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Cronache

Il presidente ritira il Serino dal campo dopo una presunta frase razzista dell’arbitro al portiere senegalese

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Una frase razzista pronunciata dall’arbitro all’indirizzo del portiere di una delle due squadre in campo. Abbastanza perché il presidente decidesse di ritirare i suoi ragazzi dal campo. “Vai via, negro”. Siamo a Serino e la squadra di casa ospita il Real Sarno per una partita di campionato di promozione campana, girone C. La frase nei confronti di Gueye Ass Dia, portiere senegalese dei serinesi.

Il Serino era in vantaggio per 2 a 1 quando gli ospiti pareggiano ma per i padroni di casa lo fanno in modo irregolare, con un fallo su Gueye Ass Dia. Di qui le proteste, il portiere viene ammonito ma continua a reclamare e l’arbitro gli da il secondo giallo. In questo frangente avrebbe pronunciato la frase razzista. Gueye, espulso, torna negli spogliatoi, racconta al presidente del Serino, Donato Trotta quello che è accaduto e lui decide di ritirare la squadra dal campo e annuncia querela e richiesta di ripetere la partita. Per il Presidente Trotta “Non è la prima volta che subiamo un trattamento del genere ma ora siamo stanchi”.

IL COMUNICATO DELLA SOCIETÀ:

Comunicato della società del Serino Calcio 1928 nella persona del presidente che ci rilascia queste dichiarazione :
“Oggi nella bellissima partita tra Serino e Real Sarno Serino in vantaggio per 2:1, partita corretta è giocata benissimo da entrambe le squadre, l’arbitro è il guardalinee fanno di tutto per rovinare una bellissima giornata di sport. Sul vantaggio della mia squadra, in un contrasto in area con fallo su nostro portiere, il guardialinee alza la bandiera più volte per segnalare il fallo ma l’arbitro già dall’inizio con arroganza e presunzione convalidava il goal del Real Sarno. Quando il mio portiere chiede spiegazioni viene espulso e insultato “negro”, subito dopo l, arbitro espelle il difensore,il direttore sportivo ed in fine espelle il nostro allenatore. Vedendo il mio calciatore il lacrime mentre si dirigeva negli spogliatoi, ho deciso di ritirare la squadra dal campo perché non permetto a nessuno di calpestare la dignità dei miei ragazzi e sopratutto la mia. Penso che questa volta si sua superato il limite e chiedo subito un’ indagine federale su questo comportamento di questo pseudo arbitro inesperto e per di più razzista. Il mio pensiero è che queste persone andrebbero allontanate non solo dal calcio ma è una vergogna che nel 2019 ci sia ancora del razzismo. Questo è il secondo anno che succedono questi episodi più volte segnalati dal sottoscritto e sempre ignorati dai vertici della Lega e dai vertici arbitrali. Sto pensando di ritirare la squadra perché sono stanco di lottare contro i mulini a vento mi riservo di sporgere querela “.

 

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Il culto di Medjugorje: tra devozione popolare e cautela del Vaticano

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Anni fa, mentre si trovava in Argentina, il cardinale Victor Manuel Fernandez propose di collocare alcune edicole votive dedicate alla Madonna lungo le strade della sua diocesi. La prima immagine suggerita dai fedeli fu quella della Madonna di Medjugorje. Nonostante una suora avesse sollevato dubbi sull’approvazione della Chiesa riguardo a tale devozione, il vescovo tagliò corto con una frase significativa: “Ma che male può fare?”. Oggi, da prefetto dell’ex Santo Uffizio, con l’avallo di papa Francesco, Fernandez ha autorizzato la devozione per la Madonna di Medjugorje.

Il culto della Madonna di Medjugorje ha avuto inizio nel 1981, quando sei bambini riferirono di aver visto la “Regina della Pace” apparire nella piccola cittadina della Bosnia Erzegovina, all’epoca parte della Jugoslavia. Da allora, Medjugorje è diventata una meta di pellegrinaggio globale, attirando oltre 50 milioni di fedeli. Tuttavia, Roma ha sempre mostrato cautela nei confronti di queste apparizioni. Nonostante l’autorizzazione recente, il Vaticano non riconosce ufficialmente il carattere soprannaturale delle visioni, ma approva la “esperienza spirituale” che esse generano. “Non accogliamo questi messaggi come rivelazioni private, perché non abbiamo la certezza che siano messaggi della Madonna”, ha dichiarato Fernandez, “ma come testi edificanti”.

Il cammino per arrivare a questa decisione è stato lungo e accidentato. Il primo vescovo locale negò la veridicità delle apparizioni, e le tensioni tra i francescani e la diocesi, inizialmente di natura immobiliare, furono esacerbate dal fenomeno delle apparizioni. Negli anni successivi, il Vaticano avanzò dubbi, parlando di possibili “eresie e scismi”. Nel 2010, papa Benedetto XVI incaricò una commissione guidata dal cardinale Camillo Ruini, che espresse ulteriori perplessità. Nel frattempo, intorno a Medjugorje si era sviluppato un florido business di pellegrinaggi, alberghi e gadget religiosi, mentre alcuni scandali personali e abusi sessuali complicavano ulteriormente il quadro.

Papa Francesco, pur esprimendo ironia sulla frequenza delle apparizioni, a volte paragonandola a una “Madonna postina”, ha riconosciuto i “frutti positivi” della devozione: conversioni, guarigioni, riavvicinamenti alla fede e la riscoperta della preghiera e della messa da parte di milioni di fedeli. Questo ha portato alla decisione di autorizzare il culto pubblico, già anticipata dall’approvazione ufficiale dei pellegrinaggi qualche anno fa. L’arcivescovo Aldo Cavalli, nominato visitatore apostolico, sta vigilando attentamente su eventuali abusi legati al business dei pellegrinaggi, mentre il dicastero per la Dottrina della fede ha messo ordine negli innumerevoli messaggi attribuiti alla Vergine, approvando solo quelli in linea con il magistero della Chiesa.

In definitiva, i “frutti positivi” del culto di Medjugorje sono stati riconosciuti e separati dalle figure dei veggenti, che ora non sono più considerati i mediatori centrali di questo fenomeno. Con queste precauzioni, come direbbe il cardinale Fernandez, “che male può fare?”

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Saverio Amato, il bagnino di Venezia punito per aver salvato una turista tedesca

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A Venezia, una turista tedesca di settant’anni ha rischiato la vita mentre faceva il bagno, colta da un malore improvviso. A salvarla è stato il bagnino Saverio Amato, che, dalla sua torretta di sorveglianza, si è tuffato immediatamente in acqua per soccorrerla e riportarla in salvo. Una scena che potrebbe sembrare ordinaria, se non fosse che l’eroico gesto di Amato è stato seguito da una sanzione di 1.032 euro, quasi tutto il suo stipendio mensile. La colpa? Non aver segnalato tempestivamente l’incidente alla Capitaneria di porto, nonostante avesse avvisato il 118.

Questa vicenda rappresenta perfettamente la figura dell’Eroe Multabile: una persona che compie un gesto esemplare, ma che, per una ragione burocratica, si ritrova punita invece che premiata. Tre estati fa, lo stesso Saverio Amato aveva salvato altri bagnanti e in quell’occasione ricevette una lettera d’encomio. Questa volta, però, ha ricevuto solo una multa. Ironico, se non fosse amaro.

L’episodio solleva una riflessione più ampia sulla nostra società, in cui il rispetto rigido delle norme burocratiche sembra prevalere su ogni altro principio, anche quando questo porta a punire chi si comporta con altruismo e senso del dovere. Come sosteneva Leo Longanesi, forse sulla bandiera italiana bisognerebbe aggiungere la frase «Tengo famiglia» e, oggi, anche «e penso ai fatti miei». Perché chiunque decida di fare di più, di prendersi una responsabilità che esula dai propri compiti strettamente regolamentati, rischia di trovarsi invischiato in lungaggini legali o, peggio, sanzionato.

Saverio Amato, con il suo gesto istintivo di salvare una vita, ha agito con coraggio e prontezza. Eppure, il suo intervento ha scatenato una reazione che lo ha trasformato da eroe a multato. Si spera che almeno la turista tedesca, riconoscente, decida di farsi carico della sanzione, ma la questione di fondo resta: in una società dove chi si assume una responsabilità viene punito, non c’è da sorprendersi se il lamento e lo scaricabarile rimangono le uniche azioni che non vengono mai sanzionate.

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Camorra: il pentimento shock di Luisa De Stefano, la boss del rione Pazzigno

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È un vero colpo di scena quello che emerge dalle aule di giustizia napoletane: Luisa De Stefano, leader indiscussa del gruppo camorristico delle “pazzignane”, ha deciso di collaborare con la giustizia dopo otto anni di detenzione. La notizia, riportata oggi dal Corriere del Mezzogiorno, getta nuova luce sulle dinamiche criminali di San Giovanni a Teduccio, rione di Napoli Est, dove il gotha della camorra era solito emettere le sue sentenze di morte.

Il nome di Luisa De Stefano è stato associato a crimini. Siamo in un quartiere dove sono stati commessi due omicidi di spicco  nel 2016: quello di Francesco Esposito, affiliato al gruppo Piezzo, e di Raffaele Cepparulo, scissionista del rione Sanità. Quest’ultimo agguato, avvenuto in un circolo ricreativo di via Cleopatra, costò la vita anche all’innocente Ciro Colonna, appena 19enne. De Stefano, durante una serie di udienze, ha ammesso le proprie responsabilità e ha iniziato a fornire dettagli preziosi sul ruolo del suo gruppo e dei clan rivali.

Secondo le prime dichiarazioni della neo pentita, le riunioni per decidere le sorti delle vittime avvenivano su una scala condominiale, fuori dall’abitazione di Ciro Rinaldi, storico capo dell’omonimo clan. Luisa De Stefano, tuttavia, poteva permettersi il lusso di dare del tu ai capi della malavita e di partecipare attivamente alle decisioni di vita e di morte.

Il suo pentimento, consumato in due udienze consecutive, potrebbe rappresentare un duro colpo per il cartello criminale di Napoli Est e segnare un’importante svolta nelle indagini della Direzione Distrettuale Antimafia.

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