Ma vuoi vedere che sta succedendo qualcosa e in questo tripudio di notizie io non me ne accorgo? Vuoi vedere che mi sta scappando il punto di svolta, sul piano del metodo come del risultato? È l’overinformation, bellezza! Il fatto è che le setticemie quantitative non sono meno pericolose delle proliferazioni verbali. Parole e numeri. Entrambi schermano il discorso pubblico, ne ostacolano la comprensione, ne occultano gli elementi realmente informativi. Col risultato che tutti parlano, pochi dicono; tanti mostrano, solo alcuni di-mostrano. Eppure la pandemia resta una straordinaria fabbrica di informazioni, un ambiente di apprendimento da seguire con attenzione estrema: perché tutto ciò che c’è da sapere sta lì, tutto ciò che c’è da elaborare, viene da lì. Se vogliamo capire che cos’è e come sta evolvendo la pandemia, nel suo triplice aspetto epidemiologico, medico e sociale, bisogna calarcisi dentro. Cercare di non farsi distogliere dall’ultimo tweet di Donald Trump, per dire, o dall’ultima ipotesi sulla data di riapertura delle scuole o, dio ci scampi, dall’accrocco cartolibrerie sì/cartolibrerie no. Ma ci stiamo rendendo sempre più conto che la buona volontà non basta. E’ necessaria una sempre più raffinata perizia tecnica per muoversi nella fuzziness del discorso pubblico, per sopravvivere alla mimesi delle insignificanze. E andare al punto.
Che succede negli ospedali? Che ce ne dobbiamo fare di questi numeri che ballano, di questi grafici che si moltiplicano, di questi spazi che si frammentano? Ci dicono che le dimissioni crescono, che gli accessi diminuiscono, come i decessi, e che la pressione sulle terapie intensive si sta allentando significativamente. Siamo felici a prescindere, s’intende. Ma vorremmo anche capire perché succede quel che succede. Questo i bollettini, serali o mattutini che siano, non ce lo rivelano. Di più: tracciano scenari di “sanità pubblica”, o alludono a possibili evoluzioni “epidemiologiche”, ma tacciono clamorosamente sulla genesi “clinica” dei fatti nuovi che stanno mutando la prospettiva. Ebbene accade che, sulla scia di un interrogativo che conosciamo – si muore “per” oppure “con” Covid 19- qualche medico esegue qualche autopsia: una ventina, forse a Bergamo, e subito dopo al Sacco, almeno altrettante. Sì sì, le autopsie sono state sicuramente fatte in Cina, ma i risultati non sono stati diffusi presso le comunità scientifiche. I cinesi sono mala gente? No: gli esami autoptici sono in numero insufficiente a dare qualunque risultato che possa ritenersi probante. Dunque, nessuna “pubblicazione”. Non si tratta di Pechino che non ha trasmesso “certe” informazioni: è la scienza che funziona così: se non è sicura seguendo i protocolli che stabiliscono i propri criteri di verità, non parla, non “rende pubbliche” le proprie intuizioni. E’ uno dei cardini dell’”epistemologia della pandemia”. Dunque grazie a queste autopsie, si scopre che ci troviamo di fronte non già a delle polmoniti interstiziali, come si credeva, ma a delle tromboembolie polmonari. Non chiedetemi di andare troppo a fondo: un medico vi spiegherà che si tratta di una CID, una “coagulazione intravasale disseminata”. Per come ve la posso raccontare io, stiamo parlando di coaguli che riempiono i microvasi dei polmoni, occupano gli spazi degli scambi, l’ossigeno non circola più. E si muore. Hai voglia ad attaccare il paziente al respiratore, a intubarlo, a pompare ossigeno nei polmoni: l’ossigeno non circola in ambienti ingombrati dai coaguli. Si muore. Punto.
E allora? Molte questioni rilevanti, si capisce. Intanto, com’è che questa faccenda si scopre solo ora, diciamo da un paio di settimane? La risposta più probabile è che le tecniche diagnostiche di tipo radiologico privilegiate fin qui non consentono di distinguere le due patologie: su una lastra, l’una può essere scambiata per l’altra. Ho chiesto a un medico: ma com’è, allora, che di fronte a un certo risultato della lastra, lo sguardo medico coglie una “polmonite interstiziale”e non una “tromboembolia polmonare”? E’ una questione a cui occorrerà dare una risposta più precisa, ma si può arguire che la perizia diagnostica del medico non dipende solo dalla sua bravura, ma è legata in qualche modo a un paradigma scientifico che “porta” a individuare la prima e non la seconda.
C’è dell’altro, naturalmente. In queste condizioni, inutile pompare ossigeno che non circola. Le terapie intensive sono sempre meno cruciali: tutta, dico tutta la strategia terapeutica si rivela certo non inutile –perché il supporto respiratorio può restare importante- ma in certo modo ridondante. Pur con i costi che abbiamo dovuto affrontare, la corsa alle rianimazioni –ospedali da campo, riadattamento dei reparti, sciagurato ricorso alle RSA- è una strategia che si svuota drammaticamente di significato. Diventa nodale, a questo punto, una strategia terapeutica radicalmente alternativa, che si basa sugli esami ematochimici (D Dimero, fibrinogeno, emogas…)e consiste nel somministrare anticoagulanti al paziente, per modo che non si formino trombi che vanno ad ostruire i vasi. Il farmaco privilegiato, a quanto si legge nel protocollo clinico di qualche ospedale, è il Clexane, in dosi articolate a seconda dell’intensità di cura, compreso il supporto ventilatorio in rianimazione.
Si capisce che se questa seconda ipotesi “medica” dovesse reggere, l’intero quadro epidemiologico cambia e, di riflesso, muta l’intero scenario di sanità pubblica: diagnostica, cura, attrezzamento ospedaliero, misure di prevenzione, costi, decisioni politiche. Tutto.
Domanda: perché si parla quasi per niente di tutto questo e si fa “come se” niente fosse successo? Ecco, la risposta è molto delicata e bisogna evitare di dividere il mondo ancora una vota in “buoni” e “cattivi”. Queste scoperte, è bene ricordare, hanno un’origine empirica: non derivano da una speculazione teorica, ma dalla pratica medica. È pertanto difficile che i ricercatori si espongano al rischio di affermazioni fallaci, non sufficientemente provate. I responsabili politici e gli ufficiali di sanità pubblica, in queste condizioni, non si assumono rischi comunicativi, giustamente, ma non possono neppure fare come se niente fosse. Qualche scenario alternativo, potrebbero pure cominciare a disegnarlo. Almeno per scongiurare qualche catastrofe annunciata, come quella dei “disordini al Sud” o quella degli “anziani” che dovrebbero restar chiusi fino a Natale….
Angelo Turco, africanista, è uno studioso di teoria ed epistemologia della Geografia, professore emerito all’Università IULM di Milano, dove è stato Preside di Facoltà, Prorettore vicario e Presidente della Fondazione IULM.
“Pompei non può essere associata al turismo di massa, ma deve avere come obiettivo quello della qualità”. Gabriel Zuchtriegel stringe tra le mani il suo biglietto nominativo, quello che da oggi è obbligatorio per entrare negli scavi che dirige dal febbraio 2021. È una delle novità introdotte all’interno del parco archeologico. La più importante riguarda il numero chiuso per gli ingressi giornalieri, che non potranno mai superare quota 20mila. Nel periodo di maggiore afflusso (dal primo aprile al 31 ottobre), poi, saranno anche previste specifiche limitazioni a seconda delle fasce orarie: dalle 9 alle 12 massimo 15mila ingressi; altri 5mila da mezzogiorno alle 17.30. L’acquisto dei ticket è consentito sul posto e online. “Alla base – spiega ancora Zuchtriegel – ci sono soprattutto motivi di sicurezza, sia dei visitatori, sia di tutela del patrimonio. Partiamo in questo periodo di bassa stagione per sperimentare tale misura, i cui numeri saranno poi esaminati con calma in vista delle giornate di maggiore afflusso”.
Obiettivo è anche combattere il fenomeno del bagarinaggio, che portava i turisti ad acquistare biglietti rivenduti a prezzi maggiorati e con l’aggiunta di “servizi” già compresi nel costo abituale del ticket. Altro proposito è puntare a distribuire i visitatori anche sugli altri siti del parco (Boscoreale, Torre Annunziata, Villa dei Misteri, Civita Giuliana e Stabia). Gli scavi di Pompei introducono le novità del numero chiuso e del biglietto nominativo dopo un’estate da record, che ha fatto registrare flussi mai visti in passato, con oltre quattro milioni di visitatori e punte di oltre 36.000 presenze in occasione di una delle prime domeniche del mese (quelle a ingresso gratuito). Questa mattina Zuchtriegel ha deciso di seguire personalmente l’avvio del cambiamento insieme con Prefettura, vigili del fuoco e consulenti dei lavoratori insieme ai quali è stata ravvisata la necessità di prevedere una gestione in piena sicurezza del sito Unesco.
“Abbiamo avuto in autunno, estate e primavera – sottolinea ancora il direttore – giornate in cui il limite dei 20.000 ingressi è stato superato: ci siamo resi conto di dover garantire a tutti i visitatori una esperienza di qualità. Pompei non deve essere un sito per il turismo di massa. Abbiamo un territorio meraviglioso e ci impegneremo a canalizzare maggiormente i flussi, ma anche gli investimenti, la ricerca e la valorizzazione di questi luoghi. Questo non è una misura contro la crescita. Anzi, noi puntiamo sulla crescita”. Nessuna gara sui numeri, come avviene in particolare in occasione delle domeniche ad ingresso gratuito: “La nostra priorità è la sicurezza – conclude Zuchtriegel -. E in caso di emergenza, abbiamo pensato di assicurare uscite controllate ai visitatori. Attenzione, siamo orgogliosi dei dati che abbiamo raggiunto in questi anni: spesso eravamo al primo posto nelle giornate di ingressi gratuiti. Questa classifica è carina, ma logica ci impone di scegliere la conservazione del nostro patrimonio: non vorremmo mai che qualche classifica finisca per danneggiarlo”.
Calano i contagi da Covid-19 in Italia. Nella settimana dal 17 al 23 ottobre si registrano 8.660 nuovi casi rispetto ai 11.433 della rilevazione precedente mentre i decessi sono 116 a fronte di 117. Il maggior numero di nuovi casi è stato registrato in Lombardia (2.693), Veneto (1.206), Piemonte (998) e Lazio (928). Mentre continua la corsa della variante Xec. E’ quanto emerge dal bollettino aggiornato e dal monitoraggio settimanale a cura del ministero della Salute e dell’Istituto Superiore di Sanità. Nell’ultima settimana sono stati effettuati 89.792 tamponi, in calo rispetto ai 94.880 della precedente rilevazione, e scende anche il tasso di positività, da 12% a 9,6%.
L’indice di trasmissibilità (Rt) basato sui casi con ricovero ospedaliero, al 15 ottobre è pari a 0,84 rispetto a 1,06 del 9 ottobre. È in lieve diminuzione, in quasi tutte le regioni, l’incidenza settimanale: la più elevata è stata in Lombardia (27 casi per 100mila abitanti) e la più bassa in Sicilia (con 0,2 casi per 100mila abitanti). Al 23 ottobre, si legge, “l’occupazione dei posti letto in area medica è pari a 3,7%, stabile rispetto alla settimana precedente (3,8% al 16 ottobre). In lieve diminuzione l’occupazione dei posti letto in terapia intensiva, pari a 0,9% (76 ricoverati), rispetto alla settimana precedente (1,0% al 16 ottobre)”. In base ai dati di sequenziamento nell’ultimo mese si osserva la co-circolazione di differenti sotto-varianti di JN.1 attenzionate a livello internazionale, con una predominanza di KP.3.1.1. In crescita, inoltre, la proporzione di sequenziamenti attribuibili a Xec (17% nel mese di settembre contro il 5% del mese di agosto).
Dopo il calo delle ultime settimane, tornano a salire i contagi da Covid-19 in Italia. Dal 19 al 25 settembre sono stati 11.164 i nuovi positivi, rispetto agli 8.490 della settimana precedente, pari a un aumento di circa il 30%. La regione con più casi è la Lombardia (3.102), seguita dal Veneto (1.683) e Lazio (1.302). E a crescere sono anche i decessi settimanali, passati da 93 a 112. Stabile l’impatto sugli ospedali mentre cresce la variante Xec.
Questi i dati dell’ultimo bollettino settimanale pubblicato dal ministero della Salute e del monitoraggio a cura dell’Istituto superiore di Sanità. Ad aumentare sono stati anche i tamponi, passati dai 81.586 del 12-18 settembre a 85.030, mentre il tasso di positività è passato dal 10% al 13%. Stabile invece il numero di posti letto occupati da pazienti Covid nei reparti di area medica (pari a 3% con 1.885 ricoverati), così come quelli occupati in terapia intensiva (0,7% con 62 ricoverati). I tassi di ospedalizzazione e mortalità restano più elevati nelle fasce di età più alte.
L’indice di trasmissibilità (Rt) basato sui casi con ricovero, è pari a 0,9, in lieve aumento rispetto alla settimana precedente. Mentre l’incidenza è di 19 casi per 100mila abitanti, anche questa in aumento rispetto alla settimana precedente (14 casi per 100mila abitanti). L’incidenza più elevata è in Veneto (35 casi per 100mila abitanti) e la più bassa nelle Marche (1 per 100mila). In base ai dati di sequenziamento genetico, nell’ultimo mese circolano insieme differenti sotto-varianti di Jn.1 attenzionate a livello internazionale, con una predominanza di Kp.3.1.1 (68%). In crescita, e pari a circa il 5%, i sequenziamenti del lignaggio ricombinante Xec, appartenente alla famiglia Omicron.