Gli ultimi a formare un governo, i primi ad andare al voto. Sei mesi dopo le politiche che hanno incoronato per la prima volta l’estrema destra olandese e il suo leader Geert Wilders, i Paesi Bassi si presentano il 6 giugno al test europeo entrando in una nuova era piena di incognite. Un rebus anche per l’Europa, da tredici anni abituata a Mark Rutte e minacciata ora dal redivivo leader xenofobo, e in passato alfiere della Nexit, che continua a volare in tutti i sondaggi e punta allo “tsunami migratorio”. Una sua nuova vittoria alle urne sarebbe decisiva per spingere la famiglia europea dei sovranisti di Identità e democrazia, già trainati da Marine Le Pen e Matteo Salvini, e imprimere forza al preannunciato strappo dell’Aja con Bruxelles sulle politiche d’asilo. Anche se in patria a cercare di tenere a bada le derive estremiste ci sarà l’ex capo dell’intelligence Dick Schoof, premier dal profilo tecnico appena designato.
Fotocopia delle ruvide proposte su migrazione, clima, agricoltura e crisi abitativa presentate ai cittadini olandesi, il programma redatto dai quattro partiti di coalizione – l’estrema destra (Pvv) di Wilders, i liberali di destra (Vvd) del premier uscente Rutte guidati dall’ex bambina rifugiata Dilan Yesilgoz, i centristi dalla verve populista (Nsc) di Pieter Omtzigt, e il movimento dei contadini Bbb – punta soprattutto a inasprire le norme sul diritto d’asilo con deportazioni anche forzate di chi è senza permesso di soggiorno. E invoca già la possibilità per i Paesi Bassi di sfilarsi – tramite l’opt-out – dalle disposizioni comunitarie in materia. “Il sole splenderà di nuovo in Europa”, è lo slogan che il leader anti-Islam continua imperterrito a pubblicare sulle pagine social. Secondo gli ultimi sondaggi, il suo Pvv potrebbe volare oltre il 30% – migliorando ulteriormente il 23,6% ottenuto alle politiche – ed entrare all’Eurocamera, dove oggi è assente, occupando 9 seggi sui 31 da distribuire per i partiti olandesi.
Il distacco con tutti gli altri in termini percentuali è abissale: stando alle proiezioni, l’acerrimo nemico Frans Timmermans, alla guida del ticket europeista formato da Laburisti e Verdi, si fermerebbe al secondo posto con il 16% dei consensi, quasi doppiato da Wilders. Seguono gli alleati del Vvd di Yesilgoz al 12%, dell’Nsc di Omtzigt al 7%, e del Bbb al 5%. Mentre si fermerebbe intorno al 2% il rampante populista Thierry Baudet, leader del Forum per la democrazia, oscurato dalla rinata stella di Wilders. Riposto non senza fatica nel cassetto il suo sogno di diventare premier, il Trump olandese – fama che deve alla chioma, alla retorica incendiaria e al mantra ‘I Paesi Bassi al primo posto!’ – punta dunque a confermarsi l’azionista di maggioranza del nuovo governo. E a rappresentare un punto di riferimento per l’intero arco sovranista del continente – da Viktor Orban al movimento indipendentista fiammingo del Vlaams Belang di Tom Van Grieken -, rinvigorito a novembre dal trionfo dell’olandese. Wilders, ormai accantonata la campagna per la Nexit, punta a erodere l’Europa da dentro.
“Dobbiamo lavorare insieme dall’interno per garantire che l’Unione europea abbia meno potere su natura, clima e migrazione”, ha rivendicato nelle scorse settimane, chiedendo che le “decisioni tornino nelle mani dei singoli Paesi”. Dalla fine di giugno, quando il nuovo esecutivo assumerà i suoi pieni poteri, a mediare con con i leader Ue sarà comunque Schoof, il tecnico di alto rango dal curriculum pluridecennale focalizzato sulla lotta alla radicalizzazione e al terrorismo e sulla garanzia dello stato di diritto. “Non sono affiliato a nessun partito. Voglio essere il premier di tutti gli olandesi”, ha assicurato respingendo l’idea di essere il burattino del leader dell’ultradestra che lo ha scelto. Il programma di governo tuttavia, a suo giudizio, “è eccellente per tutti”. Un messaggio, quest’ultimo, che non placa i timori di Bruxelles.