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Il silenzio imbarazzato di Obama sul disastro Usa a Kabul

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 In uno dei momenti piu’ bui della storia americana, su Joe Biden incombe anche il lungo, imbarazzato e imbarazzante silenzio di Barack Obama dopo la caduta di Kabul nelle mani dei talebani e l’umiliante caos del ritiro americano. Altri predecessori si sono gia’ pronunciati. George W. Bush, pur astenendosi dal commentare la decisione dell’attuale presidente, ha lanciato un appello ad aiutare gli afghani che hanno collaborato con gli Usa. Mentre Donald Trump, manco a dirlo, ha bollato l’evacuazione finale come un “totale disastro” e “una vergogna per gli Usa”. Invece finora dal premio Nobel per la pace – di cui Biden e’ stato vice per otto anni ricevendone poi un tardivo endorsement per la Casa Bianca – nulla, neppure un tweet sui diritti umani violati, sui rischi per le donne e le ragazze afghane. Un suo portavoce si e’ limitato a dire che l’ex presidente non ha “ulteriori commenti” sull’Afghanistan, ricordando che nelle sue dichiarazioni di aprile aveva lodato la decisione di Biden di chiudere la guerra. Obama non ha avuto neppure modo di rispondere alle tante disperate richieste di aiuto arrivate sul suo profilo Instagram dopo il collasso di Kabul: i commenti sono stati misteriosamente sospesi, insieme a quelli sull’account di Michelle. Un loro portavoce ha sostenuto che “non c’era alcuna intenzionalita’” da parte loro, ma non ha saputo dare una spiegazione dell’accaduto. Quello di Obama e’ anche un silenzio imbarazzato, dato il bilancio sostanzialmente fallimentare dei suoi otto anni di presidenza in Afghanistan (su 20 di presenza militare), a parte l’innegabile successo di aver eliminato Osama Bin Laden: il controverso aumento delle truppe, il valzer dei generali, i suoi rapporti tesi con Karzai, la corruzione rimasta inestirpata, le fughe di notizie sugli abusi commessi dai soldati americani, l’annuncio di un ritiro mai avvenuto. Ma il suo silenzio e’ pure imbarazzante per il vecchio amico Joe, “un fratello per me”: neppure una parola per cercare di difendere il suo ex braccio destro dalla valanga di accuse che rischiano di minare non solo la sua presidenza ma anche la tenuta del Partito democratico alle prossime elezioni di Midterm.

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Il Partito di Dio schiera sul campo i razzi Fadi

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Nella “risposta iniziale” agli attacchi dei walkie-talkie e cercapersone dei suoi miliziani nei giorni scorsi, Hezbollah ha deciso di schierare per la prima volta sul campo i razzi Fadi-1 e Fadi-2, due nuove armi dalla gittata maggiore rispetto ai Katyusha finora utilizzati nei suoi raid, con l’obiettivo di colpire più in profondità i territori dello Stato ebraico. Secondo quanto riferito dai media libanesi affiliati al Partito di Dio, il Fadi-1 deriva dal missile iraniano Kheibar M220, viene fabbricato in Siria e ha un calibro di 220 mm con gittata di 80 chilometri. Il Fadi-2 si basa invece sul Kheibar M302, con un calibro di 302 mm e una gittata di 105 chilometri.

Quest’ultimo razzo è apparso per la prima volta in un video di propaganda del gruppo pubblicato circa un mese fa, che mostrava la struttura di tunnel ‘Imad’ dal quale si ritiene siano stati lanciati gli ultimi raid contro Israele. Il filmato aveva scatenato speculazioni sul fatto che una struttura sotterranea così sofisticata e ben fatta potesse trovarsi davvero sotto le montagne libanesi o altrove nella regione.

Secondo fonti citate da Al Mayadeen, “è la prima volta che i razzi Fadi-1 e Fadi-2 vengono utilizzati dall’8 ottobre”, quando sono iniziati i combattimenti sul fronte settentrionale israeliano. E vanno ad aggiungersi a un arsenale stimato in oltre 200mila elementi tra razzi e missili e tre volte maggiore di quello di Hamas a Gaza.

In particolare, gli Hezbollah dispongono di migliaia di proiettili di artiglieria e razzi di corta gittata (Falaq 1 e 2, Shahin, Katyusha, Fajr 3) in grado di raggiungere l’Alta Galilea e di colpire fino a 40 km in territorio israeliano dal sud del Libano. Il Partito di Dio è anche in possesso di missili di media gittata Fajr 5, Kheibar 1, M303, Zilzal 1 che possono raggiungere il Lago di Tiberiade, la Cisgiordania, Tel Aviv, Ashdod e anche Gaza. A questi si aggiungono i missili di lunga gittata Fateh 110 e Scud C – tra i 260 e 500 km – in grado di raggiungere il confine col Sinai, oltre a duemila droni e centinaia tra missili anti-nave (C802, Yakhont) di lunga gittata (200-300 km).

L’arsenale di Hezbollah si completa con migliaia di missili antiaerei Sam e i razzi anti-carro teleguidati. L’Idf ha riferito che tra venerdì e sabato mattina, circa 150 razzi, missili da crociera e droni sono stati lanciati contro Israele: mentre infatti Hezbollah si affidava ai nuovi razzi Fadi per la sua rappresaglia, ha trovato man forte nei gruppi armati filo-iraniani in Iraq, che contemporaneamente hanno lanciato Uav e missili contro gli insediamenti dello Stato ebraico. In particolare, la Resistenza Islamica in Iraq (Iri) ha riferito di aver usato per i suoi attacchi i missili da crociera Al-Arqab, che secondo la Difesa Usa derivano dagli iraniani Paveh 351. Per quanto riguarda i droni, i gruppi iracheni utilizzano gli Shahed di fabbricazione iraniana.

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Abusi su bambini in case d’accoglienza, 355 arresti in Malesia

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La polizia malese ha annunciato l’arresto di 355 persone nell’ambito di un’inchiesta su centinaia di casi di bambini vittime di aggressioni fisiche e sessuali in case d’accoglienza in Malesia. L’ispettore generale della polizia, Razarudin Husain, ha spiegato che i sospetti sono stati fermati nel corso di un’operazione contro membri il gruppo Global Ikhwan Services and Business (Gisb) che gestisce le case e accusato di avere legami con la setta islamica Al-Arqam bandita dalle autorità nel 1994.

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Esercito Israele in sede Al Jazeera Ramallah, stop 45 giorni

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Militari dell’esercito israeliano hanno fatto irruzione nella sede di Ramallah di Al Jazeera per notificare la chiusura per 45 giorni. L’ingresso dei militari negli uffici della Cisgiordania è stato testimoniato in diretta dalla stessa emittente qatariota.

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