Per circa due mesi siamo stati reclusi in casa a combattere passivamente un male che ci ha tolto giornate di sole, di aria, e purtroppo anche di vita. La tragedia non è finita ed il coronavirus è sempre in agguato. Ma tentare di pensare anche al futuro, al buono, al bello, può rappresentare un punto di forza per resistere in questo tunnel la cui fine pare iniziamo ad intravedere.
Tutto passerà, e questa straordinaria natura che ci circonda non si negherà.
Nell’attesa di rituffarci quanto prima nelle innumerevoli bellezze paesaggistiche e storico culturali che anche in Campania abbondano, pur restando sulle pagine di Juorno.it, grazie all’enologa (ed avvocato) Lucia Immacolata Migliaccio, possiamo concederci un viaggio nel meraviglioso Sannio da assaporare con i sensi dell’anima. Basta leggere qui il suo appassionato racconto “A tutto Sannio”, e così subito partire:
“Tutto è nato quando ho iniziato a chiedermi come una carta dei vini potesse contribuire alla crescita di un territorio, quello del Sannio. In che modo un’appassionata come me potesse promuovere la tutela del paesaggio in cui viviamo. Per trovare delle risposte sono partita dalle mie radici per poi prestare ascolto anche alle tendenze attuali di riscoperta del locale, il rispetto della biodiversità, la diffusione dei prodotti biologici. Il mio obiettivo è diventato così subito chiaro. Ripensare allo sviluppo economico-sociale indagando sui rapporti tra territorio, prodotto, produzione e consumo. Le persone ed i rapporti umani sono per me il vero valore aggiunto di un progetto. In ogni idea e creazione è fondamentale coinvolgere tutti gli attori che in qualche modo vi partecipano. Gli agricoltori, i produttori che sono gli artigiani del territorio a tutela del territorio. La loro esperienza, la loro sapienza, mi ha permesso un approccio puro al settore vitivinicolo: con tutti loro ho instaurato e sto instaurando un rapporto vis-à-vis, aperto ed onesto.
Da un’idea quindi ad un progetto di ampio respiro: prendersi cura. Del territorio, dell’ambiente e della natura evidenziando la qualità ed il valore dei vitigni autoctoni e dei vini prodotti. Ho deciso così di presentare una carta dei vini come la parte liquida di un viaggio che inizia da Aquapetra Resort & Spa, in SS. Telesina n.1, Telese Terme (BN), per proseguire in tutto il territorio Sannita, e diramarsi poi nelle regioni e nei continenti dove il vino è storia e attualità, privilegiando i vini che esprimono il territorio e la passione del vignaiolo. La viticultura del Sannio ha avuto storicamente un ruolo importantissimo ed ancora oggi è la cantina della Campania: tra il Taburno, il massiccio del Matese e le rive del fiume Calore si produce più della metà di tutto il vino regionale, la spina dorsale dell’economia del territorio.
Vite e vita nel Sannio s’intrecciano. Il tappeto di vigneti sorge su terreni in massima parte argilloso-calcareo-silicei, ma non mancano zone in cui si trovano tracce di una primordiale attività vulcanica. I vitigni coltivati sono per la maggior parte Aglianico, Falanghina, Barbera ed una parte del vigneto è occupato da un misto di altre varietà, alcune delle quali costituiscono delle vere e proprie rarità come l’Agostinella.
L’Aglianico è il vitigno a bacca nera più diffuso nel territorio sannita, soffre il caldo ed ha bisogno di vento. La ricca presenza di tannini e la grande acidità, lo rendono un vino da lungo invecchiamento. Se da giovane è spesso austero e sostante, per chi sa attendere, è un vino che è in grado di svelare una eleganza contraddistinta da note terrose che donano complessità ad un gusto sempre guizzante e succoso.
La Falanghina, fiore all’occhiello del Sannio, è un vitigno a bacca bianca, con una buccia spessa e consistente. Non è un’uva particolarmente aromatica, ma i descrittori olfattivi che intervengono dopo la vendemmia sono di frutta bianca che sfumano in un secondo naso floreale ed agrumato.
La sua attitudine all’invecchiamento la rende un vino di raffinata eleganza e di lunga serbevolezza.
La Barbera, vitigno dalla storia misteriosa, serviva a “macchiare di nero”, a dare colore ai vini: le uve sono molto ricche di antociani. Ha una resa limitata e difficoltà di vinificazione per l’acino delicato.Nel calice, i profumi sono densi e stuzzicanti, immediatamente riconoscibili frutta rossa matura e piena, un dolce olfattivo che ha rimandi al palato che però non è stucchevole ma morbido e dissetante.
L’Agostinella è un vitigno particolare ed unico al mondo che ha rischiato di scomparire. E’ un piccolo capolavoro quando, in forma liquida, regala un naso vorticoso di zest, gelsomino ed acacia. In bocca è vibrante in virtù della sua indomabile freschezza, agrume e miele a bilanciare la sua infinita acidità.
Quindi una carta dei vini, nient’affatto banale: quella che permette di bere un vino biodinamico, macerato, in anfora, un grande vino contadino artigianale ma anche una bottiglia buona un po’ più ordinaria, ma affidabile. Il vino produce convivialità, è espressione suprema del savoir faire umano e simbolo tangibile delle forze dell’amore che partendo da un gesto agricolo positivo, arrivano a chiudere in una bottiglia il soffio del vento, la luce del sole, il respiro della terra e le migliaia, milioni di sentimenti e gesti che sono avvenuti in quel vigneto”.
Nella foto in evidenza l’enologa Lucia Immacolata Migliaccio.
La Dieta Mediterranea non è solo un insieme di abitudini alimentari, ma un modello di vita olistico capace di promuovere sostenibilità, relazioni sociali e salute. Questo il messaggio centrale emerso dal Global Summit “Mediterranean Diet Feeds the Future”, organizzato dal Comune di Pollica con il supporto del Future Food Institute.
Un evento globale per celebrare la Dieta Mediterranea
Il Summit ha toccato diverse tappe: Portici (Napoli), Pollica (Salerno), e culminerà con una missione globale a New York, presso la sede delle Nazioni Unite, il 21 e 22 novembre. La celebrazione coincide con il 14º anniversario del riconoscimento Unesco della Dieta Mediterranea come Patrimonio Immateriale dell’Umanità.
Tra i protagonisti del Summit, il presidente del Culinary Institute of America, Michiel Bakker, ha offerto una visione ispiratrice sul “Futuro della Nutrizione e della Sostenibilità”. In un intervento rivolto in particolare alle giovani generazioni, Bakker ha elogiato la Dieta Mediterranea come un modello replicabile in tutto il mondo:
“La Dieta Mediterranea è un sistema olistico. Pollica è un chiaro esempio di come l’intera comunità possa unirsi per valorizzare le tradizioni locali, mantenendole vive per le generazioni future”.
Pollica, la comunità emblematica della Dieta Mediterranea
Pollica, con il suo Paideia Campus del Future Food Institute, rappresenta un laboratorio vivente di sostenibilità e innovazione. Durante il Summit, la comunità locale ha partecipato attivamente a un pranzo tipico domenicale, in cui cavatelli fatti in casa, verdure fresche e convivialità hanno celebrato il valore culturale e sociale della Dieta Mediterranea.
“Essere qui è semplicemente magico,” ha affermato Bakker. “Tuttavia, mantenere questo ecosistema richiede un lavoro quotidiano e un forte impegno della comunità. Il Future Food Institute, che seguo dal 2012, svolge un ruolo fondamentale nel diffondere e preservare questi valori.”
Relatori di spicco e visioni innovative
Il Summit ha accolto esperti internazionali provenienti da diversi settori:
Peter Klosse, fondatore di T.A.S.T.E. Foundation, ha approfondito il legame tra cibo e scienza.
Jelena Ivanisevic, ricercatrice senior dell’Istituto di Etnologia di Zagabria, ha illustrato le connessioni tra tradizione e cultura alimentare.
Lisa Sasson, associate dean della New York University, ha sottolineato l’importanza di trasmettere questi valori a livello globale.
Jay Tompt, esperto di economia rigenerativa, ha evidenziato come la Dieta Mediterranea possa essere un volano per la trasformazione locale: “Il modello Pollica dimostra come il cibo possa diventare un catalizzatore di cambiamento sostenibile.”
La Dieta Mediterranea come patrimonio universale
Il Global Summit ha ribadito l’importanza della Dieta Mediterranea non solo come patrimonio culturale, ma come stile di vita integrato, capace di affrontare le sfide globali della sostenibilità e della salute. Attraverso eventi come questo, Pollica si conferma un punto di riferimento internazionale per l’innovazione agroalimentare e la tutela delle tradizioni.
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L’alta cucina in Italia sembra reggere bene la prova del tempo, e sono tante le insegne che nel celebrare i primi 70 anni della Guida Michelin Italia, ieri a Modena, hanno celebrato anniversari a due zeri della propria attività di ristorazione. “Conservare una stella Michelin non è un passo banale per un ristorante, ancor più conservare le tre stelle Michelin, il massimo riconoscimento per quelle realtà che sanno offrire emozioni uniche che meritano un viaggio ad hoc. L’Italia ha mantenuto i 13 ristoranti tristellati della scorsa selezione; tutti confermati con la novità del nuovo ristorante 3 stelle “Casa Perbellini – 12 Apostoli”, a Verona.”
A dirlo, dal palco della presentazione della guida Michelin Italia 2025, è Gwendal Poullennec, direttore Internazionale delle Guide Michelin. “E’ andata bene” hanno commentato a caldo la bella “pagella”, o meglio il rating al top, Massimo Bottura e Massimiliano Alajmo, come fossero alunni indisciplinati. Ma sia durante che dopo la cerimonia alla grande emozione di Perbellini e della moglie Silvia Bernardocchi si è aggiunta quella dei tanti chef, come Gennaro Esposito, due stelle Michelin alla Torre del Saracino, che si congratula con “uno dei grandi maestri della cucina italiana che è entrato nell’èlite dei tristellati”.
E come già successo con Uliassi e Cannavacciuolo, ogni nuovo ingresso nel gotha è accompagnato da una standing ovation e dalla commozione, perchè è quasi un nodo che si scioglie veder dare il massimo riconoscimento a professionisti di lunga esperienza, nel caso di Perbellini a 60 anni, dopo 46 anni di lavoro in cucina e in pasticceria. “È stato emozionante” ha detto Alberto Santini del tristellato “Dal Pescatore” , tristellato dal 1995 , “ero un bambino quando per la prima volta sono andato con i miei al suo ristorante e ora vedo il giusto riconoscimento di una vita di lavoro. Ora il nostro compito è accogliere e mettere a proprio agio chiunque faccia l’esperienza della tavola a tre stelle, talvolta ricevuta in dono da uno smartbox scelto dagli amici”.
“La selezione 2025, con 393 ristoranti stellati rappresenta – ha sottolineato ancora Poullennec – una fotografia che conferma l’eccellenza della cucina italiana, fatta di tradizioni, contaminazioni e innovazione””. Ma quel che è emerso in questa edizione è la longevità dello stile italiano nel fare impresa nella ristorazione, spesso a conduzione familiare, e la capacità di trasmettere questa esperienza sul campo alle nuove generazioni di professionisti. Heinz Beck, ad esempio, ha celebrato con un abbraccio collettivo la conferma delle tre stelle a La Pergola a Roma e i 20 anni dalla prima assegnazione. Sempre nel Lazio il cuciniere Salvatore Tassa vanta 29 anni con la stella Michelin per le “Colline ciociare”.
E da Vico Equense, in Campania, Peppe Guida rimarca che non ha “mai dato per scontato la riconferma. Sono 18 anni che ogni anno ne gioisco”. Il recordi di longevità spetta ad “Arnaldo” a Rubiera (Reggio Emilia), ristorante in guida sin dal 1956 e con la stella dal 1959″ ha precisato Marco Do, responsabile Relazioni Michelin Italia. “Noi siamo custodi – ha detto lo chef Roberto Bottero – di una tradizione da 88 anni; io e Ramona siamo alla terza generazione. E adesso c’è già un figlio che lavora in sala. Il filo conduttore alla nostra tavola è rimanere ancorati alla nostra tradizione, con la spugnolata ad esempio e naturalmente il carrello del bollito e degli arrosti, molto apprezzato dai clienti che passano qui da generazioni. Ultimamente tanta gente ci fa i complimenti per il discorso di ritrovare i sapori che non sentiva più, da noi – conclude con orgoglio – si sentono sapori che altrove sono ormai persi”.
Si amplia la schiera dei ristoranti italiani con tre stelle Michelin, quelli che secondo gli ispettori della guida “rossa” “valgono il viaggio”. Raggiunta oggi quota 14 con la conferma di tutti e tredici i tristellati della precedente edizione (Villa Crespi, Piazza Duomo, Da Vittorio, Le Calandre, Dal Pescatore, Osteria Francescana, Enoteca Pinchiorri, La Pergola, Reale, Uliassi, Enrico Bartolini al Mudec, Atelier Moessmer Norbert Niederkofler, Quattro Passi) e l’ingresso di Casa Perbellini ai 12 Apostoli, locale storico di Verona dove si è recentemente trasferito Giancarlo Perbellini. Una promozione per lo chef-imprenditore veneto, con 46 anni di carriera, accompagnata una standing ovation in platea al teatro Pavarotti Freni a Modena. “È stato un grande ritorno – ha detto Perbellini, commosso sul palco – è un posto magico. Ci è passata la storia della gastronomia e la storia della cultura italiana. Ed è un riconoscimento alla mia passione: ho cominciato a 14 anni quando le mie giornate libere le passavo andando a vedere i menu dei grandi ristoranti. Ora condivido questo traguardo con Silvia che mi ha spinto a fare un triplo salto mortale, perché comunque il trasferimento di sede è stato un triplo salto mortale”.
Ma sono tutti i big a festeggiare l’edizione numero 70 della guida rossa, da Alberto Santini che celebra ben 30 anni in vetta alla guida per il ristorante di famiglia a Canneto sull’Oglio (Mantova), a Massimo Bottura che da oggi conta su Modena un tesoretto di nove stelle Michelin e “tanto talento attorno”. Come registra anche Enrico Bartolini che insieme alla sua squadra di giovani capo-progetto disseminati su diversi territori si dichiara “sempre pronto a nuove sfide”. Mentre Antonino Cannnavacciuolo ha perso il conto delle stelle del proprio gruppo invitando i giovani “ad inseguire il proprio sogno”. Big Antonino è stato peraltro premiato quale “Chef Mentor Award 2025” per la capacità di “trasferire la sua passione per la cucina con semplicità ed un linguaggio diretto che entra nella testa e nel cuore dei suoi ragazzi”.
Premiati anche i nuovi progetti di Davide Oldani (Olmo), due stelle Michelin e stella verde: “abbiamo iniziato – ha sottolineato – nel rispetto del territorio e per chi lavora sul territorio, fuori dalle grandi città, dando sostenibilità alla cultura dei piccoli comuni e delle periferie” ; un invito all’esplorazione e a seguire i desideri, come è del resto la guida Michelin. Sul palco per una menzione speciale di longevità “Arnaldo” a Rubiera (Reggio Emilia), ristorante che è in Guida dal 1956 e ha la stella dal 1959. Tra le novità l’approdo tra i 38 ristoranti due stelle di Marco Galtarossa – Villa Elena (Bergamo) e Matteo Temperini – Campo Del Drago, a Montalcino. Ed è una donna, Stefania Di Pasquo di Locanda Mammì ad Agnone, in provincia di Isernia, con la sua “cucina del ricordo” a riportare dopo 20 anni la stella Michelin in Molise.
“La selezione 2025, con 393 ristoranti stellati conferma l’eccellenza della cucina italiana, fatta di tradizioni, contaminazioni e innovazione. Le 36 novità all’interno del firmamento della penisola testimoniano la vivacità del settore che promette esperienze culinarie emozionanti.” ha commentato Gwendal Poullennec, direttore internazionale delle Guide Michelin. La regione con più novità è la Lombardia, 1 due Stelle e 9 una Stella Michelin, per un totale di 10 ristoranti. Al secondo posto due regioni con 5 novità monostellate, Campania e Toscana, mentre al terzo posto troviamo l’Emilia-Romagna con 4 novità una Stella.
Nella classifica delle Stelle Michelin per regioni, la Lombardia mantiene la leadership con 61 ristoranti (3 tre Stelle, 7 due Stelle, 51 una Stella), la Campania si conferma al secondo posto con 50 ristoranti, (1 tre Stelle, 7 due Stelle, 42 una Stella), mentre sul terzo gradino del podio troviamo la Toscana con 44 ristoranti (1 tre Stelle, 5 due Stelle, 38 una Stella). Scivola in quarta posizione il Piemonte con 35 ristoranti (2 tre Stelle, 3 due Stelle, 30 una Stella), mentre conferma il quinto posto il Veneto con 34 ristoranti Stellati (2 tre Stelle, 3 due Stelle, 29 una Stella).