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IA per diagnosi tumore prostata, studio al Mauriziano di Torino

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L’Intelligenza Artificiale e la Realtà Aumentata come strumenti chiave nella diagnosi precoce e di precisione per il tumore della prostata. Nel reparto di Urologia dell’ospedale Mauriziano di Torino, diretta da Roberto Migliari, è in corso uno studio approvato dal Comitato Etico, volto a valutare l’accuratezza diagnostica di un software di IA applicato allo studio dei tumori prostatici tramite risonanza magnetica.

“Questa iniziativa rappresenta un passo importante verso l’implementazione di tecnologie avanzate nella pratica clinica”, affermano dall’ospedale torinese. Un ulteriore sviluppo è rappresentato dall’utilizzo della Realtà Aumentata, che consente di trasformare le immagini della risonanza magnetica in ologrammi 3D, per offrire agli urologi la possibilità di visualizzare dettagliatamente l’area sospetta di tumore prima della biopsia, migliorando la precisione dell’intervento. Con sofisticati algoritmi, l’IA ottimizzerà i processi diagnostici, fornendo flussi di dati analizzati con precisione per una valutazione completa delle immagini.

“Grazie alla sua capacità di elaborare rapidamente e con precisione i dati, l’IA renderà la diagnosi più accurata e sicura”, aggiungono dal Mauriziano. L’IA ridurrà così i tempi di analisi delle risonanze magnetiche da ore a 10 minuti. Venerdì 8 novembre, al ‘Circolo del Design’ di Torino, si svolgerà la seconda edizione della masterclass ‘Biopsia prostatica trans perineale fusion’. Questo evento, coordinato da Roberto Migliari e da Alessandro Giacobbe, responsabile dell’Endoscopia e Biopsia prostatica. Durante la masterclass verranno discusse le recenti innovazioni nella diagnosi del tumore della prostata, con particolare attenzione all’ausilio dell’Intelligenza Artificiale.

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Pd, scontro Schlein-De Luca: i consiglieri regionali campani a un bivio per il terzo mandato

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Il Partito Democratico affronta giorni di tensione sul possibile terzo mandato di Vincenzo De Luca (nella foto Imagoeconomica in evidenza) alla presidenza della Campania. Dopo settimane di indiscrezioni, la segretaria del PD Elly Schlein (nella foto Imagoeconomica assieme a Piero De Luca, deputato Pd e figlio del presidente delal Regione Campania)  assieme ha chiarito la posizione del partito, definendo “fuori luogo” l’approvazione di una norma che permetterebbe a De Luca di candidarsi nuovamente. Schlein ha espresso la posizione del PD, dichiarando che “i mandati del governatore finiscono qui”. Nonostante una telefonata tra Schlein e De Luca nella quale la segretaria ha ribadito la necessità di fermarsi, il governatore ha confermato la propria volontà di continuare, aprendo una divisione interna.

ELLY SCHLEIN – SEGRETARIA PD , PIERO DE LUCA – DEPUTATO (foto Imagoeconomica)

Bivio per i consiglieri regionali: con il PD o con De Luca

I consiglieri regionali campani del PD sono così posti davanti a una scelta: seguire la linea del partito o sostenere il provvedimento che potrebbe riaprire le porte a De Luca. La situazione si è ulteriormente complicata durante una riunione, a cui hanno partecipato, oltre ai consiglieri regionali, il commissario PD Antonio Misiani e il responsabile dell’organizzazione Igor Taruffi. A sorpresa, si è collegata anche Schlein, la quale ha ribadito che “portare in aula questo provvedimento ora è sbagliato”. Secondo la segretaria, infatti, tale norma dovrebbe essere discussa all’inizio della legislatura e non alla fine, sollevando così dubbi sull’opportunità di procedere con il voto.

Le posizioni dei consiglieri dem: divergenze interne e pressioni del Nazareno

Durante la riunione, i consiglieri si sono sfogati. Gennaro Oliviero e Maurizio Petracca, rappresentante dell’area irpina, hanno lamentato settimane di pressioni, sottolineando che un incontro con la segretaria sarebbe stato utile in anticipo. La Schlein ha quindi affermato che, pur senza imporre un diktat, la linea del partito è quella di “stoppare la norma”. Questo, di fatto, impone ai consiglieri una scelta netta: restare allineati al PD nazionale o sostenere De Luca, mettendosi così fuori dal perimetro del partito.

Nel Nazareno si è consapevoli che il gruppo regionale, composto da otto consiglieri, potrebbe vedere due o tre membri votare comunque a favore della norma. Tuttavia, per agevolare la gestione della crisi, è stato deciso di prorogare la carica del commissario Misiani per quattro mesi, invece che per un anno, rispondendo alle richieste emerse durante il congresso.

Il nodo della legge e il confronto interno del PD

Il capogruppo Mario Casillo ha ricordato che il provvedimento è già stato incardinato e che la prima commissione consiliare si è già riunita per discuterne. Schlein ha suggerito di rallentare l’iter, offrendo ai consiglieri più tempo per trovare una soluzione interna. Così, il gruppo PD ha deciso di non presentarsi alla seduta della commissione, rinviando la decisione. Si cerca una sintesi tra chi vuole fermare il provvedimento e chi crede che si possa proseguire, sottolineando che la legge non garantisce automaticamente a De Luca un terzo mandato.

Schlein e De Luca a confronto diretto: chi seguiranno i consiglieri?

La tensione culmina con l’arrivo a sorpresa di De Luca a una riunione con i consiglieri regionali. Anche lui, come la Schlein, vuole una risposta chiara dai consiglieri: con chi intendono schierarsi? La decisione attesa per martedì potrebbe segnare una svolta per il partito in Campania e una ridefinizione dei rapporti tra il PD nazionale e le realtà regionali.

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Esteri

L’Iran prepara la risposta a Israele, ordine di Khamenei

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L’Iran torna ad alzare i toni e promette una risposta “brutale” agli attacchi israeliani della scorsa settimana. L’ayatollah Ali Khamenei ha già dato ordine, lunedì scorso, al Consiglio per la sicurezza nazionale iraniano di prepararsi ad attaccare lo Stato ebraico, secondo quanto riporta il New York Times citando fonti iraniane. La Guida suprema avrebbe preso la decisione di non lasciare senza conseguenze lo smacco subito il 26 ottobre dopo aver esaminato un rapporto militare dettagliato sui danni causati dall’attacco israeliano alla produzione missilistica e alle infrastrutture energetiche del Paese: la portata dei raid è stata troppo grande per essere ignorata e non rispondere significherebbe ammettere la sconfitta. “Israele dovrà pentirsene”, ha detto Mohammad Mohammadi Golpayegani, capo dell’ufficio di Khamenei.

Secondo l’intelligence israeliana, citata da Axios, l’attacco di Teheran dovrebbe partire questa volta dal territorio iracheno con un gran numero di droni e missili balistici e – come già riferito da fonte iraniana alla Cnn – probabilmente prima delle elezioni americane del 5 novembre. Tuttavia, aggiunge un funzionario statunitense, gli Stati Uniti non sanno se la decisione sia stata effettivamente presa.

“Israele oggi ha più libertà d’azione che mai in Iran, e può raggiungere qualsiasi posto in Iran se necessario”, ha giurato dal canto suo il premier israeliano Benyamin Netanyahu, sottolineando che “l’obiettivo supremo è impedire all’Iran di ottenere un’arma nucleare”. Intanto sugli altri fronti aperti, cresce una flebile speranza di raggiungere una tregua in Libano, ma è Hamas a dare l’ennesima spallata alle prospettive di un cessate il fuoco a Gaza: “L’idea di una pausa temporanea solo per riprendere l’aggressione in seguito è qualcosa su cui abbiamo già espresso la nostra posizione. Hamas sostiene una fine permanente della guerra, non una temporanea”, ha detto all’Afp Taher al-Nunu, leader senior del movimento, bocciando il lavoro dei mediatori per una sospensione breve dei combattimenti ed evidenziando ancora una volta uno stallo nei negoziati che invece sembrano fare timidi passi avanti sul fronte nord, tema affrontato in un incontro tra inviati Usa e Netanyahu a Gerusalemme.

Un incontro definito “costruttivo” da un funzionario americano al Times of Israel, mentre il Segretario di Stato americano Antony Blinken ha confermato che i negoziatori hanno fatto “buoni progressi” verso un’intesa con Hezbollah. Nell’incontro tra gli inviati di Washington Amos Hochstein e Brett McGurk, Netanyahu ha sottolineato in ogni caso che qualsiasi intesa dovrà garantire la sicurezza di Israele. “Il primo ministro ha precisato che la questione principale non sono le pratiche per questo o quell’accordo, ma la determinazione e la capacità di Israele di garantire l’applicazione dell’accordo e di prevenire qualsiasi minaccia alla sua sicurezza da parte del Libano”, ha dichiarato l’ufficio del premier dopo la riunione a Gerusalemme. Secondo i media israeliani che citano fonti governative, il piano dei mediatori statunitensi prevede il ritiro degli Hezbollah dal Libano meridionale a nord del fiume Litani, a oltre 30 km dal confine, e il ritiro dell’esercito israeliano dalla stessa regione, il cui controllo tornerebbe all’esercito libanese e alle forze di pace dell’Onu.

In questo quadro, lo Stato ebraico vuole garanzie di conservare la propria libertà d’azione in caso di minacce. Funzionari israeliani hanno infatti sottolineato che i soldati impegnati nell’offensiva di terra nel sud del Libano non si ritireranno fino a quando non sarà raggiunto un accordo che soddisfi i requisiti di sicurezza di Israele, consentendo il ritorno di circa 60.000 residenti del nord sfollato a causa dei continui attacchi di Hezbollah. Nell’ultima giornata, i razzi del movimento sciita hanno ucciso cinque persone – un contadino israeliano e quattro braccianti thailandesi – nelle campagne di Metula. In un altro attacco, due persone sono state uccise dalle schegge di un razzo cadute in un uliveto nei pressi di Kiryat Ata, fuori da Haifa. E’ il bilancio più sanguinoso per Israele dall’inizio dell’offensiva in Libano. Nel frattempo, i raid di Israele sono proseguiti provocando decine di morti nell’est e nel sud del Libano, dove una base delle truppe irlandesi dell’Unifil ha subito “danni minori” per la caduta di un razzo lanciato da Hezbollah senza provocare feriti. Attacchi israeliani hanno preso di mira anche la Siria, dove la ong Osservatorio nazionale per i diritti umani ha denunciato cinque civili uccisi nei bombardamenti sulla città e la campagna di Al-Qusayr, nel governatorato di Homs.

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Esteri

Sfida dell’Ungheria all’UE: rapporti con Russia e Georgia e polemiche sul conflitto in Ucraina

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Continua la linea di sfida dell’Ungheria nei confronti della politica estera dell’Unione Europea, con il governo di Viktor Orban che cerca di mantenere rapporti indipendenti con Russia e Georgia, suscitando reazioni da Bruxelles. Durante una recente visita in Georgia, Orban ha espresso il proprio appoggio alla “vittoria schiacciante” del partito filorusso Sogno Georgiano, nonostante le contestazioni da parte delle opposizioni filo-occidentali locali. Nello stesso contesto, il ministro degli Esteri ungherese, Peter Szijjarto, ha incontrato a Minsk il ministro russo Serghei Lavrov, ribadendo la contrarietà di Budapest alla politica di sanzioni europee contro la Russia.

Szijjarto: “Costruire ponti, non tagliarli”

A Minsk, Szijjarto ha dichiarato: “All’Ungheria non piace la politica delle sanzioni”, sottolineando che “l’idea di tagliare i ponti deve essere sostituita dall’idea di costruire ponti”. Durante l’incontro con Lavrov, i due ministri hanno discusso di “cooperazione bilaterale” e delle “questioni internazionali di attualità”, riferisce il ministero degli Esteri russo, con probabile riferimento alla guerra in Ucraina. A differenza della maggior parte dei paesi europei, il governo di Budapest continua a sostenere un dialogo con il Cremlino e mantiene una posizione critica verso le strategie occidentali sul conflitto.

Zelensky e le crescenti tensioni con l’Occidente

Sul fronte ucraino, la preoccupazione del presidente Volodymyr Zelensky si concentra non solo sulla guerra, ma anche sui rapporti con i propri alleati, in particolare gli Stati Uniti. La possibile rielezione di Donald Trump alla presidenza statunitense potrebbe ridurre il sostegno americano a Kiev, aumentando le tensioni nell’alleanza occidentale. A complicare ulteriormente la situazione, si è aggiunta la questione dei soldati nordcoreani inviati in Russia: secondo il segretario di Stato americano Antony Blinken, circa 8.000 militari di Pyongyang sarebbero già nella regione di Kursk, al confine con l’Ucraina. “Se queste truppe dovessero impegnarsi in operazioni di combattimento o di supporto al combattimento contro l’Ucraina, diventerebbero legittimi obiettivi militari”, ha dichiarato Blinken. Zelensky ha però criticato la reazione, definendo “nulla, è stata zero” la risposta occidentale.

Il Cremlino e la difesa dei rapporti con la Corea del Nord

A difesa dei crescenti legami tra Mosca e Pyongyang è intervenuto Dmitry Peskov, portavoce del Cremlino, sottolineando che sia la Russia sia la Corea del Nord hanno il diritto sovrano di sviluppare relazioni “in tutti i settori”, aggiungendo che ciò “non dovrebbe spaventare o preoccupare nessuno”. Queste dichiarazioni aumentano le preoccupazioni di Kiev, che teme una posizione di minor sostegno da parte dei propri alleati in Occidente.

Il piano ucraino per la vittoria e i dubbi degli alleati

Recentemente, Zelensky ha presentato un piano per la vittoria accolto con scetticismo dagli Stati Uniti e da altri partner occidentali. Secondo il New York Times, una delle richieste avanzate nel piano include la fornitura di missili Tomahawk, con una gittata di 2.500 chilometri, sette volte superiore rispetto agli Atacms. Questa proposta, secondo quanto riferito dal ministro Lavrov, “ha provocato costernazione a Washington” e sembra destinata a non ricevere risposta positiva dagli Stati Uniti.

Scontri in Donbass e bombardamenti su Kharkiv

Nel frattempo, i combattimenti sul campo si intensificano. Il ministero della Difesa russo ha annunciato la presa del villaggio di Yasnaya Polyana nella regione di Donetsk, mentre le forze di Mosca si avvicinano a Pokrovsk, un centro strategico ucraino di circa 60.000 abitanti. A Kharkiv, intanto, un bombardamento russo ha causato la morte di tre civili e il ferimento di altre 35 persone. Tra le vittime ci sono anche due adolescenti di 12 e 15 anni.

Dall’altra parte, il governatore della regione di Zaporizhzhia, filo-russo, ha dichiarato che un attacco ucraino con dieci droni kamikaze ha colpito la città di Berdyansk, sotto controllo russo, sul Mar d’Azov, provocando tre feriti e danni significativi.

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