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Il Napoli gioca e il Cagliari vince, anche questo è il calcio

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Ci sono quattro gatti al San Paolo per il match infrasettimanale del Napoli col Cagliari. Ancelotti mette dentro in attacco i piccoletti. In panchina sia Llorente che Milik. Anche Koulibaly parte dalla panchina. Il primo tempo degli azzurri è condotto sin dapprincipio in attacco. Il primo tempo è davvero bruttino. Un match in cui nessuna delle due squadre gioca bene, poche azioni da gol e tantissimi errori sotto porta soprattutto del Napoli. L’errore più clamoroso è quello di Insigne che smarcato in area con un passaggio filtrante da Mertens spara sul portiere. Poteva essere il gol del vantaggio. Nel secondo tempo Ancelotti mette dentro Kalidou Koulibaly al posto di Maksimovic che si fa male. Al 52 subìto il Napoli pericolosissimo. Dal calcio d’angolo Manolas stacca di testa, ma la palla è centrale e Olsen para.  Passa un minuto e da calcio d’angolo ancora arriva un altro pericolo per Olsen. Al 57 esimo ancora in Napoli pericolo con un tiro bellissimo da fuori di Zielinsky. Passa un  minuto e sempre da calcio d’angolo di Callejon stacco imperioso di testa di Koulibaly. Parata molto bella di Olsen. Napoli sempre in attacco. Al 61 minuto ancora un gran tiro di Mertens di poco fuori dopo aver scheggiato il palo. Al minuto 64 ancora Mertens da fuori, ancora un palo esterno con il portiere immobile. Cagliari rinchiuso in difesa con tutti gli uomini. Sono almeno quattro le azioni da gol del Napoli tra il minuto 70 e il minuto 85, ma nessuna diventa gol. Al minuto 87 arriva la beffa. Su un capovolgimento di fronte Lucas Castro mette dentro. Vantaggio del Cagliari.

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Schillaci: l’ultimo addio fra lacrime e cori da stadio

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L’alfiere di un calcio che si è estinto, un ragazzo timido che con la sua epopea popolare, e anche nell’impegno post carriera, con la scuola calcio, ha tracciato una strada chiara, quella della Palermo onesta, senza scorciatoie, una città “dei giovani che vogliono essere liberi e che può cambiare”, come ha detto, al momento della benedizione della salma l’arcivescovo della città, Corrado Lorefice. Nel giorno del suo funerale, in cattedrale, Totò Schillaci, morto mercoledì per un tumore al colon, è stato un fortissimo polo d’attrazione per migliaia e migliaia di palermitani che hanno voluto dirgli addio, assieme ai suoi familiari e ai suoi amici.

Decine e decine di telecamere all’interno e all’esterno della cattedrale, circa mille persone dentro, molte di più fuori, sul sagrato, dove ai palermitani e ai siciliani si sono uniti molti turisti, anche stranieri. Non sono mancati cori da stadio e applausi, fortissima è stata la partecipazione. Se la morte è la verità ultima della vita, Schillaci non è stato semplicemente un calciatore leggendario e conosciuto in tutto il mondo, ma un operatore di bene, che ha seminato e tracciato un percorso virtuoso di bellezza e libertà, come ha sottolineato l’arcivescovo Lorefice: “Come Pino Puglisi, che riposa in questa cattedrale, anche Totò Schillaci ci dice che questa città la possiamo e la dobbiamo cambiare. Di Totò ricordiamo il corpo proteso alla gioia, i suoi occhi, in quel 1990.

Ma poi Schillaci ha continuato a donare il suo corpo perché gli altri avessero corpi liberi, è rimasto uno di noi, ha pensato la sua vita facendo memoria della sua origine, l’ha pensata come un dono, perché le nuove generazioni avessero uno sguardo bello, perché i giovani potessero essere liberi, contro chi invece li vuole schiavi. Voglio ringraziarlo per questa sua grande opera, voluta, consapevole, stare nella strada con i giovani, perché potessero conoscere la via del bene e della libertà. Lo affidiamo alla misericordia di Dio. Gli diciamo addio, ci vedremo in Dio, nella pienezza vera della vita”. Nell’omelia dei funerali, monsignor Filippo Sarullo, parroco della cattedrale si è rivolto a Schillaci, prossimo alla partita dell’eternità: “Il Padre ti ha convocato per la partita del cuore, che non avrà mai fine, ti ha fatto entrare nella squadra più bella del mondo, che si chiama Paradiso”.

In chiesa erano presenti gli ex compagni, anche di nazionale, Gigi De Agostini e Beppe Bergomi (“È stato l’eroe di tutti noi, ci stava regalando un sogno ai Mondiali”), Gabriele Gravina e Antonio Matarrese, presidente ed ex presidente della Figc, il sindaco di Palermo Roberto Lagalla, l’assessore regionale Edy Tamajo a rappresentare il governatore Schifani, e una delegazione del Palermo calcio, guidata dal presidente Dario Mirri e da Francesco Di Mariano, attaccante rosanero e nipote di Schillaci. Il lungo addio al centravanti del quartiere Cep era iniziato questa mattina, proprio nelle strade del rione natale, dove ancora oggi vivono il padre Mimmo, e alcuni tra fratelli e cugini. Il corteo funebre, passato anche dalla chiesa di San Giovanni Apostolo e dal centro sportivo di Schillaci, il Ribolla, è stato salutato da una folla commossa, dove c’erano anche gli studenti dell’istituto comprensivo “Giuliana Saladino”.

Molti hanno pianto e intonato cori da stadio e “Notti magiche”, di Gianna Nannini ed Edoardo Bennato, la storica colonna sonora di Italia ’90. È la stessa commozione che ha attraversato in questi giorni la città e che ha emozionato la famiglia di Totò. L’ha ricordato anche la figlia Nicole, nata da una breve relazione di Schillaci, che finora era l’unica a essere rimasta in silenzio. “Resterà sempre nel mio cuore – le sue parole – ho visto quanto dolore ha provato. Mi manca tantissimo, ma almeno ha smesso di soffrire. Per me era una persona normale, certo di cui essere fieri, ma normale, molto gentile, umile e con un grande cuore”.

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Esteri

Yossi Cohen, il volto pubblico del Mossad e le sue operazioni segrete

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Yossi Cohen, con il suo carisma, la parlantina sciolta e l’aspetto impeccabile, è diventato il capo del Mossad più noto e riconosciuto nella storia dell’agenzia israeliana. Un’eccezione, se si pensa che fino al 1996 il nome del direttore del Mossad non era nemmeno di pubblico dominio e veniva indicato solo con un’iniziale. Al comando dell’agenzia dal 2016 al 2021, Cohen ha trasformato la spavalderia in un tratto distintivo degli agenti, spingendoli a compiere missioni audaci che hanno riscritto il modus operandi dell’intelligence israeliana.

Uno dei successi maggiori del suo mandato è stato l’assassinio di Mohsen Fakhrizadeh, fisico nucleare iraniano e mente dietro il programma atomico degli ayatollah. L’operazione, meticolosa e perfettamente eseguita, ha contribuito a rallentare lo sviluppo nucleare iraniano. A questo si aggiunge il clamoroso furto di un intero archivio segreto iraniano: in meno di 6 ore e mezza, un’unità del Mossad ha trafugato 55 mila documenti e 183 CD-ROM contenenti informazioni cruciali sul programma nucleare di Teheran. La squadra è riuscita a scappare verso il confine con quasi mezza tonnellata di materiale riservato, in un’operazione ricostruita nei minimi dettagli dal New York Times.

Le capacità di Cohen si sono dimostrate determinanti anche nel mantenere il Mossad al di fuori degli scandali che avevano macchiato la reputazione dell’agenzia. Prima del suo arrivo, il fallimento di una missione del 2010 a Dubai, che aveva compromesso undici agenti, aveva gettato un’ombra sulla competenza del Mossad. Con Cohen alla guida, queste imbarazzanti battute d’arresto sono state evitate, e l’agenzia ha continuato a colpire con successo i suoi obiettivi più delicati.

Il Mossad, noto per le sue operazioni internazionali, è stato il responsabile della cattura di Adolf Eichmann nel 1960 e della caccia agli autori del massacro degli atleti israeliani alle Olimpiadi di Monaco del 1972. Negli anni successivi, l’agenzia ha continuato a eliminare figure chiave come Ali Hassan Salameh di Settembre Nero e più recentemente Fuad Shukr, comandante militare di Hezbollah. Anche se il Mossad è rimasto relativamente fuori dalle polemiche legate all’eccidio del 7 ottobre nel Sud di Israele, è tra le istituzioni che godono ancora della fiducia degli israeliani, in parte grazie alle operazioni condotte sotto la guida di Cohen e del suo successore, David Barnea.

Yossi Cohen ha saputo trasformare il Mossad in un’agenzia che opera non solo con precisione, ma anche con visibilità, malgrado il paradosso di un capo superspia che ama le telecamere tanto quanto la discrezione.

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Guerra Ucraina

Von der Leyen a Kiev, per portare il sostegno dell’Europa’

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La presidente della commissione europea è giunta questa mattina a Kiev, per ‘parlare del sostegno europeo” con l’avvicinarsi dell’inverno. Lo scrive la stessa von der Leyen su X.

“La mia ottava visita a Kiev avviene mentre inizia a breve la stagione che richiede riscaldamento e la Russia continua a prendere di mira le infrastrutture energetiche”, scrive Ursula von der Leyen su X , pubblicando una foto del suo arrivo alla stazione ferroviaria di Kiev. “Aiuteremo l’Ucraina nei suoi coraggiosi sforzi. – prosegue – Vengo qui per discutere del sostegno dell’Europa. Dalla preparazione invernale alla difesa, all’adesione e ai progressi sui prestiti del G7”.

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