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Il Venezuela e la crisi russo-ucraina: interessi strategici, geopolitica dell’energia, culture morali della guerra

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Si potrebbe dire che il Venezuela è il più sofisticato sistema d’arma, di nuovissima generazione, impiegato dal “fronte Biden” nel conflitto russo-ucraino. E tuttavia non lo dirò. Tocca all’intelligenza collettiva rendersene conto. Metabolizzando l’idea che si possono combattere guerre atroci, senza soldati propri, bensì servendosi di militari altrui e, soprattutto, di strumenti bellici privi di uomini in armi (droni, profughi, sanzioni).

Qualcuno, a proposito dell’attuale America first, parla di doppiopesismo. E sarebbe facile unirsi al coro di quanti sostengono l’uso strumentale della moralità nella politica internazionale degli Stati Uniti. Stabilendo arbitrariamente chi è buono e chi è cattivo. Quanto uno Stato sia buono o cattivo. Quale sia il calendario delle punizioni, con la loro modulabile intensità. Béh, sì: grande è la tentazione di dire: insopportabile. Ma neppure questo dirò.

Il conflitto russo-ucraino. C’è la guerra sul campo e c’è quello che accade sui mercati per leadership globale della Cina di Xi e gli Usa di Biden

Dirò invece: si può fare. Il Venezuela ha messo sotto gli occhi di tutti, in modo chiaro e irrefutabile, che si può fare. Quel che sosteniamo da tempo su questo giornale: qualsiasi accordo si può fare, anche se n.o.n. un accordo qualsiasi. Sulla base di un compromesso, un’intesa si trova: purché si abbia la volontà di venirsi incontro. Rinunciando alle pre-condizioni capestro, alle imposizioni, allo spirito punitivo. E dunque: si è chiuso un preliminare, complesso negoziato a Città del Messico, con la mediazione della Norvegia, della Francia, della Colombia, del Messico ospitante. Un negoziato tra il Venezuela e gli USA, tra il potere in carica a Caracas e la variegata piattaforma delle opposizioni. Si, avete capito bene: quelle opposizioni a cui Nicholas Maduro dava la colpa di tutto, quella inconcepibile “destra golpista, interventista, terrorista e progringa”. 

Nicholas Maduro. Il regime chavista è da sempre nel mirino degli Usa 

Senza dimenticare che nell’accordo è incluso l’impegno per libere e trasparenti elezioni nel 2024, con supervisione internazionale. 

E ciò, nel nome altamente morale del popolo venezuelano, con i suoi sette milioni di profughi disperati (numerosi come quelli ucraini), con la violenza endemica, con la malnutrizione, con l’impossibilità di curarsi, con la degradazione della società e del territorio. 

Grazie a questo accordo, il cattivissimo Maduro si veste di nuovi panni, ora che il petrolio venezuelano (la prima riserva mondiale) può servire a parare le defaillances lasciate dal petrolio russo in giro per il mondo a causa dell’embargo americano e Occidentale. 

Shanghai Cooperation Organization. Di recente anche l’Iran è stato ammesso allo SCO

Dal suo canto, la Chevron (profitti per oltre 11 miliardi di $ nel 3° trimestre 2022, con utili addirittura sestuplicati per le vendite fuori dagli USA), ha avuto dalla Casa Bianca un “permesso” di sei mesi per riavviare un processo estrattivo ridotto al lumicino con la PDVSA, l’azienda di Stato venezuelana per il petrolio. E’ solo il primo passo, s’intende. Sarà necessario almeno un quinquennio ed investimenti di 12 miliardi di $ l’anno per rimodellare una geopolitica dell’energia destrutturata dalla crisi ucraina. Una geopolitica degli idrocarburi che:

  1. Faccia sparire (o quasi) la Russia dalla mappa delle relazioni energetiche fossili dell’Occidente,
  2. Ri-orienti in modo ancora più accelerato la dimensione “asiatica” delle politiche energetiche russe, con in primo piano la Cina, l’India, e i paesi della SCO (Shanghai Cooperation Organization) di cui si è riaffermato il senso geopolitico di vasto respiro lo scorso settembre a Samarcanda (ne abbiamo ragionato su juorno.it).
  3. Conviva con un punto interrogativo enorme sulle ralazioni nucleari civili, dominate alla Russia e tutt’oggi attivissime, grazie al gigante atomico Rosatom: più di 300 imprese, 275.000 impiegati, operai, tecnici, contratti firmati con 50 Paesi in tutto il mondo; sui 440 reattori nucleari in esercizio sul nostro pianeta, almeno 80 sono di concezione russa. 
  4. Recuperi a questo vasto disegno incentrato per ora sul Venezuela in funzione antirussa, i riottosi Paesi del Golfo e primariamente l’Arabia Saudita che, sebbene sia stata recentemente “riabilitata” da Washington,  non dimenticherà facilmente di aver sperimentato sulla sua pelle il doppiopesismo americano, con il padrone di Ryad, il principe Mohammed bin Salman, accusato di essere un assassino, mandante dell’omicidio del giornalista Jamal Khashoggi presso il consolato saudita di Istanbul (2018).
  1. Sganci il Venezuela dalla rete di alleanze –Cina e Russia, soprattutto- che ne ha garantito la sopravvivenza negli anni bui delle sanzioni americane.
  2. Rimetta in moto, in questi nuovi scenari, a tutela degli interessi sub-continentali, i Paesi latino-americani, le “nuove sinistre” in grado di dialogare con quel Venezuela che uscirà dalle elezioni del 2024, e primariamente il Brasile di Lula, dopo il letargo bolsonarista. 

Si è fatto a Città del Messico per Caracas? Si può fare a Istanbul per Kiev e per Mosca, anche se la Russia, potenza atomica, non è il Venezuela. Ebbene si faccia! Si trovino i punti di intesa, le composizioni possibili, fuori dalla territorial trap, i compromessi accettabili per gli ucraini e, ad un tempo, non umilianti per i russi. Si chiuda infine questa guerra, tanto lunga quanto inutile, per la quale nessuno sembra coltivare il buon senso di una praticabile ipotesi di pace      

Angelo Turco, africanista, è uno studioso di teoria ed epistemologia della Geografia, professore emerito all’Università IULM di Milano, dove è stato Preside di Facoltà, Prorettore vicario e Presidente della Fondazione IULM.

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Da Putin a Gheddafi, i leader nel mirino dell’Aja

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Con il mandato d’arresto spiccato contro il premier israeliano Benyamin Netanyahu, insieme all’ex ministro della Difesa Yoav Gallant, si allunga la lista dei capi di Stato e di governo perseguiti dalla Corte penale internazionale con le accuse di crimini di guerra e crimini contro l’umanità. Da Muammar Gheddafi a Omar al Bashir, e più recentemente Vladimir Putin. Ultimo in ordine di tempo era stato appunto il presidente russo, accusato nel marzo del 2023 di “deportazione illegale” di bambini dalle zone occupate dell’Ucraina alla Russia, insieme a Maria Alekseyevna Lvova-Belova, commissaria per i diritti dei bambini del Cremlino.

Sempre a causa dell’invasione dell’Ucraina nel mirino della Corte sono finiti in otto alti gradi russi, tra cui l’ex ministro della Difesa Sergei Shoigu e l’attuale capo di stato maggiore Valery Gerasimov: considerati entrambi possibili responsabili dei ripetuti attacchi alle infrastrutture energetiche ucraine. Prima di Putin, nel 2011 l’Aja accusò di crimini contro l’umanità Muammar Gheddafi, ma il caso decadde con la morte del rais libico nel novembre dello stesso anno.

Un simile provvedimento fu emesso per il figlio Seif al Islam e per il capo dei servizi segreti Abdellah Senussi. Tra gli altri leader di spicco perseguiti, l’ex presidente sudanese Omar al Bashir: nel 2008 il procuratore capo della Corte Luis Moreno Ocampo lo accusò di essere responsabile di genocidio e crimini contro l’umanità e della guerra in Darfur cominciata nel 2003. Anche Laurent Gbagbo, ex presidente della Costa d’Avorio, è finito all’Aja, ma dopo un processo per crimini contro l’umanità è stato assolto nel 2021 in appello.

Nel 2016 la Corte penale internazionale ha condannato l’ex vicepresidente del Congo, Jean-Pierre Bemba, per assassinio, stupro e saccheggio in quanto comandante delle truppe che commisero atrocità continue e generalizzate nella Repubblica Centrafricana nel 2002 e 2003. Il signore della guerra ugandese Joseph Kony, che dovrebbe rispondere di ben 36 capi d’imputazione tra cui omicidio, stupro, utilizzo di bambini soldato, schiavitù sessuale e matrimoni forzati, è la figura ricercata dalla Cpi da più tempo: il suo mandato d’arresto venne spiccato nel 2005. Tra gli altri dossier aperti e su cui indaga l’Aja c’è l’inchiesta sui crimini contro la minoranza musulmana dei Rohingya in Birmania. Un’altra indagine è quella su presunti crimini contro l’umanità commessi dal governo del presidente venezuelano Nicolas Maduro. E non è solo l’Aja ad aver processato capi di Stato e di governo: nel 2001, l’ex presidente Slobodan Milosevic fu accusato di crimini di guerra, genocidio e crimini contro l’umanità dal Tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia. Arrestato, morì d’infarto in cella all’Aja nel 2006, prima che il processo potesse concludersi.

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Mandato di arresto della Corte Penale Internazionale contro Netanyahu e Gallant: accuse e reazioni

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La Corte Penale Internazionale (CPI) ha emesso un mandato di arresto internazionale nei confronti del premier israeliano Benjamin Netanyahu e dell’ex ministro della Difesa Yoav Gallant. La decisione riguarda le accuse legate alle azioni militari israeliane durante la guerra a Gaza e ha suscitato reazioni contrastanti a livello internazionale.

Le accuse della Corte Penale Internazionale

Secondo la Camera preliminare I della CPI, esistono fondati motivi per ritenere che azioni come il blocco dell’accesso a cibo, acqua, elettricità e forniture mediche abbiano creato condizioni di vita tali da causare la morte di civili nella Striscia di Gaza, inclusi bambini.

La corte ha precisato che, pur non potendo confermare tutti gli elementi necessari per configurare il crimine di sterminio come crimine contro l’umanità, ha riscontrato prove sufficienti per l’accusa di omicidio come crimine contro l’umanità.

La reazione di Israele

La decisione della CPI è stata duramente criticata dal presidente israeliano Isaac Herzog, che l’ha definita un “giorno buio per la giustizia e l’umanità”. Secondo Herzog, la decisione è “presa in malafede” e rappresenta una distorsione della giustizia internazionale.

Il presidente ha anche evidenziato che:

  • La corte “ignora la difficile situazione degli ostaggi israeliani” detenuti da Hamas.
  • Non considera l’uso di civili come scudi umani da parte di Hamas.
  • Trascura il diritto di Israele a difendersi dopo l’attacco subito.

Herzog ha inoltre accusato la CPI di schierarsi con il terrore anziché con la democrazia e la libertà, sottolineando il rischio di destabilizzazione regionale causato dall’”impero iraniano del male”.

Le implicazioni della decisione

La decisione della CPI ha messo in discussione il delicato equilibrio tra il diritto internazionale e la sovranità nazionale. Da un lato, le accuse sottolineano presunte violazioni del diritto umanitario internazionale; dall’altro, il governo israeliano sostiene che la corte stia ignorando le circostanze che hanno portato al conflitto, come gli attacchi subiti e la necessità di difesa.

Questo mandato di arresto solleva interrogativi su come le istituzioni internazionali possano bilanciare il perseguimento della giustizia con il riconoscimento delle complessità dei conflitti moderni.

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Spagna, imprenditore sotto inchiesta denuncia: diedi 350mila euro a ministro e consulente

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L’imprenditore Victor de Aldama (nella foto col premier, che non è sotto accusa in questa inchiesta), uno dei principali accusati della rete di corruzione e tangenti al centro dell’inchiesta nota come ‘caso Koldo’, ha tentato oggi di coinvolgere numerosi esponenti dell’esecutivo, mentre il Psoe ha annunciato azioni legali per diffamazione. In dichiarazioni spontanee oggi davanti al giudice dell’Audiencia Nacional titolare dell’indagine, de Aldama ha segnalato anche il premier Pedro Sanchez, che a suo dire lo avrebbe ringraziato personalmente per la gestione che stava realizzando a favore di imprese spagnole in Messico, della quale “lo tenevano informato”, secondo fonti giuridiche presenti all’interrogatorio citate da vari media, fra i quali El Pais e Tve.

Al punto che lo stesso presidente avrebbe chiesto di conoscerlo, per ringraziarlo, in un incontro che – a detta dell’imprenditore, presidente del club Zamora CF e in carcere preventivo per altra causa – avvenne nel febbraio 2019 nel quartiere madrileno di La Latina, durante un meeting socialista. Un incontro che sarebbe documentato nella fotografia con Pedro Sanchez, pubblicata da El Mundo il 3 novembre scorso. Il presunto tangentista avrebbe sostenuto che Koldo Garcia, da cui deriva il nome del ‘caso Koldo’, divenne consulente dell’ex ministro dei Trasporti, José Luis Abalos, per decisione dello stesso Sanchez. Avrebbe sostenuto, inoltre, di aver consegnato tangenti per 250.000 euro ad Abalos e per 100.000 euro Koldo Garcia, arrivando a dire “io non sono la banca di Spagna, state esagerando”, secondo le fonti citate.

La rete di corruzione si sarebbe avvalsa dell’ex segretario di organizzazione del Psoe, Santos Cerdàn, al quale Aldama sostiene di aver consegnato una busta con 15.000 euro. Il tangentista avrebbe affermato anche si essersi riunito in varie occasioni con la ministra Teresa Ribera, per un presunto progetto di trasformazione di zone della Spagna disabitata in parchi tematici, secondo fonti giuridiche citate da radio Cadena ser. Un progetto al quale avrebbe partecipato anche Javier Hidalgo, Ceo di Globalia e al quale fu presente, in almeno una riunione, Begona Gomez, moglie di Pedro Sanchez. Fonti governative, riportate da Cadena Ser, definiscono un cumulo di menzogne le dichiarazioni di Aldana, che “non ha alcuna credibilità” ed è in carcere preventivo, per cui punterebbe a ottenere un trattamento favorevole in una prevedibile condanna.

“Il presidente del governo non ha né ha avuto alcuna relazione” con Aldama, segnalano le fonti. “Tutto quello che dice è totalmente falso”, ha dichiarato da parte sua ai cronisti Santos Cerdàn, “Questo signore non ha alcuna credibilità, sta tentando di salvarsi dal carcere. Non ha alcuna relazione con il presidente del governo, io non ho ricevuto mai denaro da lui e non lo conosco”, ha aggiunto l’esponente socialista, annunciando azioni .giudiziarie. Lo stesso ha fatto il portavoce parlamentare del Psoe, Patxi Lopez, che ha confermato “azioni legali” del partito della rosa nel pugno “perché la giustizia chiarisca tutte queste menzogne”.

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