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Il killer di Manuel, non credevo di averlo ucciso

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“Era rimasto in piedi, non ho visto sangue, non pensavo di averlo ucciso”. Manuel Mastrapasqua, invece, stava per morire, colpito da una coltellata al petto che non gli aveva lasciato scampo per strada, la notte fra giovedì e venerdì scorsi, a Rozzano, alla periferia di Milano. Il suo assassino, Daniele Rezza, cassiere a chiamata in un supermercato milanese, al suo primo lavoro, dovrà domani rispondere davanti al gip di omicidio e rapina per quelle cuffie con cui Manuel stava comunicando con la fidanzata che vive in Liguria e con la quale aveva in vista un breve viaggio. Rezza, figlio unico, con un passato problematico, fatto di aggressioni sui Navigli, piccoli furti e che non è andato oltre la terza media, “mollando dopo due anni di superiori”, la sua confessione, in estrema sintesi, l’aveva già fatta davanti agli agenti della Polfer di Alessandria che l’avevano visto vagare stralunato sui binari. La sua intenzione era quella di andare in Francia, ma allo stesso tempo era indeciso se costituirsi. Così era rimasto sulla banchina. “Va tutto bene? gli avevano chiesto gli agenti? e lui, in tutto risposta: “Devo confessare un omicidio, a Rozzano”.

E’ stato quindi preso in consegna dai carabinieri di Milano, che già l’avevano individuato nelle immagini delle telecamere di sorveglianza con in mano un coltello, e che l’hanno interrogato con il pm Maria Letizia Mocciaro e l’assistenza dell’avvocato Maurizio Ferrari. Una confessione piena. Era uscito di casa quella notte per fare una passeggiata e, ha raccontato, aveva portato con sé un coltello a serramanico per difendersi da eventuali brutti incontri nel paese che è storicamente problematico in termini di sicurezza. Nel suo vagare ha visto Mastrapasqua, vicino alla fermata dell’autobus 15. “Dammi qualcosa, dei soldi” ha detto al magazziniere che stava tornando a casa dal suo turno di lavoro in un supermercato. L’uomo gli ha detto di no ed è a quel punto che Rezza gli ha strappato le cuffiette. Mastrapasqua avrebbe reagito e da qui la coltellata.

“Non ho visto sangue, e lui era ancora in piedi, non credevo di averlo ucciso”. L’ultima immagine di Mastropasqua vivo è delle 2.54. A casa, Rezza ha raccontato il mattino dopo al padre di aver colpito un uomo ma non era stato stato subito creduto (secondo il suo legale il giovane ha dei problemi di salute da quando aveva 14 anni). Quando, però, si sono diffuse le notizie dell’omicidio, il padre l’ha accompagnato ad Alessandria dove la sua sconclusionata fuga è finita. Una scelta, quella del genitore, che ha scatenato la rabbia della madre di Manuel: “Doveva portarlo in caserma, non farlo scappare”. Nel pomeriggio prima del delitto, il ragazzo, che ha precedenti per piccoli reati, era stato col padre per altre vicende nello studio del suo legale. All’avvocato era apparso timoroso, col cappellino da baseball calato sugli occhi. Lo stesso visto nelle telecamere.

Qualche ora dopo sarebbe diventato un assassino, incrociando Mastrapasqua lungo lo stesso marciapiede di via Romagna a Rozzano. Nel corso della perquisizione sono stati trovati gli stessi pantaloni individuati “addosso al soggetto ripreso con il coltello in mano che venivano quindi sequestrati”. Ed è stato sequestrato anche un giubbotto di colore nero “apparentemente identificato in quello indossato la notte dell’11 ottobre”. E dal verbale di Daniele emerge un altro elemento: è stato suo padre a buttare le cuffie che il 19enne aveva preso a Manuel. “Dopo diversi inviti – si legge – il padre del giovane indicava ai militari operanti, il luogo dove lui stesso aveva gettato le cuffie con le quali il figlio era rientrato a casa la notte: le stesse sono palesemente quelle che erano appartenute alla vittima”. E con una punta di amarezza il pm annota: “Le cuffie rinvenute, di marca Music sound, è opportuno dire che hanno un valore di soli €14, 00”.

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Il modello Albania piace a Ursula, ma è scontro in Ue

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“Il vento è cambiato, e soffia verso destra”. La sintesi di quello che a Bruxelles sta accadendo sulla migrazione arriva da un alto funzionario Ue che, sbottonandosi un po’ alla vigilia del summit Ue, ha fotografato così uno scenario ben visibile sin dalle Europee. Ed in questo contesto Giorgia Meloni ha ampia libertà di azione. Di più. Il modello Albania, che prevede il trasferimento dei migranti in hotspot con bandiera italiana ma fuori dai nostri confini, sembra convincere Ursula von der Leyen, che si prepara ad una stretta securitaria, con una corposa modifica della direttiva rimpatri.

Nella lettera che la presidente della Commissione, lunedì in tarda serata, ha inviato ai leader Ue c’è una sorta di vademecum dei prossimi passi di Bruxelles sulla migrazione. E c’è soprattutto, l’endorsement all’iniziativa italo-albanese. “Abbiamo dato il buon esempio”, il protocollo firmato con Tirana apre “una strada nuova, ma che rispecchia perfettamente lo spirito europeo”, ha spiegato Meloni nelle comunicazioni in Parlamento. E al Pd che la contestava ha risposto ricordando che “la quasi totalità dei Paesi membri concordano con queste politiche, siete voi ad essere isolati”. Quasi contemporaneamente la Commissione spiegava che con le attuali norme comunitarie il modello Albania non è legalmente percorribile, ma l’esecutivo Ue “sta esaminando come regolamentare i rimpatri in Paesi terzi”.

Non sarà un esame facile. E l’endorsement di von der Leyen, seppur messo nero su bianco, per ora è più teorico che pratico. Alla Commissione, infatti, vogliono prima valutare con attenzione l’operatività del protocollo con Tirana che, come spiegato dallo stesso premier Edi Rama (“ho declinato altre richieste”), ha una sua specificità italiana. C’è inoltre un’altra faccia della medaglia in questa corsa alla Fortezza Europa. Ed è il volto di un’Ue ancora divisa, stretta tra la spinta dei falchi sulla migrazione, i dubbi di Berlino e Parigi, la resistenza della Spagna. Il dibattito rischia di sfociare in uno scontro aperto. Le conclusioni rischiano di ridursi a poche righe solo per evitare che saltino completamente. Lo stesso riferimento all’attuazione del Patto sulla migrazione e asilo non trova d’accordo tutti. E a complicare le cose c’è il fatto che, a presiedere la riunione, sarà Viktor Orban.

“La discussione sulla migrazione sarà il più delicato”, hanno ammesso fonti europee in vista di un vertice che, sul tavolo, avrà altri temi caldissimi, dall’Ucraina – con la presenza di Volodymyr Zelensky – alla guerra tra Israele e Hezbollah. Ma sulla migrazione il dato politico è dirimente. E dirimente è l’avanzare delle destre in quasi tutti i Paesi europei, che sta indurendo tutte le posizioni in campo. Non a caso, tra i 27, l’unica voce apertamente contraria al modello Albania è quella di Pedro Sanchez. “Siamo contrari ai centri di deportazione di migranti in Paesi terzi alla Ue”, ha scandito il premier spagnolo rivendicando il successo della politica migratoria di Madrid. Le parole di Sanchez coincidono perfettamente con la posizione dei socialisti, sempre più preoccupati dall’idea che la migrazione sia uno dei dossier sui quali il Ppe possa fare asse con i gruppi sovranisti. Ma anche all’interno del Consiglio europeo i Popolari sono numericamente in netto vantaggio e la sponda dei governi di destra, come quello italiano, appare sempre più salda.

Anzi, Meloni giovedì passerà all’offensiva. Con Danimarca e Olanda, l’Italia ha convocato una riunione a margine del summit Ue con i cosiddetti Paesi like-minded, ovvero con le cancellerie con le quali si può creare un fronte comune sulla migrazione. Alla riunione ci saranno una socialista, Mette Frederiksen, e un premier tecnico, Dick Schoof, che si regge però sui sovranisti capitanati da Geert Wilders. La riunione è in via di definizione, come i suoi partecipanti. Sicura è la partecipazione della Polonia, probabile quella di Austria e Grecia. La Germania è stata invitata ma difficilmente ci sarà. A Parigi, al momento, non risultano inviti. E senza l’ok franco-tedesco qualsiasi ipotesi di hotspot nei Paesi terzi non può avere vita facile.

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Reddito cittadinanza non dovuto, a processo Bossi jr

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False attestazioni per ottenere il reddito di cittadinanza non dovuto: per questo va a processo Riccardo Bossi (nella foto Imagoeconomica in evidenza), il primogenito del Senatur fondatore della Lega Nord Umberto Bossi. La decisione è stata presa nella mattinata di oggi nell’udienza davanti al Gup del Tribunale di Busto Arsizio, in provincia di Varese. A chiedere il processo è stato il pubblico ministero Nadia Calcaterra mentre i legali di Bossi, che non era in aula, hanno chiesto (e ottenuto) l’ammissione al rito abbreviato, rito alternativo che garantisce per legge uno sconto di pena di un terzo in caso di condanna. L’Inps si è costituita parte civile.

La prossima udienza è stata fissata al 14 gennaio 2025, in quella data è prevista la discussione del procedimento ma potrebbe arrivare già anche la sentenza. Bossi jr non ha mai commentato le accuse a suo carico e davanti ai pm si è avvalso della facoltà di non rispondere. Secondo gli inquirenti tra il 2020 e il 2023 ha incassato indebitamente il reddito di cittadinanza. Stando a quanto ricostruito dal Pm Calcaterra il figlio del Senatur ha percepito 280 euro ogni mese per 43 mensilità per un ammontare complessivo di 12.800 euro. L’erogazione del reddito di cittadinanza era collegata al canone di locazione di un appartamento. Appartamento dal quale, però, quando gli inquirenti hanno iniziato gli accertamenti Bossi era già stato sfrattato da un anno in quanto moroso: non aveva pagato l’affitto.

Di qui la contestazione. Riccardo Bossi non è nuovo a vicende giudiziarie di questo tipo. Nel 2020 era stato denunciato per non aver pagato un salatissimo conto di una cena a base di champagne in un noto ristorante di Milano. Poche settimane prima aveva fatto la stessa cosa a Firenze. Nel 2014 era stato condannato dal tribunale di Busto per il mancato pagamento del conto in una notissima gioielleria della cittadina del varesotto, dove aveva acquistato un prezioso orologio e altri gioielli tra i quali un collier in oro del valore di svariate migliaia di euro. Nel 2017 era stato condannato dal tribunale di Varese per non aver saldato conti relativi a lavori eseguiti in casa (si parla dell’installazione di luci a led) e alla manutenzione dell’auto (il cambio delle gomme).

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Appalti a Salerno, indagato il consigliere regionale Luca Cascone

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A meno di due settimane dall’arresto del presidente della Provincia di Salerno Franco Alfieri, esponente di punta del Pd campano, la Guardia di Finanza sferra un altro colpo perquisendo gli uffici del consigliere regionale salernitano Luca Cascone (nella foto Imagoeconomica in evidenza), eletto con la lista De Luca presidente. Turbata libertà degli incanti in concorso e turbata libertà del procedimento di scelta del contraente le ipotesi di reato contestate a Cascone ed altri cinque indagati – funzionari pubblici e imprenditori – nell’ambito di una indagine della procura di Salerno che riguarda in particolare tre appalti banditi dalla Provincia.

Sei gli indagati: oltre Cascone – 50 anni – sono finiti sotto inchiesta e perquisiti anche Andrea Campanile (27 anni), componente dello staff del sindaco di Capaccio-Paestum Franco Alfieri; Angelo Michele Lizio (67), direttore settore viabilità della Provincia di Salerno; Nicola Aulisio (52), dirigente della società della Cogea Impresit; Federica Turi (38), responsabile dell’area manutenzione del comune di Capaccio e Giovanni Vito Bello (64), responsabile dell’area Lavori pubblici del comune di Capaccio.

In questo filone d’inchiesta, gli appalti nel mirino degli inquirenti della Procura e della Guardia di Finanza di Salerno sono tre: la realizzazione della superstrada Fondovalle Calore, per oltre 32 milioni di euro, destinata a mettere in collegamento diversi centri urbani tra cui anche il comune di Capaccio-Paestum; la realizzazione della strada denominata “Aversana” (per una somma iniziale di oltre 19 milioni di euro via via aumentata in maniera consistente) e la costruzione del cosiddetto “sottopasso” a Ogliastro Cilento (Salerno).

Il procedimento, oggetto di numerose perquisizioni, è uno sviluppo dell’inchiesta sugli appalti al comune di Capaccio-Paestum sfociata nelle scorse settimane in sei misure cautelari una delle quali a carico del sindaco di Capaccio e presidente della Provincia di Salerno Franco Alfieri, sospeso da entrambe le cariche, e che secondo gli inquirenti si sarebbe adoperato per pilotare l’iter amministrativo delle commesse al fine di ottenere un tornaconto di natura personale pur non avendone titolo.

“Fiducia assoluta che tutto ciò si chiarirà al più presto perché – scrive il consigliere regionale Cascone sui social – nonostante ci sia chi specula su tutto, sono sereno, anzi serenissimo, io sono una persona perbene. Totale fiducia nell’attività degli inquirenti e della magistratura. Il mio unico pensiero va alla mia famiglia – aggiunge – cui mio malgrado creo preoccupazioni di cui si farebbe volentieri a meno”.

All’attacco l’opposizione in Regione con il capogruppo della Lega Severino Nappi: “Le persone coinvolte in queste molteplici inchieste – sottolinea – avranno certamente modo di chiarire la loro posizione. Resta però il tema di fondo di un sistema di potere che noi denunciamo da anni e che è potuto andare avanti soltanto con la connivenza silenziosa e la cooperazione delle sinistre, a cominciare dal Pd”.

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