Collegati con noi

Esteri

Il Guggenheim di New York taglia i ponti con la famiglia mecenate Sackler

Pubblicato

del

Da settimane al centro di proteste, il Guggenheim di New York ha tagliato ponti con la famiglia Sackler, mecenati dell’arte ma anche proprietari della casa farmaceutica che produce l’oppiaceo killer OxyContin. La decisione del museo e’ stata annunciata all’indomani di una analoga presa di distanza delle londinesi Tate e National Portrait Gallery: quest’ultima aveva rispedito ai Sackler un assegno da 1,3 milioni di dollari. Anche nel caso del Guggenheim il divorzio riguarda donazioni future: nel breve comunicato non si menziona la crisi degli oppiacei ne’ gli anni passati da Mortimer Sackler, uno della famiglia e uno dei fondatori di Purdue Pharma, nel consiglio di amministrazione. Tra 1997 e 2015 i Sackler hanno donato nove milioni di dollari al Guggenheim tra cui sette milioni a sostegno di un centro di educazione alle arti che porta il loro nome. La designazione del centro e’ vincolata da contratto e il museo non ha possibilita’ di cambiarla. “Nessun contributo e’ stato ricevuto dopo il 2015 e il Guggenheim non intende accettarne altri in futuro”, ha reso noto un portavoce.

Un portavoce di Mortimer Sackler, che ha lasciato il board l’anno scorso, ha indicato che l’impegno della famiglia per la filantropia continuera” nonostante le recenti decisioni: “E’ stato un privilegio per Mortimer Sackler servire nel consiglio del Guggenheim per quasi 20 anni e sostenere il lavoro vitale del museo”. Il ruolo dei Sackler come mecenati delle arti e’ da mesi al centro di proteste: in febbraio gruppi di attivisti guidati dalla fotografa Nan Goldin avevano bloccato il Guggenheim lanciando dalla cima della rotonda di Frank Lloyd Wright false pillole e false ricette mediche. Oxycontin e’ tra i farmaci al centro della letale epidemia di overdose che ogni anno uccide decine di migliaia di persone in America. Purdue Pharma e’ accusata di aver fatto pressioni sui medici convincendoli a prescrivere l’Oxycontin senza mettere in guardia dai rischi di dipendenza. Secondo statistiche dei Center for Disease Control federali, ogni anno negli Usa 72 mila persone muoiono di overdose: la maggioranza di queste morti – 49 mila o oltre 130 al giorno – sono provocate da oppiacei, tra cui antidolorifici come l’OxyContin, a base di eroina e fentanyl, che funzionano sull’organismo come oppio o morfina ma sono molte volte piu’ potenti e potenzialmente letali.

Advertisement
Continua a leggere

Esteri

Sì del Pe all’uso di armi in Russia, italiani contrari

Pubblicato

del

L’uso delle armi inviate a Kiev in territorio russo allontana l’Italia dalla maggioranza all’Eurocamera. A Strasburgo la plenaria ha infatti dato via libera ad un passaggio cruciale, e ancora divisivo in Occidente, del supporto all’Ucraina trovando però le delegazioni italiane in larga parte contrarie. Forza Italia, Fdi, Lega, Pd, M5S, Verdi e Sinistra, pur con numerosi distinguo, hanno votato contro il paragrafo 8 della risoluzione, relativo proprio all’uso delle armi contro obiettivi in Russia. Un voto, quello degli europarlamentari, in linea con la posizione del governo, tanto che è stato lo stesso ministro degli Esteri Antonio Tajani ad anticiparlo in mattinata. Sul testo finale di sostegno più generale all’Ucraina invece le delegazioni italiane si sono nettamente spaccate: i dem, gli azzurri e i meloniani si sono espressi a favore; mentre Lega, pentastellati e Verdi hanno nuovamente votato contro.

In attesa dei sì dei singoli Paesi, l’Eurocamera sul dossier ha fatto da avanguardia. Il paragrafo 8 della risoluzione “invita gli Stati membri a revocare immediatamente le restrizioni sull’uso delle armi occidentali consegnate all’Ucraina contro obiettivi militari legittimi sul territorio russo”. Ed è su questo paragrafo che gli eurodeputati italiani hanno votato in dissenso dalla maggioranza del Pe, e anche dai loro gruppi di appartenenza. Ma neanche al loro interno le delegazioni sono riuscite a mantenersi compatte. Nel Pd sono emersi tre correnti: Elisabetta Gualmini e Pina Picierno hanno votato a favore del paragrafo 8; dieci eurodeputati, incluso il capodelegazione Nicola Zingaretti, hanno votato contro, in linea con l’indicazione del partito; in 6 invece non hanno votato affatto, incluso Stefano Bonaccini. Giorgio Gori, assente, ha fatto sapere che avrebbe votato sì. Anche in Fi c’è stato dissenso: Giusi Princi e Massimiliano Salini, a dispetto del resto del gruppo, si sono espressi a favore dell’uso delle armi in territorio russo. Sul tema sia il Pd sia Fi hanno votato in dissenso dai loro gruppi di appartenenza, Ppe e socialisti.

Tanto che, alla fine il paragrafo 8 è passato con 377 voti a favore, 191 contrari e 51 astenuti, ed è stato votato perfino da una truppa di The Left, inclusa Carola Rackete. Contrari i Patrioti mentre Ecr si è spaccata: i meloniani contrari, i polacchi del Pis a favore. Sul testo finale della risoluzione (che comprendeva anche l’articolo 8 ma manifestava nel complesso un sostegno più generale all’Ucraina) gli italiani sono invece tornati nei ranghi della maggioranza. Il Pd – con l’eccezione degli astenuti Cecilia Strada e Marco Tarquinio – Fi e Fdi hanno votato a favore del testo. Lega, M5s e Verdi hanno invece mantenuto una posizione fortemente anti-atlantista, votando contro. La risoluzione ha incassato 425 voti a favore, 131 contrari e 63 astensioni, provocando l’ira di Mosca. “Ciò che chiede il Parlamento europeo conduce verso una guerra mondiale con armi nucleari”, ha avvertito il presidente della Duma russa, Viaceslav Volodin. Il sì alla nuova risoluzione sull’Ucraina era particolarmente atteso a Strasburgo ed è giunto alla vigilia del primo viaggio da presidente rieletta di Ursula von der Leyen a Kiev. Un incontro importante, nel quale si parlerà anche del supporto dell’Ue alle infrastrutture energetiche ucraine.

“Metà di queste è andata distrutta”, hanno spiegato a Bruxelles von der Leyen e Fatih Birol, direttore esecutivo dell’Agenzia internazionale dell’energia. Il tema dell’utilizzo della armi ucraine in Russia è da settimane al centro del dibattito in Europa. Il 29 agosto scorso, al Consiglio Affari Esteri, Josep Borrell aveva tentato di arrivare ad un via libera comune dei 27, trovando tuttavia perplessità e opposizione di alcuni Paesi membri, a cominciare da Germania e Italia. Gran parte delle cancellerie, Roma inclusa, manifestarono invece l’opportunità di trattare il tema a livello bilaterale con l’Ucraina. Una decisione comune, in quella riunione, non sarebbe stata comunque possibile trattandosi di un Consiglio Affari Esteri informale. Ma il tema, presto, tornerà sui tavoli europei. E sul punto Giorgia Meloni e Ursula von der Leyen sono distanti.

 

Continua a leggere

Esteri

Attacco con coltello a Rotterdam, un morto e un ferito

Pubblicato

del

Un uomo armato di coltello ha pugnalato a morte una persona e ne ha ferito gravemente un’altra a Rotterdam, in Olanda. Lo riferisce la polizia che ha arrestato un sospetto, anch’egli gravemente ferito. È stato portato in ospedale. Secondo l’emittente pubblica olandese Nos, testimoni hanno affermato che il sospettato ha gridato “Allah Akbar” (Dio è il più grande) durante l’attacco. Un insegnante di ginnastica che stava tenendo una lezione vicino al ponte Erasmus, dove è avvenuta l’aggressione, ha detto all’emittente di aver tentato di fermare l’aggressione. “Ho visto un uomo con due lunghi coltelli pugnalare un giovane”, ha detto.

Continua a leggere

Esteri

Nasrallah: l’attacco di Israele dichiarazione di guerra

Pubblicato

del

Il fronte israelo-libanese del Medio Oriente in fiamme è diventato l’epicentro delle ostilità, facendo quasi passare in secondo piano la situazione a Gaza. In Galilea le sirene hanno risuonato continuamente per i razzi lanciati dagli Hezbollah, e gli israeliani hanno risposto con massicce incursioni aeree in Libano. I caccia dell’Idf hanno anche sorvolato a bassa quota Beirut, rompendo il muro del suono, come gesto di sfida al discorso di Hassan Nasrallah, che si attendeva giurasse vendetta per il maxi sabotaggio ai cercapersone e ai walkie talkie delle sue milizie. “E’ stata una dichiarazione di guerra da parte di Israele”, ha tuonato il leader sciita, senza tuttavia annunciare per il momento un contrattacco sul larga scala. “La punizione arriverà, ma non diremo quando e dove”, il suo unico avvertimento.

A cui è seguito il via libera dello stato maggiore israeliano ai piani di battaglia per il confine settentrionale. Il conteggio delle vittime non è ancora concluso, dopo la sorprendente operazione che in due giorni ha messo in scacco gli Hezbollah facendo esplodere migliaia di apparecchi di comunicazione in tutto il Paese ed anche in Siria, provocando almeno una quarantina di morti e tremila feriti. Un’azione non rivendicata dallo Stato ebraico, ma con i tratti distintivi del Mossad. Lo stesso Nasrallah, nell’intervento trasmesso in tv da una località segreta, ha ammesso che il suo movimento “ha subito un duro colpo, senza precedenti”. Allo stesso tempo ha accusato il nemico di aver “oltrepassato tutte le linee rosse” prendendo di mira “aree affollate di civili”. La sua retorica incendiaria contro Israele non ha tuttavia portato all’annuncio di un’escalation militare.

Il capo del partito di Dio si è limitato a promettere che il “fronte libanese resterà aperto finché non finirà l’aggressione contro Gaza” e che la rappresaglia ci sarà, senza tuttavia precisare “tempi e luoghi”. Ancora una volta, un apparente segnale di voler puntare più su una guerra psicologica con Israele che su un conflitto su larga scala. In linea con gli alleati iraniani. Il discorso di Nasrallah è stato oggetto di valutazione durante una riunione convocata da Benyamin Netanyahu con i suoi ministri, ma lo Stato ebraico continua a premere con l’obiettivo dichiarato di riportare nelle proprie case i 60mila residenti fuggiti dalle zone di confine, dove oggi sono stati uccisi due soldati israeliani. Negli ultimi giorni il governo, a partire dal premier, ha ripetuto che serve un “cambiamento fondamentale” per la sicurezza nel nord, mentre il ministro della Difesa Yoav Gallant ha parlato di una “nuova fase della guerra” in cui le “operazioni continueranno”. Anche se l’ex generale, spesso in rotta di collisione con Bibi, ha parlato di “opportunità significative ma anche di gravi rischi”. Proprio per scongiurare i gravi rischi legati alla polveriera libanese si moltiplicano i tentativi di mediazione della diplomazia occidentale.

I ministri degli Esteri di Stati Uniti, Francia, Italia, Germania e Gran Bretagna si sono riuniti a Parigi per fare il punto della situazione. Antony Blinken, in un bilaterale con Stephane Sejourne, ha invocato “moderazione da tutte le parti”, mentre Antonio Tajani ha portato nella capitale francese, per condividerle con i colleghi, le informazioni che arrivano dai militari italiani impegni in Unifil, a Beirut e al confine israelo-libanese. Dalla Cnn intanto è arrivata l’indiscrezione che Netanyahu non incontrerà Joe Biden a New York, a margine dell’Assemblea generale dell’Onu. Un ulteriore indizio che non lascia intravedere nulla di buono, neanche per quanto riguarda la trattativa sugli ostaggi a Gaza. Anche il capo del Pentagono Lloyd Austin ha rinviato il suo viaggio in Israele inizialmente previsto all’inizio della prossima settimana in seguito all’escalation delle tensioni. In questa persistente instabilità, le compagnie aeree sono corse ai ripari: sia Lufthansa che Air France hanno esteso lo stop ai voli nella regione, mentre Londra ha invitati i britannici a lasciare il Libano quanto prima paventando “un rapido peggioramento della situazione”.

Continua a leggere

In rilievo

error: Contenuto Protetto