Collegati con noi

Esteri

Il boom del Fronte Popolare e la mina Mélenchon

Pubblicato

del

L’argine del Nuovo Fronte Popolare contro l’ondata dell’estrema destra ha funzionato. Anche troppo, dicono stasera gli osservatori dopo che l’improvvisata coalizione della gauche ha travolto tutti gli avversari conquistando la maggioranza relativa in queste legislative. Costruito in 48 ore per unire tutte le forze e le sensibilità dell’insanabile gauche francese, il Front ha avuto ancora volta ragione dell’estrema destra. E, in questo caso, anche di Macron, ma adesso viene il difficile: la gauche sarà chiamata all’esame di maturità, trovare un accordo per racimolare gli altri 90 voti che le mancano per dar vita a una larga coalizione con macroniani, centristi e Républicains per sostenere un governo di unione nazionale.

Chi, questa sera, vuole sperare in una soluzione, guarda a François Ruffin, Raphael Glucksmann e Marine Tondelier. Immutabile nelle sue invettive, Jean-Luc Mélenchon – leader de La France Insoumise, il partito principale del Fronte anti-Le Pen – ha tuonato questa sera contro l’estrema destra, intimando a Macron di dare l’incarico di costituire il governo al Nuovo Fronte Popolare. Ha utilizzato i suoi ben noti toni da tribuno cui non rinuncia mai, le derive verbali che gli hanno fatto piovere addosso accuse di intransigenza, massimalismo, addirittura antisemitismo negli ultimi tempi. A pochi giorni dal ballottaggio, lo ha lasciato anche il delfino François Ruffin, che in molti vedevano come suo erede.

Troppe le differenze ormai anche ideologiche, sicuramente strategiche sull’immediato futuro. Al punto che Ruffin ha sbattuto la porta di Lfi, ha definito il capo del partito “un peso morto” ed ha annunciato che non siederà sugli stessi banchi dei compagni con i quali ha iniziato la battaglia. Gli ha già offerto asilo politico il Partito comunista che – a differenza di Lfi che si è chiamata fuori da qualsiasi forma di coalizione con macroniani, centristi o destra moderata – sarebbe aperto alla trattativa. Nato a Calais 48 anni fa, giornalista, saggista e autore di pluripremiati documentari a sfondo politico e sociale, Ruffin ha ricordato in questi giorni che “ci sono stati grandi momenti nella nostra storia che si sono costruiti con questa coalizione, la Liberazione ad esempio, dove comunisti e gollisti governavano insieme”. Pone condizioni, come il ripristino della patrimoniale e l’abrogazione della riforma delle pensioni, ma non chiude la porta. Anche se, ha avvertito, non parteciperà “a un governo tipo insalata mista, eteroclita e improvvisato”.

L’uomo simbolo del dialogo e della gauche riformista è però oggi Raphael Glucksmann, che con il suo movimento Place Publique ha fatto rinascere dalle ceneri il Partito socialista insieme al segretario Olivier Faure, portandolo al terzo posto alle Europee. Lacerante è stata la sua scelta di schierarsi al fianco dei mélenchoniani, che gli ha alienato non poche simpatie di chi lo aveva votato con entusiasmo. Fra questi, molti elettori ebrei, che dopo le derive antisemite hanno scelto l’equidistanza dalle due estreme. Quarantaquattro anni, figlio del filosofo paladino dei diritti umani André Glucksmann, compagno della popolare giornalista tv Léa Salamé, è stato inflessibile con Macron dopo lo scioglimento del Parlamento – “sono disgustato”, disse – ed ha continuato a criticarlo anche in questa settimana. Al contrario, sarebbe il primo che il presidente sceglierebbe come alleato nella gauche. Infine Marine Tondelier, leader dei Verdi, emersa in questa settimana come personalità che meglio di altre sa unire intransigenza e rigore con aperture al dialogo.

“La Francia – ha detto ‘l’altra Marine’, 37 anni, così definita perché candidata nel feudo di Marine Le Pen, a Henin-Beaumont – vivrà certamente una situazione inedita. Quale? Non ci sono soluzioni giuste o sbagliate. Troveremo la meno peggio, la migliore per la Francia oggi. Ma dobbiamo mostrarci pronti a governare”.

Advertisement
Continua a leggere

Esteri

Gaza, colpito centro Hamas in moschea Shuhada al-Aqsa: 21 morti

Pubblicato

del

Il bilancio delle vittime dell’attacco israeliano alla moschea Shuhada al-Aqsa, nella Striscia di Gaza centrale, è salito a 21.  “C’é anche un gran numero di feriti a seguito del bombardamento di una moschea che ospitava gli sfollati davanti al cancello dell’Ospedale dei Martiri di Al-Aqsa a Deir al-Balah, nella Striscia di Gaza centrale”, ha dichiarato il portavoce della Protezione Civile di Gaza, Mahmud Bassal.

L’esercito israeliano (Idf) ha confermato di avere effettuato nella notte un attacco aereo “mirato” contro una “struttura che in precedenza fungeva da moschea Shuhada al-Aqsa nell’area di Deir al Balah”, nella Striscia di Gaza centrale. Nella struttura, si legge in un comunicato pubblicato su Telegram, si trovava “un centro di comando e controllo” all’interno del quale “operavano i terroristi di Hamas”. In precedenza fonti mediche avevano riferito che nell’attacco sono morte almeno cinque persone.

Continua a leggere

Esteri

Trump-Musk show a Butler, ‘salviamo il Paese’

Pubblicato

del

Show di Donald Trump e Elon Musk in Pennsylvania, in quella Butler dove il 13 luglio Thomas Crooks cercò di uccidere l’ex presidente. Fra imponenti misure di sicurezza, Trump sale sul palco e ricorda il “mostro feroce” che ha aperto il fuoco, ferito all’orecchio Trump e ucciso l’ex pompiere Corey Comperatore, deceduto per salvare la sua famiglia seduta in prima fila. “Torno a Butler con un messaggio semplice per la Pennsylvania e l’America”: il nostro movimento “è più che mai vicino alla vittoria”, ha detto l’ex presidente chiedendo al pubblico di osservare un minuto di silenzio in onore di Comperatore. Poi ha ripreso la parola e si è scagliato contro i democratici.

“Negli ultimi otto anni coloro che volevano fermarci, mi hanno accusato, incriminato e cercato di cacciarmi dalle urne e, chissà, forse anche cercato di uccidermi. Ma io non mi fermo e non fermerò”, ha assicurato. “Meritate un Paese che vi difenda e che sia rispettato come lo era quattro anni fa. Ora ci ridono dietro”, ha quindi aggiunto l’ex presidente lodando il suo vice JD Vance. “Avete visto quanto è stato bravo al dibattito” contro Tim Walz?, ha chiesto Trump ai presenti. L’ex presidente ha poi invitato sul palco Elon Musk. Maglietta nera ‘Occupy Mars’, cappellino con visiera nero e giacca nera – “sono un Dark Maga”, ha scherzato -, il miliardario si è detto onorato di partecipare all’evento.

“Questa elezione è la più importante della nostra vita. L’altra parte vuole togliervi la libertà di parola”, ha detto Musk spiegando che “serve la libertà di parola per avere la democrazia. Trump deve vincere per preservare la costituzione e la democrazia”. Il patron di X quindi ha esortato tutti a votare: è improntate – ha detto – perché questa elezione potrebbe essere decisa da uno scarto di voti ridotto. “Fight, fight. Fight. Vote, vote , vote”, ha poi cantato Musk, abbracciando Trump lasciando il palco. L’ex presidente ha quindi promesso che con lui alla Casa Bianca sarà evitata la “terza guerra mondiale, alla quale siamo molto vicini”.

“Vinciamo in Pennsylvania e vinciamo ovunque”, ha precisato mentre il voto anticipato è iniziato in molti stati e circa 1,4 milioni di americani ha già votato. “Insieme salviamo il Paese” dall'”incompetente” Kamala Harris, che vuole solo “alzarvi le tasse”, ha detto al pubblico. “Vogliamo una vittoria così schiacciante che non possono rubarcela”, ha aggiunto riferendosi alla ‘Big Lie’ delle elezioni rubate del 2020.

Continua a leggere

Esteri

Sinwar l’imprendibile, ma il cerchio si stringe

Pubblicato

del

Yahya Sinwar “è vivo” ma non nutre grandi speranze sul suo futuro a un anno dalle stragi compiute dai suoi uomini in Israele. Il leader di Hamas, isolato e annidato nella rete di tunnel a Gaza, punterebbe tutto sull’escalation del conflitto tra Tel Aviv, Beirut e Teheran per attenuare la morsa dell’esercito israeliano nella Striscia. Il quadro è stato tracciato dai responsabili dell’intelligence americana al New York Times: gli 007 sono convinti che Sinwar, rimasto l’unico in vita nella kill list dei responsabili degli attacchi del 7 ottobre, sarebbe consapevole che il “cerchio si stringe” e che non gli rimane molto tempo. Israele gli ha fatto terra bruciata intorno, eliminando innanzitutto la primula rossa e numero uno delle Brigate al-Qassam, il braccio armato di Hamas, Mohammed Deif – la mente del 7 ottobre – e il suo vice Marwan Issa; poi addirittura il capo politico Ismail Haniyeh, ucciso a Teheran in circostanze da spy story ancora tutte da chiarire.

Ma l’elenco di comandanti di Hamas eliminati è ancora più lungo: l’ultimo è stato il successore di Deif e Issa, Sayyed Attaullah Ali, ucciso nelle ultime ore in un raid nel nord del Libano. Secondo gli analisti americani, al momento non ci sarebbe spazio per una tregua, mediata con il rilascio degli ostaggi: “L’atteggiamento di Sinwar si è inasprito nelle ultime settimane e i negoziatori americani ora credono che Hamas non abbia intenzione di raggiungere un accordo con Israele”, scrive il Nyt citando le sue fonti. Del resto, stima l’intelligence Usa, sull’altro fronte il premier israeliano Benyamin Netanyahu “è concentrato soprattutto sulla sua sopravvivenza politica” e potrebbe considerare un cessate il fuoco contrario ai suoi interessi.

A Washington si ipotizza che “Sinwar sia diventato sempre più rassegnato mentre le forze israeliane gli danno la caccia”: Israele e gli Stati Uniti hanno investito ingenti quantità di risorse per scovarlo. La Cia ha creato un’unità speciale e il Pentagono ha dato direttive ai suoi operativi per contribuire alle ricerche degli israeliani. Da tempo il capo di Hamas si è affidato ad una rete di comunicazione verbale, utilizzando membri dell’organizzazione per fare spola con i comandi militari. Quindi nessun telefono, neppure satellitare, per eludere le ricerche dei sofisticati radar forniti dagli Usa, anche grazie alla fitta rete di tunnel a Gaza che gli ha permesso in questi mesi di muoversi in relativa tranquillità, talvolta anche all’aria aperta. Alcune sue tracce sono state trovate nel tunnel di Tel Sultan, dove sono stati rinvenuti i cadaveri di sei ostaggi israeliani, mentre un bombardamento su un complesso sotterraneo dove si riteneva potesse nascondersi si sarebbe risolto con un nulla di fatto. Il corpo di Sinwar non c’era, hanno riferito i media di Tel Aviv. Da allora nessun segno di vita, ma neppure di morte.

Il ricercato numero uno al mondo potrebbe tornare a far sentire la sua voce in occasione dell’anniversario del 7 ottobre, sulle orme del bin Laden annidato nelle grotte afghane, sfidando i cacciatori del Mossad e della Cia in un ultimo sberleffo: convinto ormai che il messaggio di Teheran per lui sia che “non arriverà la cavalleria” iraniana a salvarlo, e che la sua sorte, prima o dopo, sia ormai segnata.

Continua a leggere

In rilievo

error: Contenuto Protetto