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Idf conferma blitz nel nord Libano, preso membro di Hezbollah, Imad Amhaz: il video della cattura

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Le forze israeliane hanno confermato che un commando della Shayetet 13, la 13ma flottiglia della Marina militare, ha compiuto un blitz ieri sera nel nord del Libano per catturare un membro di Hezbollah, Imad Amhaz, che l’Idf considera “un importante fonte di informazioni” sulla forza navale della milizia libanese.

Lo riporta Times of Israel. Il commando è arrivato via mare e ha fatto irruzione in uno chalet sulla costa di Batroun, a sud di Tripoli, dove Amhaz è stato prelevato. Gli uomini del commando (25, secondo alcuni media) hanno poi lasciato la zona a bordo di motoscafi, riferiscono i media libanesi. L’uomo viene ora interrogato dall’Unità 504 della Direzione dell’intelligence militare.

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I mercati hanno già votato, ‘scommessa su Trump’

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Gli investitori hanno già piazzato la loro scommessa: Donald Trump sarà il nuovo presidente degli Stati Uniti. Prova ne è il fatto che nell’ultimo mese i titoli e gli asset che dovrebbero beneficiare di una sua vittoria hanno corso molto: dal bitcoin al social del tycoon Truth, da Tesla dell’alleato Elon Musk fino all’oro e al dollaro. E corre anche Wall Street, che vede con favore il taglio delle tasse alla Corporate America. “Anche se i sondaggi sono vicinissimi e ad oggi è impossibile dare un vincitore, il mercato si è portato molto avanti puntando su Trump.

Gli investitori sono piuttosto fiduciosi che possa vincere e che possa farlo prendendo sia la Camera che il Senato”, ha dichiarato Alberto Tocchio, head of global equity and thematics di Kairos Partners Sgr. I segnali di quella che – alla luce dei margini risicati e dei sondaggi degli swing States – ha i contorni di una scommessa si leggono un po’ ovunque. Wall Street, a cui piace la promessa di Trump di abbassare le tasse, arriva all’appuntamento del 5 novembre “con la performance migliore di sempre dell’indice S&P in un anno elettorale”, sottolinea Tocchio. Il taglio dei tassi di 50 punti base della Fed è stato completamente assorbito dal rialzo di 60 punti dei rendimenti dei Treasury, espressione dei rischi inflattivi delle politiche trumpiane sui dazi. Il bitcoin, che ha nel tycoon un estimatore, si è spinto a un passo dal record storico di 73 mila dollari. Discorso analogo per l’oro, bene rifugio in caso di inflazione e rischi geopolitici.

Le scommesse su Trump e la forza dell’economia Usa, che allontano la prospettiva di drastici tagli dei tassi, hanno regalato al dollaro la migliore performance mensile in due anni. Così come i panieri di titoli legati al ‘Trump trade’ hanno sovraperformato quelli di aziende più esposte a Kamala Harris. Ma non tutti festeggiano. L’Europa, insieme alla Cina, è l’area geografica che “rischia di essere maggiormente penalizzata” da una vittoria di Trump, afferma Tocchio. “Un republican sweep (vittoria sia di Camera che Senato, ndr) darebbe al governo il più ampio raggio d’azione per implementare tariffe più alte e tasse sulle imprese più basse”, secondo Bank of America. Che predica “cautela verso i settori europei con la più alta esposizione alle vendite negli Usa”.

Auto, meccanica, aerei, tecnologia, prodotti per i consumatori, potrebbero essere molte le aziende europee che verranno colpite dai dazi di Trump. Che potrebbe azzoppare anche un altro settore, quello delle rinnovabili. Un paniere di Ubs composto da aziende europee che beneficiano dell’Ira (il piano di Biden per stimolare la transizione energetica), da società di energia rinnovabile e aziende che vanno bene in un contesto di relazioni commerciali regolari ha perso il 10% in un mese. Sulle Borse la volatilità “sarà altissima”, anche perché il mercato arriva “carico” all’appuntamento, dopo un anno di forti rialzi e nel pieno della stagione delle trimestrali, dice Tocchio. Ai risparmiatori conviene “non farsi influenzare dei primi movimenti”. Dopo un anno a “bassa volatilità” occorrerà “trattenere il respiro e tornare a investire dopo che la situazione sarà più chiara”.

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Pyongyang, ‘con i compagni russi fino alla vittoria’

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Pyongyang rimarrà “fermamente accanto ai compagni russi fino al giorno della vittoria” sull’Ucraina. Il proclama che la ministra degli Esteri nordcoreana Choe Song Hui ha lanciato da Mosca non è certo di quelli che possono rassicurare l’Occidente, dopo che poche ore prima il segretario di Stato americano Antony Blinken aveva denunciato la presenza di 8.000 militari inviati da Kim Jong-un nella regione russa di Kursk. Una risposta di Washington è stata oggi l’annuncio di un nuovo pacchetto di aiuti militari a Kiev per 425 milioni di dollari. E’ già la terza visita che Choe compie in Russia dall’inizio dell’anno. Ma l’attenzione dedicata dai media di Mosca all’evento – e la stessa coreografia – sembrano sottolinearne tutto il significato nell’ottica di una sfida tra blocchi contrapposti che molto ricorda gli anni della Guerra Fredda.

La ministra è stata accolta con un mazzo di fiori dal suo omologo Serghei Lavrov alla stazione ferroviaria di Yaroslav, dove insieme hanno scoperto una targa in ricordo della visita a Mosca nel 1949 di Kim Il Sung, il primo (ed ‘eterno’, secondo la Costituzione nordcoreana) presidente dello Stato comunista asiatico. Non solo: Choe ha anche posto l’accento nelle sue dichiarazioni pubbliche sulle tensioni crescenti nella penisola coreana, avvertendo che Pyongyang continua a rafforzare il suo arsenale per essere pronto a una “rappresaglia nucleare” se verrà attaccata. La situazione nella penisola “potrebbe diventare esplosiva in qualsiasi momento”, perché gli Usa e la Corea del Sud stanno lavorando a “piani di attacchi nucleari”, ha affermato l’inviata nordcoreana. Ciò richiede a Pyongyang di “rafforzare le sue armi nucleari strategiche, armi nucleari offensive”.

Alle parole si accompagnano i fatti: lo Stato comunista ha reso noto di aver testato giovedì il nuovo missile balistico intercontinentale a combustibile solido Hwasong-19. A placare i toni bellicosi di Pyongyang non sarà certo la notizia che Giappone ed Unione europea hanno firmato a Tokyo un nuovo partenariato di sicurezza e difesa, che entrerà in vigore a gennaio includendo anche più esercitazioni militari congiunte. Una cooperazione che non deve “prendere di mira terze parti”, ha reagito il ministero degli Esteri cinese, invitando l’Ue ad “evitare di intervenire nelle controversie territoriali regionali”. A completare il quadro fosco di giornata sono le dichiarazioni di Lavrov, il quale in un’intervista al giornale turco Hurriyet ha avvertito che gli Usa e la Russia sono “sull’orlo di un conflitto militare diretto” a causa della “spirale negativa russofoba” impressa dal presidente Joe Biden ai rapporti bilaterali. Un commento forse non del tutto disinteressato, quando mancano quattro giorni alle elezioni Usa, con la possibilità di una riduzione del sostegno all’Ucraina se alla Casa Bianca dovesse tornare Donald Trump. Per ora ad alimentare le tensioni è l’arrivo dei soldati nordcoreani, che non è stato smentito né da Mosca né da Pyongyang.

“Il rispettato compagno Kim Jong-un ci ha dato istruzioni di fornire appoggio all’esercito e al popolo russo in modo sostenibile e potente, senza preoccuparci di nessuno”, ha detto la ministra nordcoreana. E Lavrov ha sottolineato che “hanno già cominciato ad essere applicati nella pratica” gli accordi previsti dal trattato di cooperazione strategica firmato in giugno dai due Paesi, che comprende un’assistenza militare reciproca in caso di aggressione esterna. Come può essere considerata da Mosca l’invasione ucraina del Kursk. La Cina, criticata per il suo silenzio in materia dal presidente ucraino Volodymyr Zelensky, ha risposto che “la Corea del Nord e la Russia sono due Stati sovrani indipendenti e il modo in cui sviluppano le relazioni bilaterali è una questione loro”. Sul terreno, intanto, il ministero della Difesa di Mosca ha rivendicato la conquista nelle ultime 24 ore di altri tre villaggi nella regione orientale ucraina del Donetsk. Ma la Russia continua ad essere vulnerabile ai droni di Kiev. Il governatore della regione di Stavropol, nel sud del Paese, ha detto che un velivolo senza pilota ucraino è caduto sul territorio di un deposito di petrolio a Svetlograd, ma “non ci sono notizie di vittime”.

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Oltre 200 morti a Valencia, allarme alle Baleari

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Da una parte la conta dei morti che continua a salire, dall’altra un’ondata impressionante di solidarietà. Le proporzioni dell’alluvione che ha colpito Valencia e altri punti della Spagna assumono contorni sempre più drammatici, con 205 vittime già confermate e un numero di dispersi ancora imprecisato mentre le ricerche proseguono senza tregua. Ma intanto si moltiplicano anche le necessità urgenti dei sopravvissuti, con migliaia di persone rimaste ormai da giorni senza luce e accesso all’acqua potabile e con pochissimo cibo. Così come le mostre di buona volontà da parte di molti cittadini disposti a sfidare il mare di fango nelle aree alluvionate per portare aiuti e conforto a chi ne ha bisogno. L’allerta meteo per l’infernale ‘Dana’ attiva da giorni, intanto, non è ancora finita, come ha di nuovo ribadito nelle ultime ore il premier Pedro Sánchez. Dopo le inondazioni di strade e cale nella provincia andalusa di Huelva della notte tra giovedì e venerdì, l’allerta si è spostata in particolare alle Baleari.

“Serve molta precauzione”, hanno avvertito sui social le autorità locali. “Per fortuna la gente sta ascoltando gli avvisi e non sta andando in strada”, ha raccontato un responsabile di polizia della zona al giornale Ultima Hora. A Valencia, intanto, è aumentato il contingente militare destinato alla zona per assistere le popolazioni in difficoltà (con già oltre 1.700 effettivi sul terreno). E mentre le autorità si affannavano nel provare a tranquillizzare i tanti alluvionati che denunciano di non esser stati ancora soccorsi, a tentare di metterci una pezza sono stati anche migliaia di volontari. Un’enorme fiumana di persone armate di pale, scope, bottiglie d’acqua e viveri incamminatasi a piedi dal centro città verso le località dell’hinterland diventate epicentro della tragedia. Così grande da diventare addirittura ingestibile per chi è già alle prese con un numero senza fine di problemi da risolvere.

“Il traffico sta andando al collasso e i servizi d’emergenza non riescono a passare”, ha spiegato il governatore valenciano Carlos Mazón, “vi chiedo di tornare a casa”. Una delle preoccupazioni principali resta quella di rintracciare chi manca all’appello. Perché in molte delle aree più distrutte la situazione è ancora di totale caos, con melma e sporcizia dappertutto, strade bloccate e macchine accatastate. E sono diversi i punti in cui si teme possano esserci cadaveri non ancora recuperati.

“Abbiamo lavorato tutta la notte in un tunnel, lungo l’arteria che va da Alfafar e Benetuser”, ha raccontato un pompiere, “era totalmente allagato, ora è completamente ripulito dall’acqua. Dentro ci sono circa 30, 40 macchine con diverse vittime al loro interno”. Un altro problema è poi quello di ripristinare il prima possibile la rete stradale e i servizi di trasporto pubblico. “Oltre 80 km di rete stradale è stata danneggiata e la priorità è riattivare con urgenza l’autostrada A7 interrotta e impossibile da percorrere”, ha spiegato il ministro dei Trasporti, Óscar Puente. Mentre per i treni regionali, dopo la distruzione di 3 delle 5 linee ferroviarie nella catastrofe, “ci vorranno mesi per essere di nuovo completamente operativi”. Sul fronte politico, mentre governo nazionale e autorità regionali provano a rafforzare ulteriormente un’immagine di unità nella gestione dell’emergenza, risuonano nuovi attacchi verso la squadra del premier Sánchez da parte dell’opposizione. Dopo il popolare Alberto Núñez Feijóo, l’affondo è arrivato dal leader di Vox Santiago Abascal. “È sempre il popolo spagnolo a reagire in maniera esemplare. E mentre ciò accade, Sánchez lascia l’esercito nelle caserme per interessi politici”, ha scritto su X denunciando una presunta insufficienza di mezzi dispiegati sul terreno.

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