Le ragioni della protesta di Melendugno degli attivisti del M5S che chiedono le dimissioni dei parlamentari eletti nel Salento anche con i loro voti restano lì, sullo sfondo. Chi protesta, chi contesta il gasdotto, ha le sue ragioni. E queste ragioni prova a farle sentire in maniera civile in tutte le sedi.
Noi proviamo a capire che cosa c’è di vero in quello che dice il capo del Movimento 5 Stelle, Luigi Di Maio, che non ha né pensato nè progettato il gasdotto, men che meno ne aveva previsto lo sbocco sulla costa Salentina. Oggi che Di Maio è al Governo e il suo Movimento ha responsabilità di Governo, deve rappresentare gli interessi di tutto il Paese, compresi quelli degli attivisti no-Tap che bruciano la bandiera del Movimento Cinque Stelle, che contestano il ministro per il Mezzogiorno Barbara Lezzi, che le dicono “vattene dal Salento”. Ogni protesta, quando è civile va ascoltata, magari se ne trae un insegnamento. La domanda è: risponde a verità quello che dice Di Maio circa le penali che l’Italia dovrebbe pagare se l’opera non si facesse? O meglio, è vero che queste penali ammonterebbero tra i 20 e i 30 miliardi di euro? C’è una deputata grillina, Sara Cunial, che sostiene il contrario. “Sebbene esista un trattato trilaterale, proprio in quel documento è scritto che le penali sono subordinate agli Hga (Host Government Agreement) cioè agli accordi tra il governo ospitante e Tap, che l’Italia non ha firmato” spiega la signora Cunial. A leggere le dichiarazioni della deputata, c’è già la prima conferma che le penali ci sono.
Il Tap in Grecia. Il premier Tsipras alla inaugurazione di un cantiere
Il tema è dunque: ci sono penali da “20 miliardi” da pagare se non si fa il Tap, come sostiene il ministro dello Sviluppo Luigi Di Maio, che ovviamente non può citare a vanvera cifre e accordi? O anche penali più salate come sostiene qualcun altro? O non ci sono affatto penali, come invece dicono alcuni esponenti del Pd e l’ex ministro dello Sviluppo Economico Carlo Calenda?.
Il Tap in Adriatico. Una base in mare aperto in Adriatico davanti le coste albanesi
Il Trans Adriatic Pipeline deve portare in Europa il gas dell’Azerbaigian via Grecia e Albania e la questione è che questa opera non l’ha autorizzata il Governo in carica, che l’ha ereditata. Diciamo che tutta la fase di elaborazione, trattative tra stati, Progettazione, esecuzione di buona parte delle opere già in Azerbaijan, Albania e Grecia sono state appannaggio del Governo Letta, Renzi, Gentiloni.
Fare retromarcia rispetto agli accordi fatti e firmati con altri Paesi e aziende terze, espone l’Italia a penali o risarcimenti da pagare.
Il 23 luglio passato, il presidente Sergio Mattarella nel corso di una visita di Stato in Azerbaijan, rassicurò il governo di Baku (e tutti quelli che vogliono la Tap per ridurre la dipendenza di Italia ed Europa dal gas russo) che il progetto non subirà ritardi, nonostante l’opposizione del movimento no Tap. Anzi, per il 2020 è previsto, da progetto siglato dal Governo Renzi, la erogazione del gas azero in Italia.
Il Tap. Il management del Tap è composto da dirigenti di aziende come Bp, Snam, Hera, Socar
La Socar (State Oil Company of Azerbaijan Republic, in azero Azərbaycan Respublikası Dövlət Neft Şirkəti) e la Bp (la British Petroleum è una delle società petrolifere internazionali leader nel mondo) entrambi azionisti del consorzio Tap, “hanno indicato danni complessivi per il ritiro dell’Italia dal progetto tra 40 e 70 miliardi di euro. Una stima che comprende i costi di approvvigionamento maggiori e mancato gettito fiscale per l’Italia”.
I movimenti no-Tap già conoscono quelle cifre, e con una richiesta di accesso agli atti, vollero sapere dal ministero dello Sviluppo economico se quelle stime hanno un fondamento. Il 27 settembre passato, alla richiesta, rispose il direttore generale Gilberto Dialuce. La Tap, scrisse Dialuce, “non prevede finanziamenti dello Stato italiano, una eventuale revoca dell’autorizzazione rilasciata e riconosciuta legittima da tutti i contenziosi amministrativi, con il conseguente annullamento del progetto, causerebbe una serie di danni a soggetti privati”. Che sono parecchi: la società costruttrice Tap, quelle che hanno avuto i lavori in appalto, gli esportatori di gas azero e le società italiane (Enel, Hera ed Edison) che hanno prenotato le forniture di gas dal 2020 con contratti di durata venticinquennale.
Il premier Conte, in una lettera ai cittadini di Melendugno resa nota ieri sera, ricorda che Socar, BP , Snam, Fluxys, Enagas, Axpo, azionisti di Tap, chiederebbero indietro “i costi di costruzione e di mancata attuazione dei relativi contratti e per il mancato guadagno da commisurare all’ intera durata della concessione”.
Come si chiamano queste richieste? Risarcimenti dei danni subiti o penali? Quale che sia il nome, l’Italia avrebbe dei danni per miliardi. Ora se sono 20 o 40 forse è presto per dirlo. Secondo il ministero dello Sviluppo e secondo il premier Conte (che è pugliese), uno stop unilaterale da parte dell’Italia sarebbe una violazione degli impegni presi con l’accordo intergovernativo del 2013 con Grecia e Albania. La cancellazione dell’opera farebbe scattare “cause o arbitrati internazionali in base alle convenzioni internazionali firmate dall’Italia che proteggono gli investimenti esteri effettuati da privati”.
Il risultato sarebbe una raffica di “richieste di rimborso degli investimenti effettuati nonché dei danni economici connessi alle mancate forniture, anche al di fuori del territorio italiano, nei confronti dello Stato italiano” spiegano al ministero dello Sviluppo Economico i dirigenti che seguono da anni la vicenda Tap. Se Di Maio parla di 20 miliardi di euro di penali, Conte sostiene che si va dai “20 ai 35 miliardi” di euro. Queste informazioni non sono segrete, anzi sono pubbliche e fanno parte del patrimonio di conoscenze di chi protesta (il Movimento No Tap) e di chi quella protesta l’ha cavalcata, in termini di consenso. Se volete sapere che cos’è il Tap, quali aziende si sono consorziate per realizzare il Tap, quali sono i Paesi interessati e altre curiosità, basta andare sul sito del Tap. È la voce del Tap, sappiatelo. Ma potete farvi una opinione più consapevole di quel che è.
Sospendere gli sfratti durante il Giubileo, a partire da quelli per ‘morosità incolpevole’ ossia legati alle difficoltà nel pagare l’affitto. A lanciare la moratoria per l’Anno Santo sono la Caritas di Roma e la Diocesi, nel giorno in cui è stato presentato il nuovo rapporto sulla povertà nella capitale.
“Ci piacerebbe promuovere una moratoria affinché nel Giubileo non vi siano sfratti”, ha detto il Vicario per la città, mons. Baldo Reina. Un appello subito accolto dalle istituzioni locali. “Mi farò portavoce nei confronti del governo perché penso sia giusto che nel Giubileo si vari una moratoria straordinaria sugli sfratti” ha assicurato il sindaco di Roma, Roberto Gualtieri, ricordando che era già stato fatto durante il Covid e che è necessario un “atto normativo”. Sulla stessa linea il presidente della Regione Francesco Rocca. “Sosterrò già dal prossimo Tavolo sul Giubileo questa istanza” ha detto il governatore sottolineando: “Il prefetto è un uomo di grandissimo equilibrio e attenzione sappiamo per certo che intere aree di edilizia residenziale pubblica sono in mano alla criminalità mentre ci sono persone fragili”. E in tal senso ha annunciato che sono in arrivo risorse per il sostegno all’affitto e per il contrasto alla povertà alimentare.
“Nei prossimi giorni, siamo in fase di legge di bilancio e stabilità, ci saranno misure interessanti” ha promesso Rocca. Un impegno apprezzato dal sindaco Gualtieri che ha definito l’ipotesi del contributo regionale “molto positiva”. Di diverso avviso sulla moratoria per gli sfratti il presidente dei senatori di FI, Maurizio Gasparri: “La proprietà privata non si tocca ed il proprietario di un immobile è giusto che possa agire, sempre, per garantire il suo bene – ha tuonato -. Se Gualtieri si fa garante delle occupazioni illegali, noi ci facciamo portavoce, come sempre, della tutela della proprietà privata”.
Intanto dal VII rapporto della Caritas di Roma, una lettura della città dal punto di vista dei poveri, emerge che la quota di persone a rischio di povertà nella capitale è del 12,7%. Lo scorso anno c’è stato un aumento del 21% delle persone accolte nelle tre mense sociali. Complessivamente gli ‘ospiti’ sono stati 11.124, con 322.058 pasti distribuiti in convenzione con Roma Capitale. Otto su dieci sono uomini. In crescita anche le persone che si sono rivolte ai centri di ascolto (3 quelli diocesani e 201 nelle parrocchie). Sono state accolte in tutto 13.162 persone, segnando un +12% rispetto al 2022 e superiori a quelle incontrate durante l’emergenza Covid. A chiedere aiuto continuano a essere prevalentemente le donne, il 60% del totale. A pesare, secondo la Caritas, anche il “progressivo venire meno del Reddito di cittadinanza e l’istituzione dell’Assegno di inclusione e del Supporto alla formazione, misure che solo in parte hanno sostituito i trasferimenti che ricevevano le famiglie più povere”.
“Abbiamo bisogno di metterci in ascolto” ha detto il vicario generale per la diocesi di Roma, Baldo Reina che, riguardo al recente appello del Papa ai parroci ad offrire spazi ai poveri, ha annunciato: “La settimana prossima incontreremo i superiori degli istituti religiosi e i 36 parroci prefetti per metterci all’opera”. Tra le proposte concrete per il Giubileo quella di “arrivare a 100 parrocchie che forniscono il doposcuola” ha spiegato il direttore della Caritas di Roma, Giustino Trincia, che è intervenuto anche sulla questione delle tensostrutture pensate per offrire accoglienza ai senza fissa dimora. “La polemica mi sembra un po’ campata in aria. E’ chiaro che non è soluzione ma nel frattempo queste persone stanno nelle tende. In questa fase che facciamo?” ha detto Trincia. Dal canto suo Gualtieri ha assicurato: “Le tensostrutture si faranno tutte e quattro. Si sta procedendo secondo i piani e saranno pronte per il Giubileo”.
Il segretario regionale del Psi, Michele Tarantino ha convocato una riunione insieme ai membri della direzione nazionale di Napoli(Antonio Demitry, Roberto De Masi, Pasquale Sannino e Antonella Marciano, Felice Laudadio), al consigliere regionale socialista, Andrea Volpe, Marco La Monica, Felice Iossa e Giulio Di Donato, per discutere il nuovo percorso politico del Partito Socialista Italiano in vista delle Regionali 2025. Il PSI lancia un appello a tutte le forze riformiste, ai movimenti civici e a quei cittadini “che non si sentono rappresentati dagli attuali partiti ma vogliono contribuire a costruire una proposta politica innovativa, inclusiva e concreta.
La lista socialista è pronta ad accogliere le istanze di chi desidera un Mezzogiorno più forte, coeso e protagonista di un’Italia moderna e solidale. Invitiamo tutte le realtà riformiste, associative e civiche, e i cittadini che non si riconoscono nei partiti tradizionali a unirsi alla nostra lista e al nostro progetto. Insieme possiamo costruire una Campania e un Mezzogiorno più giusti, moderni e capaci di rispondere alle sfide del futuro”. “La recente bocciatura da parte della Corte Costituzionale delle proposte di autonomia differenziata rende evidente la necessità di ripensare il regionalismo in Italia”.
Il PSI “intende aprire un dibattito serio e costruttivo su questo tema cruciale per il futuro del Mezzogiorno. A gennaio, avvieremo una grande Conferenza sul Regionalismo, coinvolgendo esperti, rappresentanti istituzionali e cittadini. Sarà un’occasione per elaborare proposte innovative che coniughino equità territoriale, efficienza amministrativa e solidarietà tra i territori, garantendo risorse e opportunità uguali per tutti”. “Guardando alle elezioni regionali del 2025, il PSI invita tutto il centro-sinistra ad avviare un dialogo aperto e costruttivo per definire un programma condiviso e ambizioso, così come indicato dal Segretario Nazionale, Enzo Maraio. È necessario rispondere insieme alle sfide della Campania, con particolare attenzione a temi come la giustizia sociale, la sanità, il lavoro, l’ambiente e il rilancio del Mezzogiorno. L’obiettivo è costruire una coalizione forte e coesa, in grado di offrire ai cittadini una visione chiara e condivisa per il futuro della Regione”, conclude la nota.
Tre universita’ e cinque ospedali ”storici” italiani compariranno sui francobolli italiani. L’emissione dedicata alle università e’ stata emessa oggi e riguarda le universita’ di Napoli, Trieste e Firenze. La serie dedicata agli ospedali comparira’ invece il 24 novembre prossimo e riguardera’ ospedali di Roma, Milano, Napoli, Venezia e Firenze. Le vignette dei francobolli (tutti validi per la posta ordinaria) mostrano per le universita’:
-una prospettiva della facciata principale dell’Università degli Studi di Napoli” Federico II” istituita il 5 giugno 1224 dall’Imperatore del Sacro romano Impero;
-su uno sfondo che riprende i colori istituzionali del centenario dell’Università degli Studi di Trieste, una rivisitazione del logo dell’anniversario che raffigura, un’illustrazione al tratto, l’edificio centrale dell’Ateneo;
-l’ingresso del Rettorato dell’Università degli Studi di Firenze che, nel 2024, celebra i 100 anni dalla sua fondazione; Per gli ospedali le vignette mostrano;
-ospedale di Santa Maria Nuova di Firenze: il Loggiato di ingresso, progettato da Bernardo Buontalenti nel 1574, in cui è visibile l’affresco “Annunciazione” del XVII secolo attribuito al Pomarancio; -ospedale civile Santi Giovanni e Paolo di Venezia;
– il Portego delle Colonne della Scuola Grande di San Marco a Venezia (1485-1495);
-Ca’ granda ospedale maggiore policlinico di Milano: la Sala del Capitolo d’estate, edificata nel 1637 su progetto di Francesco Richini, che ospita l’archivio storico;
-ospedale di Santo Spirito in Sassia di Roma: le Corsie Sistine risalenti al XV secolo; -ospedale di Santa Maria del Popolo degli Incurabili di Napoli: la Farmacia storica degli Incurabili con i vasi in maiolica del 1747-1751.