% in valore e del 37% in quantità. E’ quanto emerge da una analisi degli economisti del research department di Intesa Sanpaolo. Gran parte della crescita, evidenzia l’analisi, è spiegata dal forte incremento di esportazioni verso la Turchia che sono passate da 368 milioni nel primo semestre 2023 a 2,7 miliardi di euro nello stesso periodo 2024. Quello turco diventa il primo mercato di sbocco per effetto anche di politiche all’importazione introdotte nel paese e agli effetti delle tensioni geopolitiche che rafforzano il ruolo di hub di questo mercato.

Si consolida così il ruolo del settore orafo italiano nel contesto europeo: l’Italia copre infatti il 56% delle esportazioni dell’area Ue 27. Nei primi sei mesi del 2024, la domanda mondiale di gioielli in oro si è attestata a 870 tonnellate con un calo complessivo del 10,2%, frutto di un primo trimestre di poco sotto il 2023 (-2,0%) e un secondo trimestre con un calo più severo (-18,5%), a fronte di un prezzo dell’oro espresso in euro/oncia che è cresciuto nel semestre del 14,1%.

La Cina resta il primo mercato per domanda nonostante nel periodo gennaio-giugno abbia subito un calo del 17,4% (se si considerano anche Hong Kong e Taiwan la variazione sarebbe del -17,0%). Con oltre 200 tonnellate, l’India si colloca al secondo posto per rilevanza e ha registrato nel semestre un calo dell’8,4%. Anche in Medio Oriente, il calo del 7% del primo semestre è principalmente legato all’aumento del prezzo dell’oro che ha raggiunto nuovi massimi. Negli Stati Uniti il calo è stato del 3,6%.

Anche la lettura del settore attraverso le specializzazioni distrettuali risulta particolarmente influenzata dall’evoluzione dell’export verso la Turchia. Nel distretto di Arezzo si è passati da 280 milioni a 2,4 miliardi (+748%), mentre nonostante il valore sia più che raddoppiato anche a Vicenza (+138%) gli importi restano su valori più contenuti (150 milioni di euro), così come a Valenza dove la crescita è stata del 12% con un valore complessivo nel primo semestre di 4 milioni di euro.

Di conseguenza, il distretto di Arezzo ha visto le vendite all’estero più che raddoppiare (+136%), mentre gli altri territori monitorati mostrano una buona dinamica, ma più contenuta, con una crescita del 17% per Vicenza e dell’1% per Valenza. Complessivamente i tre distretti hanno realizzato esportazioni per 6,1 miliardi con una crescita di 2,4 miliardi rispetto al primo semestre 2023 pari al +65 per cento.

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