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Il ritorno di Dibba in Parlamento; depositate le firme per far ‘riconoscere’ la Palestina

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“Dibba” torna in Parlamento per la prima volta dal 2017. Lo ha fatto per presentare al Senato le 78mila firme raccolte da lui e l’associazione culturale ‘Schierarsi’, di cui è vicepresidente, per chiedere una legge che riconosca lo Stato di Palestina. Al suo fianco, decine di attivisti armati di bandiere e di uno striscione con scritto ‘L’Italia riconosca la Palestina’.

Con lui gli ex M5s Elena Fattori, Barbara Lezzi e Michele Sodano, oltre ad una rappresentanza del Movimento Indipendenza. Dopo l’appuntamento a piazza Vidoni, nel cuore di Roma, Alessandro Di Battista e i suoi hanno portato a palazzo Madama una decina di scatoloni con dentro le firme raccolte negli ultimi sei mesi. Assente in piazza Virgina Raggi. L’ex sindaca di Roma non ha però fatto mancare il suo sostegno nella raccolta delle firme e tra le quasi 80 mila sottoscrizioni c’è anche la sua. “Ha dato una mano”, ha spiegato Di Battista, certificandole in qualità di consigliera comunale. Ma hanno firmato “anche altri politici di diversi schieramenti – ha aggiunto – ricordo un consigliere comunale di Fratelli d’Italia”.

Tra i firmatari non c’è il leader M5s Giuseppe Conte a cui Di Battista in passato non ha risparmiato critiche. Ma, almeno a sentire l’ex esponente dei Cinque Stelle, il tempo delle accuse sembra finito: “Francamente – osserva – a me di queste robe non interessa molto. Certe polemiche mi sembrano il trapassato remoto” e il M5s è solo un vecchio ricordo. Sull’idea di costruire un nuovo movimento politico (magari con l’aiuto di Raggi), l’ex deputato non si sbottona, limitandosi a ribadire di “non aver nessuna nostalgia dei palazzi” e sottolineando l’interesse per una politica che parta “dal basso”.

Il fatto di non avere un partito alle spalle, non gli preclude però di dire la sua sui temi di stretta attualità. “Se Meloni mantiene il silenzio” su Gaza, ha attaccato tra gli applausi, “ha le mani sporche di sangue”. L’accusa per la premier ed il ministro degli Esteri Antonio Tajani è di essere “vigliacchi” e “ignoranti sulle questioni mediorientali”. Quanto a Von der Leyen, “ha soffiato sul fuoco della guerra in Ucraina e sul massacro dei palestinesi”. Finale con il sorriso quando, parlando delle firme presentate a palazzo Madama, Di Battista racconta che “La Russa ha contato ogni firma, anzi – ha scherzato prima di andarsene – ne mancava una e, tanto ci teneva, ha scelto di firmare lui”.

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Polemiche su assunzioni in Rai: damilismo e controversie scuotono l’azienda di viale Mazzini

Le recenti assunzioni in Rai hanno scatenato polemiche e accusazioni di familismo, sollevando dubbi sulla trasparenza dei processi di selezione interna. Questo articolo esplora le controversie emerse intorno alle nomine di Ferdinando Colloca e Matteo Tarquini, evidenziando le reazioni delle opposizioni politiche e dei sindacati.

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Le recenti nomine di Ferdinando Colloca e Matteo Tarquini in Rai hanno sollevato una serie di polemiche e critiche, alimentando dibattiti sulla gestione e la trasparenza dell’azienda radiotelevisiva pubblica italiana.

Ferdinando Colloca, noto come esponente di Casapound di Ostia e già coinvolto in un’inchiesta per affari con il clan Spada, è stato selezionato all’interno di una controversa procedura gestita da Adecco. Questo ha suscitato lamentele da parte dei sindacati, che avrebbero preferito una selezione interna più rigorosa. Nonostante le proteste, Colloca è stato assegnato alla direzione DayTime di Angelo Mellone, sebbene il diretto interessato abbia negato di aver avuto un ruolo decisionale nella sua assunzione. Inoltre, sia Ferdinando che suo fratello Salvatore sono stati impiegati in Rai prima dell’insediamento del nuovo consiglio di amministrazione a guida centrodestra, sollevando interrogativi sulla continuità delle politiche di gestione aziendale.

La seconda nomina controversa riguarda Matteo Tarquini, il cui padre Giovanni ha avuto Roberto Sergio come testimone di nozze nel 1990. Tarquini, esperto in applicazioni web e visual radio, è stato assunto a un livello di funzionario nella Rai, suscitando dubbi sulla base della sua esperienza e qualifiche relative alla posizione assegnata. La sua carriera in Rai, iniziata quattro anni fa, ha visto il suo ingresso durante il periodo in cui Sergio era già direttore di Rai Radio, aggiungendo un ulteriore strato di critiche sull’influenza personale nelle decisioni di assunzione.

Le reazioni politiche non sono tardate ad arrivare. Sandro Ruotolo, europarlamentare e responsabile dell’Informazione nel Partito Democratico, ha criticato aspramente l’azienda, accusandola di trasformarsi in un “suq” anziché mantenere un ambiente professionale e meritocratico. Angelo Bonelli, del partito Ambientalista Verdi, ha annunciato un’interrogazione parlamentare in commissione di Vigilanza Rai, mentre Maria Elena Boschi di Italia Viva ha promesso di indagare a fondo sulla questione. Il presidente di Fnsi, Vittorio Di Trapani, ha condannato le presunte pratiche nepotistiche, sottolineando un ritorno a metodi di gestione tipici della “vecchia politica”.

Nonostante le prime indagini interne attivate da Roberto Sergio per proteggere l’azienda e il suo ruolo, le interrogazioni e le critiche continuano a crescere, ponendo la Rai al centro di un acceso dibattito pubblico sulla governance e l’etica aziendale.

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Politica

Bonus fino a 200 euro per gli elettrodomestici green

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Un contributo del 30% del costo di acquisto degli elettrodomestici ‘green’ nel triennio 2023-2025, con un massimo di 100 euro per ciascun apparecchio, elevato a 200 euro per le famiglie con un Isee sotto i 25.000 euro. La commissione Attività produttive della Camera cerca di stringere sull’esame del progetto di legge che propone di introdurre nuovi incentivi per l’acquisto di elettrodomestici a grande efficienze energetica, con contestuale riciclo degli apparecchi obsoleti.

La proposta, avanzata dalla Lega, ha il triplice obiettivo di abbassare le bollette delle famiglie grazie ad elettrodomestici più efficienti, favorire il recupero di quelli non più utilizzabili, dare slancio al settore dell’elettronica e degli elettrodomestici, in sofferenza negli ultimi anni. Le audizioni informali sul progetto dovrebbero concludersi nei prossimi giorni, per poi permettere di chiudere l’esame del provvedimento, da parte della X commissione di Montecitorio, prima dell’estate.

Dopo Confesercenti, che ha chiesto di estendere il contributo alle imprese, Aires (l’associazione che riunisce aziende e gruppi distributivi specializzati di elettrodomestici ed elettronica di consumo, aderente a Confcommercio) ha espresso apprezzamento per la misura proposta, auspicando però che gli incentivi “possano essere più significativi” in termini economici. Ma è proprio il tema della coperture il nodo principale da sciogliere. L’atto chiede di istituire, nello stato di previsione del ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, un fondo con una dotazione di 400 milioni di euro per ciascuno degli anni 2023, 2024 e 2025. “Sto avendo delle interlocuzioni col ministero dell’Economia e delle Finanze per vedere di trovare le risorse.

Sono moderatamente ottimista” ha detto il presidente della commissione, Alberto Luigi Gusmeroli, nonché primo firmatario del progetto di legge. “Ma possiamo fare anche cifre più contenute per far partire” gli incentivi, ha aggiunto. Intanto nella proposta, si specifica che il contributo è attribuito per l’acquisto di elettrodomestici di classe energetica non inferiore alla classe A per le lavatrici e lavasciuga; alla classe C per le lavastoviglie; alla classe D per i frigoriferi e i congelatori. Il contributo del 30% – sempre fino a un massimo di 200 euro per le famiglie con Isee più basso – verrebbe inoltre reso fruibile per l’acquisto di un solo elettrodomestico per ciascuna delle categorie energetiche elencate.

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Ustica, Quirinale: falsa notizia su apposizione segreto

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In riferimento ai post pubblicati sui social riguardanti una presunta apposizione del segreto di Stato sulle vicende di Ustica da parte del Presidente della Repubblica, l’Ufficio Stampa del Quirinale comunica quanto segue: « La notizia è palesemente falsa. Il Presidente della Repubblica non ha alcuna competenza sul segreto di Stato. Il Presidente Mattarella non ha mai pronunciato le parole che gli vengono attribuite. E’ ignobile e vergognoso far circolare sul web tali menzogne. Il contenuto dei post e dei relativi commenti sono stati segnalati alle autorità competenti per accertare se sussistano estremi di reato”.

L’ufficio stampa del Quirinale si riferisce ad un post di Matteo Gracis su Facebook, ricondiviso da altri utenti, che commenta le parole pronunciate da Mattarella il 27 giugno scorso, in occasione del 44/mo anniversario della strage di Ustica: “manca la verità, paesi amici collaborino”. “Questo “signore” è lo stesso che nel giugno del 2020 ha prorogato di 8 anni il segreto di stato proprio sui documenti relativi al caso Ustica e sapete con quale motivazione? Riporto testuali parole: ‘La verità farebbe male all’Italia’, scrive Gracis nel post.

– La polizia postale ha attivato delle verifiche sul post contro il Presidente della Repubblica a proposito della strage di Ustica, condiviso più volte sui social. La Polizia Postale, dopo la segnalazione del Quirinale, ha subito attivato approfondimenti sull’account e sul post e sugli utenti che lo hanno rilanciato.

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