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Esteri

I Paesi baltici preparano barriere difensive ai confini russi

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I Paesi baltici, che da tempo affermano di poter essere le vittime di una futura invasione di Mosca, passano all’iniziativa decidendo di dotarsi di “strutture di difesa” comuni lungo i confini con la Russia e la sua alleata Bielorussia. Ad annunciarlo è stato il ministero della Difesa estone, secondo il quale Lituania, Lettonia ed Estonia “costruiranno strutture difensive anti-mobilità nei prossimi anni per scoraggiare e, se necessario, difendersi da minacce militari”.

I tre Stati, repubbliche dell’Urss fino al suo scioglimento nel 1991 dopo essere state annesse nel 1940 in seguito al patto Molotov-Ribbentrop tra sovietici e nazisti, sono tra i più convinti sostenitori dell’opinione che se non verrà sconfitto in Ucraina, il presidente Vladimir Putin attaccherà anche Paesi della Nato.

A partire da questi piccoli Stati vicini ai confini della Russia e della Bielorussia. Un’accusa rivolta a Putin anche dal presidente americano Joe Biden mentre cerca di convincere il Congresso a fornire nuovi aiuti a Kiev. Il mese scorso lo stesso Putin ha definito queste ipotesi come “fesserie”, perché Mosca “non ha nessun interesse a combattere la Nato”.

L’Ucraina intanto continua ad attaccare con i suoi droni infrastrutture energetiche in territorio russo, con bombardamenti che se non sono della stessa portata di quelli russi sul suo territorio, hanno comunque un importante valore simbolico dimostrando le capacità di reazione delle forze di Kiev. Una fonte dell’intelligence militare ha rivendicato la responsabilità di un raid compiuto stamane su un deposito di petrolio nella regione di confine di Bryansk, dove sono andati a fuoco quattro grandi serbatoi. L’attacco è avvenuto nella località di Klintsy.

Il governatore, Alexander Bogomaz, ha detto che un velivolo senza pilota ucraino, intercettato dalle difese russe, prima di essere distrutto ha sganciato sul deposito gli ordigni che trasportava. Ancora più significativo era stato il raid rivendicato ieri da Kiev su un altro deposito di greggio nella regione di San Pietroburgo, quasi mille chilometri a nord del confine con l’Ucraina. I successi rivendicati non bastano a sopire i malumori per le falle che il governo di Kiev denuncia nel muro delle sanzioni occidentali verso la Russia, e che riguardano anche gli armamenti impiegati dall’armata di Mosca. “Fino al 95% dei componenti critici di produzione straniera trovati nelle armi russe distrutte in Ucraina provengono da Paesi occidentali”, ha denunciato il ministro degli Esteri Dmytro Kuleba.

“L’Occidente deve fare sul serio nello strangolare la capacità della Russia di produrre armi”, ha aggiunto il ministro, pur ammettendo che le forniture a Mosca non sono il risultato di azioni governative ma piuttosto di aziende private, e spesso si tratta di prodotti a duplice uso o civili, e persino elettrodomestici. Continua intanto la polemica tra Mosca e Parigi sull’episodio dei presunti “mercenari francesi” al soldo di Kiev che secondo le forze russe sarebbero stati uccisi in un bombardamento su Kharkiv il 16 gennaio. La Francia ha smentito, parlando di “una nuova grossolana manipolazione russa”. Ma la Russia insiste, e l’ambasciatore di Parigi è stato convocato al ministero degli Esteri, che gli ha notificato una protesta per “il crescente coinvolgimento” della Francia nel conflitto. Al diplomatico, ha sottolineato in una nota il dicastero, è stato fatto notare che “la morte dei suoi compatrioti pesa sulla coscienza” delle autorità di Parigi. Il ministero della Difesa russo aveva detto che nel raid su Kharkiv erano stati uccisi “oltre 60 mercenari stranieri” mentre altri 20 erano rimasti feriti, e aveva affermato che molti di loro erano appunto francesi.

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Da Putin a Gheddafi, i leader nel mirino dell’Aja

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Con il mandato d’arresto spiccato contro il premier israeliano Benyamin Netanyahu, insieme all’ex ministro della Difesa Yoav Gallant, si allunga la lista dei capi di Stato e di governo perseguiti dalla Corte penale internazionale con le accuse di crimini di guerra e crimini contro l’umanità. Da Muammar Gheddafi a Omar al Bashir, e più recentemente Vladimir Putin. Ultimo in ordine di tempo era stato appunto il presidente russo, accusato nel marzo del 2023 di “deportazione illegale” di bambini dalle zone occupate dell’Ucraina alla Russia, insieme a Maria Alekseyevna Lvova-Belova, commissaria per i diritti dei bambini del Cremlino.

Sempre a causa dell’invasione dell’Ucraina nel mirino della Corte sono finiti in otto alti gradi russi, tra cui l’ex ministro della Difesa Sergei Shoigu e l’attuale capo di stato maggiore Valery Gerasimov: considerati entrambi possibili responsabili dei ripetuti attacchi alle infrastrutture energetiche ucraine. Prima di Putin, nel 2011 l’Aja accusò di crimini contro l’umanità Muammar Gheddafi, ma il caso decadde con la morte del rais libico nel novembre dello stesso anno.

Un simile provvedimento fu emesso per il figlio Seif al Islam e per il capo dei servizi segreti Abdellah Senussi. Tra gli altri leader di spicco perseguiti, l’ex presidente sudanese Omar al Bashir: nel 2008 il procuratore capo della Corte Luis Moreno Ocampo lo accusò di essere responsabile di genocidio e crimini contro l’umanità e della guerra in Darfur cominciata nel 2003. Anche Laurent Gbagbo, ex presidente della Costa d’Avorio, è finito all’Aja, ma dopo un processo per crimini contro l’umanità è stato assolto nel 2021 in appello.

Nel 2016 la Corte penale internazionale ha condannato l’ex vicepresidente del Congo, Jean-Pierre Bemba, per assassinio, stupro e saccheggio in quanto comandante delle truppe che commisero atrocità continue e generalizzate nella Repubblica Centrafricana nel 2002 e 2003. Il signore della guerra ugandese Joseph Kony, che dovrebbe rispondere di ben 36 capi d’imputazione tra cui omicidio, stupro, utilizzo di bambini soldato, schiavitù sessuale e matrimoni forzati, è la figura ricercata dalla Cpi da più tempo: il suo mandato d’arresto venne spiccato nel 2005. Tra gli altri dossier aperti e su cui indaga l’Aja c’è l’inchiesta sui crimini contro la minoranza musulmana dei Rohingya in Birmania. Un’altra indagine è quella su presunti crimini contro l’umanità commessi dal governo del presidente venezuelano Nicolas Maduro. E non è solo l’Aja ad aver processato capi di Stato e di governo: nel 2001, l’ex presidente Slobodan Milosevic fu accusato di crimini di guerra, genocidio e crimini contro l’umanità dal Tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia. Arrestato, morì d’infarto in cella all’Aja nel 2006, prima che il processo potesse concludersi.

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Mandato di arresto della Corte Penale Internazionale contro Netanyahu e Gallant: accuse e reazioni

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La Corte Penale Internazionale (CPI) ha emesso un mandato di arresto internazionale nei confronti del premier israeliano Benjamin Netanyahu e dell’ex ministro della Difesa Yoav Gallant. La decisione riguarda le accuse legate alle azioni militari israeliane durante la guerra a Gaza e ha suscitato reazioni contrastanti a livello internazionale.

Le accuse della Corte Penale Internazionale

Secondo la Camera preliminare I della CPI, esistono fondati motivi per ritenere che azioni come il blocco dell’accesso a cibo, acqua, elettricità e forniture mediche abbiano creato condizioni di vita tali da causare la morte di civili nella Striscia di Gaza, inclusi bambini.

La corte ha precisato che, pur non potendo confermare tutti gli elementi necessari per configurare il crimine di sterminio come crimine contro l’umanità, ha riscontrato prove sufficienti per l’accusa di omicidio come crimine contro l’umanità.

La reazione di Israele

La decisione della CPI è stata duramente criticata dal presidente israeliano Isaac Herzog, che l’ha definita un “giorno buio per la giustizia e l’umanità”. Secondo Herzog, la decisione è “presa in malafede” e rappresenta una distorsione della giustizia internazionale.

Il presidente ha anche evidenziato che:

  • La corte “ignora la difficile situazione degli ostaggi israeliani” detenuti da Hamas.
  • Non considera l’uso di civili come scudi umani da parte di Hamas.
  • Trascura il diritto di Israele a difendersi dopo l’attacco subito.

Herzog ha inoltre accusato la CPI di schierarsi con il terrore anziché con la democrazia e la libertà, sottolineando il rischio di destabilizzazione regionale causato dall’”impero iraniano del male”.

Le implicazioni della decisione

La decisione della CPI ha messo in discussione il delicato equilibrio tra il diritto internazionale e la sovranità nazionale. Da un lato, le accuse sottolineano presunte violazioni del diritto umanitario internazionale; dall’altro, il governo israeliano sostiene che la corte stia ignorando le circostanze che hanno portato al conflitto, come gli attacchi subiti e la necessità di difesa.

Questo mandato di arresto solleva interrogativi su come le istituzioni internazionali possano bilanciare il perseguimento della giustizia con il riconoscimento delle complessità dei conflitti moderni.

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Spagna, imprenditore sotto inchiesta denuncia: diedi 350mila euro a ministro e consulente

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L’imprenditore Victor de Aldama (nella foto col premier, che non è sotto accusa in questa inchiesta), uno dei principali accusati della rete di corruzione e tangenti al centro dell’inchiesta nota come ‘caso Koldo’, ha tentato oggi di coinvolgere numerosi esponenti dell’esecutivo, mentre il Psoe ha annunciato azioni legali per diffamazione. In dichiarazioni spontanee oggi davanti al giudice dell’Audiencia Nacional titolare dell’indagine, de Aldama ha segnalato anche il premier Pedro Sanchez, che a suo dire lo avrebbe ringraziato personalmente per la gestione che stava realizzando a favore di imprese spagnole in Messico, della quale “lo tenevano informato”, secondo fonti giuridiche presenti all’interrogatorio citate da vari media, fra i quali El Pais e Tve.

Al punto che lo stesso presidente avrebbe chiesto di conoscerlo, per ringraziarlo, in un incontro che – a detta dell’imprenditore, presidente del club Zamora CF e in carcere preventivo per altra causa – avvenne nel febbraio 2019 nel quartiere madrileno di La Latina, durante un meeting socialista. Un incontro che sarebbe documentato nella fotografia con Pedro Sanchez, pubblicata da El Mundo il 3 novembre scorso. Il presunto tangentista avrebbe sostenuto che Koldo Garcia, da cui deriva il nome del ‘caso Koldo’, divenne consulente dell’ex ministro dei Trasporti, José Luis Abalos, per decisione dello stesso Sanchez. Avrebbe sostenuto, inoltre, di aver consegnato tangenti per 250.000 euro ad Abalos e per 100.000 euro Koldo Garcia, arrivando a dire “io non sono la banca di Spagna, state esagerando”, secondo le fonti citate.

La rete di corruzione si sarebbe avvalsa dell’ex segretario di organizzazione del Psoe, Santos Cerdàn, al quale Aldama sostiene di aver consegnato una busta con 15.000 euro. Il tangentista avrebbe affermato anche si essersi riunito in varie occasioni con la ministra Teresa Ribera, per un presunto progetto di trasformazione di zone della Spagna disabitata in parchi tematici, secondo fonti giuridiche citate da radio Cadena ser. Un progetto al quale avrebbe partecipato anche Javier Hidalgo, Ceo di Globalia e al quale fu presente, in almeno una riunione, Begona Gomez, moglie di Pedro Sanchez. Fonti governative, riportate da Cadena Ser, definiscono un cumulo di menzogne le dichiarazioni di Aldana, che “non ha alcuna credibilità” ed è in carcere preventivo, per cui punterebbe a ottenere un trattamento favorevole in una prevedibile condanna.

“Il presidente del governo non ha né ha avuto alcuna relazione” con Aldama, segnalano le fonti. “Tutto quello che dice è totalmente falso”, ha dichiarato da parte sua ai cronisti Santos Cerdàn, “Questo signore non ha alcuna credibilità, sta tentando di salvarsi dal carcere. Non ha alcuna relazione con il presidente del governo, io non ho ricevuto mai denaro da lui e non lo conosco”, ha aggiunto l’esponente socialista, annunciando azioni .giudiziarie. Lo stesso ha fatto il portavoce parlamentare del Psoe, Patxi Lopez, che ha confermato “azioni legali” del partito della rosa nel pugno “perché la giustizia chiarisca tutte queste menzogne”.

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