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Il Parlamento Ue vuole l’embargo totale di gas e petrolio

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D’ora in poi ogni tentennamento sullo stop all’energia russa sara’ imputabile esclusivamente all’esecutivo Ue e ai governi dei Paesi membri. Il Parlamento europeo, in una risoluzione destinata a creare uno spartiacque nel percorso delle sanzioni contro Mosca, ha chiesto a Bruxelles di applicare l’embargo “totale e immediato” all’energia russa. A tutte le fonti che l’Europa importa: carbone, petrolio e soprattutto gas. Il si’ di Strasburgo e’ giunto proprio mentre alla riunione degli ambasciatori dei 27 Paesi membri si consumava una nuova frenata sull’ok al quinto pacchetto di sanzioni, che include il carbone. L’approvazione, comunque, e’ arrivata in serata al termine di una nuova riunione del Coreper. Ursula von der Leyen nelle prossime ore potra’ cosi’ portare al cospetto di Volodymyr Zelensky il passettino in avanti fatto da Bruxelles. La presidente della Commissione Ue sara’ nella capitale ucraina con l’Alto Rappresentante per la Politica Estera Josep Borrell. “Voglio inviare un messaggio di incrollabile sostegno al popolo ucraino e alla sua coraggiosa lotta per i nostri valori comuni”, ha sottolineato von der Leyen dalla Svezia, da dove ha iniziato il lungo viaggio per Kiev. Cosi’, mentre il G7 ha annunciato nuove sanzioni economiche e finanziarie “in settori chiave dell’economia russa, compreso quello energetico”, a Bruxelles i tecnici delle capitali europee sono stati impegnati ore a limare tutti i nodi del quinto pacchetto di misure. Due, innanzitutto. Quello relativo alle eccezioni inserite nel divieto di accesso ai porti europei per le navi russe, che ha incontrato i dubbi di Grecia e Polonia. E quello relativo ai contratti esistenti tra le aziende europee e Mosca sull’import di carbone. L’Ue si e’ resa conto che un embargo totale e immediato avrebbe comportato ingenti penalita’. La Germania, maggior importatrice di carbone russo in Ue, ha chiesto e ottenuto un dilazionamento dell’inizio dell’embargo. Cosi’ lo start, per chi ha contratti in essere sul carbone, sara’ ad agosto. La proposta tedesca e’ stata accettata anche per una considerazione: lo stop al carbone e’ il primo nel comparto energetico ma non costera’ molto a Mosca. A fare male a Vladimir Putin saranno solo il ‘no’ al petrolio e soprattutto al gas. Il pressing sull’Ue aumenta sempre di piu’ e arriva non solo dagli alleati occidentali e da Kiev, ma anche dal Parlamento europeo. Un emendamento sottoscritto da Ppe, S&D, Renew, Greens e Ecr e inserito nella risoluzione sul Consiglio europeo dello scorso marzo ha proposto di sostituire alle parole “embargo il prima possibile” le piu’ nette “embargo immediato e totale”: 413 eurodeputati hanno detto si’, a fronte di 93 contrari e 43 astenuti. La risoluzione e’ stata poi votata nel suo complesso da 513 europarlamentari. “Colleghi, questo e’ un momento significativo, la nostra posizione e’ chiara”, ha scandito la presidente del Pe Roberta Metsola tra gli applausi dell’Assemblea. Tutti gli eurodeputati italiani hanno votato l’emendamento sull’embargo immediato al gas ad eccezione dell’ex leghista Francesca Donato (astenuta) e di Carlo Calenda, che ha votato contro. “Trovo davvero poco serio votare un emendamento, che tutti sanno essere non applicabile, per fare un po’ di retorica”, ha spiegato l’eurodeputato di Renew. Eppure von der Leyen in Svezia e’ parsa aver colto il segnale di Strasburgo. “Stiamo gia’ lavorando al prossimo pacchetto, prepariamo l’uscita dal petrolio russo”, ha affermato. Nel frattempo pero’ Bruxelles dovra’ trovare, al piu’ presto, soluzioni alternative sia dal punto di vista delle forniture sia per mitigare l’impatto sui prezzi. Solo cosi’ Paesi come Germania, Austria e Ungheria potranno essere convinti. Anche perche’ l’inserimento gia’ ora nella black list di Katerina Tikhonovna e Maria Vorontsova, le due figlie di Vladimir Putin nate dal suo primo matrimonio, difficilmente soddisfera’ Kiev.

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La trumpiana Greene lavorerà con Musk e Ramaswamy a taglio costi

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La trumpiana di ferro Marjorie Taylor Greene collaborerà con Elon Musk e Vivek Ramaswamy come presidente di una commissione della Camera incaricata di lavorare con il Dipartimento dell’efficienza. “Sono contenta di presiedere questa nuova commissione che lavorerà mano nella mano con il presidente Trump, Musk, Ramaswamy e l’intera squadra del Doge”, acronimo del Department of Government Efficiency, ha detto Greene, spiegando che la commissione si occuperà dei licenziamenti dei “burocrati” del governo e sarà trasparente con le sue audizioni. “Nessun tema sarà fuori dalla discussione”, ha messo in evidenza Greene.

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Pam Bondi, fedelissima di Trump a ministero Giustizia

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Donald Trump nomina la fedelissima Pam Bondi a ministra della Giustizia. L’ex procuratrice della Florida ha collaborato con il presidente eletto durante il suo primo impeachment. “Come prima procuratrice della Florida si è battuta per fermare il traffico di droga e ridurre il numero delle vittime causate dalle overdosi di fentanyl. Ha fatto un lavoro incredibile”, afferma Trump sul suo social Truth annunciando la nomina, avvenuta dopo il ritito di Matt Gaetz travolto da scandali a sfondo sessuale. “Per troppo tempo il Dipartimento di Giustizia è stato usato contro di me e altri repubblicani. Ma non più. Pam lo riporterà al suo principio di combattere il crimine e rendere l’America sicura.

E’ intelligente e tosta, è una combattente per l’America First e farà un lavoro fantastico”, ha aggiunto il presidente-eletto. Bondi è stata procuratrice della Florida fra il 2011 e il 2019, quando era governatore Rick Scott. Al momento presiede il Center for Litigation all’America First Policy Institute, un think tank di destra che sta lavorando con il transition team di Trump sull’agenda amministrativa. Come procuratrice della Florida si è attirata l’attenzione nazionale per i suoi tentativi di capovolgere l’Obamacare, ma anche per la decisione di condurre un programma su Fox mentre era ancora in carica e quella di chiedere al governatore Scott di posticipare un’esecuzione per un conflitto con un evento di raccolta fondi.

La nomina di Bondi arriva a sei ore di distanza dal ritiro di Gaetz dalla corsa a ministro della Giustizia dopo le nuove rivelazioni sullo scandalo sessuale che lo ha travolto. Prima dell’annuncio, l’ex deputato della Florida era stato contattato da Trump che gli aveva riferito che la sua candidatura non aveva i voti necessari per essere confermata in Seanto. Almeno quattro senatori repubblicani, infatti, si era espressi contro e si erano mostrati irremovibili a cambiare posizione. Il nome di Bondi, riporta Cnn, era già nell’iniziale lista dei papabili ministro alla giustizia stilata prima di scegliere Gaetz. Quando l’ex deputato ha annunciato il suo passo indietro, il nome di Bondi è iniziato a circolare con insistenza fino all’annuncio.

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Da Putin a Gheddafi, i leader nel mirino dell’Aja

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Con il mandato d’arresto spiccato contro il premier israeliano Benyamin Netanyahu, insieme all’ex ministro della Difesa Yoav Gallant, si allunga la lista dei capi di Stato e di governo perseguiti dalla Corte penale internazionale con le accuse di crimini di guerra e crimini contro l’umanità. Da Muammar Gheddafi a Omar al Bashir, e più recentemente Vladimir Putin. Ultimo in ordine di tempo era stato appunto il presidente russo, accusato nel marzo del 2023 di “deportazione illegale” di bambini dalle zone occupate dell’Ucraina alla Russia, insieme a Maria Alekseyevna Lvova-Belova, commissaria per i diritti dei bambini del Cremlino.

Sempre a causa dell’invasione dell’Ucraina nel mirino della Corte sono finiti in otto alti gradi russi, tra cui l’ex ministro della Difesa Sergei Shoigu e l’attuale capo di stato maggiore Valery Gerasimov: considerati entrambi possibili responsabili dei ripetuti attacchi alle infrastrutture energetiche ucraine. Prima di Putin, nel 2011 l’Aja accusò di crimini contro l’umanità Muammar Gheddafi, ma il caso decadde con la morte del rais libico nel novembre dello stesso anno.

Un simile provvedimento fu emesso per il figlio Seif al Islam e per il capo dei servizi segreti Abdellah Senussi. Tra gli altri leader di spicco perseguiti, l’ex presidente sudanese Omar al Bashir: nel 2008 il procuratore capo della Corte Luis Moreno Ocampo lo accusò di essere responsabile di genocidio e crimini contro l’umanità e della guerra in Darfur cominciata nel 2003. Anche Laurent Gbagbo, ex presidente della Costa d’Avorio, è finito all’Aja, ma dopo un processo per crimini contro l’umanità è stato assolto nel 2021 in appello.

Nel 2016 la Corte penale internazionale ha condannato l’ex vicepresidente del Congo, Jean-Pierre Bemba, per assassinio, stupro e saccheggio in quanto comandante delle truppe che commisero atrocità continue e generalizzate nella Repubblica Centrafricana nel 2002 e 2003. Il signore della guerra ugandese Joseph Kony, che dovrebbe rispondere di ben 36 capi d’imputazione tra cui omicidio, stupro, utilizzo di bambini soldato, schiavitù sessuale e matrimoni forzati, è la figura ricercata dalla Cpi da più tempo: il suo mandato d’arresto venne spiccato nel 2005. Tra gli altri dossier aperti e su cui indaga l’Aja c’è l’inchiesta sui crimini contro la minoranza musulmana dei Rohingya in Birmania. Un’altra indagine è quella su presunti crimini contro l’umanità commessi dal governo del presidente venezuelano Nicolas Maduro. E non è solo l’Aja ad aver processato capi di Stato e di governo: nel 2001, l’ex presidente Slobodan Milosevic fu accusato di crimini di guerra, genocidio e crimini contro l’umanità dal Tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia. Arrestato, morì d’infarto in cella all’Aja nel 2006, prima che il processo potesse concludersi.

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