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Economia

I Paesi Ue approvano i dazi sulle auto elettriche cinesi

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Via libera dei Paesi Ue all’introduzione dei dazi aggiuntivi definitivi fino al 36,3% sulle auto elettriche cinesi in risposta ai maxi sussidi sleali elargiti da Pechino. Lo si apprende da fonti europee a margine del voto a Bruxelles.

La votazione si è tenuta nel contesto del Comitato difesa commerciale (Tdi), composto per lo più da funzionari dei singoli governi e non dai Rappresentanti Permanenti. Tecnicamente il via libera si configura come una ‘no opinion’: la maggioranza qualificata per bocciare la proposta della Commissione sui dazi non è stata raggiunto e questo comporta che l’esecutivo Ue può approvare i dazi anti-Cina. Sulla proposta della Commissione di introdurre i nuovi dazi dieci Paesi si sono espressi a favore, cinque hanno votato contro e dodici sono stati gli astenuti. Numeri che non hanno permesso di raggiungere quindi la maggioranza qualificata necessaria per stoppare il testo. La Commissione quindi potrà procedere quando riterrà opportuno.

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Economia

Salvo l’uso di ‘bistecca’ e ‘salsiccia’ per prodotti veg

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In Francia e in Unione Europea l’uso di nomi tipicamente associati alla carne per i prodotti a base vegetale è salvo: i cibi a base di proteine vegetali potranno continuare a chiamarsi ‘salsicce’, ‘bistecche’ o ‘hamburger’ e nessuno Stato membro può impedirlo. Lo ha messo nero su bianco la Corte di Giustizia dell’Ue accogliendo, in forma di sentenza, l’istanza di quattro organizzazioni francesi attive nel settore dei prodotti vegetali e vegani (l’Association Protéines France, l’Union vegetarienne européenne, l’Association végétérienne de France e la società Beyond Meat Inc.) che hanno contestato al governo di Parigi un decreto che vietava l’uso di termini come ‘bistecca’ o ‘salsiccia’ per indicare prodotti a base vegetale.

Un decreto pensato, secondo Parigi, per tutelare la trasparenza delle informazioni sui cibi, ma finito prima sul tavolo del Consiglio di Stato francese, e poi direttamente alla Corte di Lussemburgo. Per i giudici comunitari le norme sull’etichettatura alimentare tutelano già “sufficientemente i consumatori”, anche in questi casi. Dunque, uno Stato membro “non può impedire con un divieto generale ed astratto” ai produttori di alimenti a base di proteine vegetali di adempiere all’obbligo di indicare la denominazione di questi alimenti con “denominazioni usuali” o “descrittive”. A meno che il Paese non abbia adottato una “denominazione legale” per indicarli e purché le modalità di vendita o di promozione di quel prodotto non siano fuorvianti per i consumatori, inducendoli all’errore.

La Corte dell’Ue parla alla Francia, ma in realtà parla a tutta Europa, dove l’uso di termini associati a cibi contenenti proteine animali a quelli vegetali è sempre più dibattuto, soprattutto per via della diffusione di questi ultimi sul mercato europeo. Le prime divisioni a Bruxelles sono emerse nel 2020, quando nel quadro dei negoziati sulla Politica agricola comune (Pac) al Parlamento europeo di Strasburgo ci fu il tentativo di inserire nella revisione delle norme una serie di emendamenti per eliminare l’uso delle denominazioni di carne per i prodotti a base vegetale. Ma il blitz fallì e il blocco di emendamenti al regolamento sull’organizzazione comune dei mercati dei prodotti agricoli fu respinto. Il dibattito è rimasto aperto ed è, tra l’altro, particolarmente sentito in Italia. La sentenza, ad esempio, potrebbe non piacere a Lega e FdI, che del divieto di etichettatura tradizionale per i prodotti veg ne hanno fatto da tempo una bandiera.

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Economia

Istat raffredda le stime sul Pil, sale peso del fisco

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Non è una doccia fredda come quella arrivata dalle parole di Giancarlo Giorgetti a Bloomberg, ma il dato sul Pil fornito nelle ultime 24 ore dall’Istat qualche perplessità in più sull’andamento dell’economia italiana potrebbe farla nascere. L’istituto di statistica ha rivisto al ribasso la stima tendenziale sul Pil del secondo trimestre, ma soprattutto ha tagliato – peraltro con una correzione arrivata in un secondo momento – la crescita acquisita per il 2024, portandola dallo 0,6% allo 0,4%. Se il +1% scritto dal governo nel Piano strutturale di bilancio della scorsa settimana, ribadito anche dallo stesso Giorgetti, sembrava fino a poche ore fa un risultato praticamente già messo in tasca, le certezze potrebbero ora cominciare a vacillare. E se la crescita non centrasse l’obiettivo, anche il lavoro del governo si farebbe più complicato.

Meno crescita vuol dire meno entrate e più deficit, oltre che maggiore pressione fiscale. Nel secondo trimestre in cui l’Istat ha rivisto la crescita al ribasso, il peso del fisco rispetto al Pil è stato pari al 41,3%, in aumento di 0,7 punti percentuali rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Il dato risente degli aggiustamenti statistici ma, considerate le tensioni nate sulla questione tasse all’interno della maggioranza, rischia di non passare inosservato visto che proprio sulle tasse l’opposizione ha gioco facile ad attaccare e rischiano di giocarsi anche gli equilibri tra gli alleati. Sul tavolo c’è innanzitutto il nodo accise. Il governo ha chiarito che non si tratterà di un aumento tout court di quelle sul diesel ma di un allineamento tra benzina e gasolio.

L’Unem ha quindi rifatto i calcoli sottolineando che “nell’ipotesi estrema” in cui la misura si traducesse nell’equiparazione dell’accisa sul gasolio a quella della benzina, l’effetto sarebbe un aumento immediato dei prezzi al consumo del gasolio di 13,5 centesimi di euro al litro, ovvero in un maggiore esborso per le famiglie di quasi 2 miliardi di euro, pari a circa 70 euro all’anno. C’è poi il tema sigarette, per le quali gli oncologi hanno proposto un maxi-aumento di 5 euro a pacchetto come sostegno al Sistema sanitario nazionale. Ma c’è soprattutto il tema del ‘contributo’ delle imprese e del mondo bancario e assicurativo. Le ipotesi restano tutte aperte e non sembra essere esclusa quella di un addizionale Ires (tra 0,5% e 1%) che però le banche sembrano intenzionate a respingere per evitare un impatto sui conti. Una risposta piuttosto esplicita arriva da Augusto Dell’Erba, presidente di Federcasse-Bcc, secondo cui “i prelievi forzosi e improvvisi, peraltro su redditi già generati, quindi con una forma di retroattività, non sono il modo migliore per gettare le basi per un reale rilancio del Paese”.

La prende più alla larga Antonio Patuelli che però spiega come “più le tasse sono alte, più la ricchezza e i valori vanno via”. Il presidente dell’Abi manda il suo messaggio: vede una legge di bilancio “meno drammatica di quello che può apparire”, anche perché “i germogli di ripresa e di legalità portano maggiori introiti allo Stato”. L’idea di un contributo delle grandi imprese è invece condivisa da Luigi Sbarra della Cisl e da PierPaolo Bombardieri della Uil che definisce quella di Giorgetti “una dichiarazione di buon senso”. E un’aliquota “pesante” sulla ricchezza prodotta viene invocata anche dalla segretaria confederale della Cgil, Francesca Re David. Di Ires, ma non come addizionale, hanno peraltro discusso il ministro e il presidente di Confindustria Emanuele Orsini in un incontro con al centro il piano casa proposto dagli industriali, ma anche “la premialità Ires, come scritto nella legge delega fiscale, per chi fa investimenti”.

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Economia

Ipotesi flat tax al 15% sulle indennità dei medici

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La prossima legge di bilancio avrà uno “spazio importante” per la sanità. La rassicurazione arriva dal ministro della Salute Orazio Schillaci, che ribadisce come la priorità saranno le assunzioni e l’aumento degli stipendi di medici e sanitari. Un obiettivo, quest’ultimo, che si potrà raggiungere anche attraverso una misura alla quale si sta lavorando: una flat tax, annuncia, sull’indennità di specificità dei medici. “Con la prossima manovra intendiamo finalizzare ulteriori risorse per programmare nuove assunzioni e per pagare meglio chi già lavora alle dipendenze del Servizio sanitario. Una delle ipotesi concrete che ho già presentato al ministro Giorgetti – spiega Schillaci – riguarda la tassazione al 15% delle indennità di specificità per dare ulteriore ossigeno alle buste paga”. Si tratta di un’ipotesi di lavoro che va incontro alle richieste del sindacato dei medici ospedalieri Anaao Assomed. Soddisfatto anche il sindacato Cimo-Fesmed. Oggi la tassazione su questa voce è pari al 43%.

Una delle priorità, ha aggiunto, è che in manovra ci siano anche le “risorse adeguate per avere un piano pluriennale di assunzioni di personale medico e sanitario negli ospedali e per far sì che ci sia un maggiore numero di operatori del servizio sanitario pubblico”. Ed ancora: “Il ministro dell’Economia Giorgetti sta cercando le risorse per fare una una finanziaria che sia utile per il Paese”. Intervenendo all’assemblea della Federazione europea dei medici dipendenti (Fems), Schillaci ha affermato che l’impegno “è quello di affrontare il nodo della carenza di organico”. Un obiettivo da raggiungere “ridando attrattività al lavoro nel servizio pubblico”. C’è l’esigenza di rafforzare gli organici e in questa direzione va, a partire da gennaio, anche l’abolizione del tetto di spesa per le assunzioni. “Un vincolo finanziario ormai anacronistico”.

Ma il problema non è solo economico. “I giovani, in particolare – ha sottolineato – non vogliono solo soldi, quindi bisogna agire sulla medicina più moderna al passo con i tempi. I giovani hanno grandi aspettative e esigenze diverse rispetto al passato”. Non solo sanità. “La natalità è una questione fondamentale ed è tra le priorità del Governo. Ciò si riflette anche nel Piano strutturale di bilancio appena definito e nella prossima manovra di bilancio, che – ha detto Schillaci collegandosi poi al congresso della Federazione Nazionale degli Ordini della Professione di Ostetrica (Fnopo) in corso a Firenze – conterrà interventi trasversali a supporto delle famiglie”. Le cifre della manovra non sono ancora note, ma rispetto alla cifra stanziata per il settore sanità nella legge di bilancio dello scorso anno, pari a 5 miliardi complessivi, si andrebbe verso una ulteriore integrazione che alcune fonti avevano quantificato in circa 2 miliardi nelle scorse settimane. Nessuna conferma, ma la preoccupazione di medici e sanitari è forte. Da garantire, anche attraverso nuove assunzioni, si rileva, è pure l’applicazione della legge per lo smaltimento delle liste di attesa. E proprio sulla nuova normativa è tornato il ministro, evidenziando un’altra criticità: “Nella legge è scritto chiaramente che le liste d’attesa non possono essere chiuse. C’è ancora chi le tiene chiuse. Le Regioni devono fare la loro parte”. Questo stato di cose, ha ammonito Schillaci, “non è accettabile, non solo per me, ma per i cittadini”.

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