Collegati con noi

Esteri

Harry shock: William offese Meghan, mi aggredì e ferì, ho ucciso in guerra e mi sono fatto di cocaina

Pubblicato

del

Un futuro re che aggredisce fisicamente il fratello minore, perde la testa, lo prende a male parole, lo butta per terra, lo ferisce. E’ un’accusa pesantissima, senza precedenti persino nell’imbarazzante saga che oppone ormai da anni i figli un tempo inseparabili di Carlo e Diana, quella che Harry scaglia contro William dalle pagine di ‘Spare’ – ‘Il Minore’ nell’edizione italiana – attesa quanto temuta autobiografia scritta a quattro mani con il premio Pulitzer J.R. Moehringer in uscita il 10 gennaio in tutto il mondo. Pagine fra le quali il duca di Sussex – auto esiliatosi dal 2020 negli Usa con la moglie Meghan Markle e disposto adesso ad assistere all’incoronazione formale del padre in calendario a maggio a Londra solo in cambio d’un chiarimento rispetto al quale rigetta “la palla nel campo” di Buckingham Palace – arriva a confessare pure d’aver “abusato di cocaina” all’età di 17 anni: quando in teoria viveva ancora sotto la tutela della corte di San Giacomo, alle prese con i traumi psicologici innescati dalla tragica fine prematura della madre.

A rivelarlo sono il Guardian e altri media, capaci di mettere le mani in anticipo su una copia in barba al cordone sanitario dell’editore Penguin. E di far filtrare frammenti di racconto devastanti per il palazzo reale britannico, catafratto dietro una coltre di silenzio sempre più arduo da sostenere dinanzi alle richieste martellanti di conferme, smentite o puntualizzazioni che salgono da una schiera di royal correspondent in piena fibrillazione. Frammenti che per ora risparmiano (in parte) re Carlo III, 74 anni, successore da appena quattro mesi alla testa del Regno della defunta madre Elisabetta II: spirata 96enne l’8 settembre con il vantaggio, se non altro, di non dover assistere oggi al clou di questa poco decorosa resa dei conti fra nipoti; al quadretto di una rissa reale, dalle conseguenze imprevedibili sull’istituzione monarchica da lei servita per sette decenni, che ai suoi occhi sarebbe parsa inconcepibile oltre che per nulla edificante.

Tanto più poiché minacciamo di macchiare direttamente la credibilità del neo-principe di Galles, la sua immagine promossa per anni dal servizio di pr dei cortigiani più fedeli di sovrano in pectore chiamato a rappresentare in avvenire – con la consorte Kate – una monarchia più attenta alle sensibilità moderne. Stando a quanto trapelato, il fratello cadetto – veterano dell’Afghanistan che non nasconde nel volume di aver “ucciso in missione 25 Talebani” – narra viceversa in termini crudi l’alterco col fratello maggiore, avvenuto a suo dire nel 2019. Afferma che questi lo avrebbe affrontato in casa sua bollando Meghan come una donna “difficile, maleducata, offensiva”. Parole a cui Harry sostiene di aver reagito rinfacciandogli di “ripetere a pappagallo la narrativa” della stampa populista isolana contro sua moglie – straniera e di madre afroamericana -, fino a uno scambio ravvicinato d’insulti al cui epilogo William l’avrebbe afferrato “a sorpresa” per la collottola, strappandogli un ciondolo e scaraventandolo al suolo dove egli si sarebbe ferito con i cocci di una ciotola per cani frantumata nella caduta.

Le rivelazioni del resto non finiscono qui, e spaziano fino agli anni giovanili di due fratelli spintisi oggi ai limiti di una riconciliazione impossibile. Come quella secondo cui “Willy” e Kate, allora fidanzati, avrebbero incoraggiato nel 2005 a indossare l’allora ventenne Harry (Harold, nel nomignolo di famiglia) a indossare la famigerata uniforme nazista sfoggiata a un party privato in costume ridendone alla stregua di un banale “scherzo”.

O quella dalla quale emerge come entrambi i ‘giovani Windsor’ avessero a suo tempo cercato invano di dissuadere il padre dallo sposare Camilla. O ancora quella su Carlo che, alla nascita del figlio minore, avrebbe liquidato Diana così: “Ora che mi hai dato un erede e una riserva (“heir and spare”, secondo l’etichetta informale usata per evocare l’esigenza dinastica di avere a disposizione idealmente un delfino e un cadetto) il mio compito è finito”. Al padre monarca, in ogni caso, Harry sembra riservare a accenti meno severi rispetto a Willy. Non mancando di riconoscergli almeno un tentativo recente di far da paciere tra i figli, a margine del funerale del 2021 del principe consorte Filippo, loro nonno: “Ragazzi – li avrebbe quasi implorati nell’occasione – vi prego di non rendere infelici i miei ultimi anni” di vita.

Advertisement

Esteri

Da Putin a Gheddafi, i leader nel mirino dell’Aja

Pubblicato

del

Con il mandato d’arresto spiccato contro il premier israeliano Benyamin Netanyahu, insieme all’ex ministro della Difesa Yoav Gallant, si allunga la lista dei capi di Stato e di governo perseguiti dalla Corte penale internazionale con le accuse di crimini di guerra e crimini contro l’umanità. Da Muammar Gheddafi a Omar al Bashir, e più recentemente Vladimir Putin. Ultimo in ordine di tempo era stato appunto il presidente russo, accusato nel marzo del 2023 di “deportazione illegale” di bambini dalle zone occupate dell’Ucraina alla Russia, insieme a Maria Alekseyevna Lvova-Belova, commissaria per i diritti dei bambini del Cremlino.

Sempre a causa dell’invasione dell’Ucraina nel mirino della Corte sono finiti in otto alti gradi russi, tra cui l’ex ministro della Difesa Sergei Shoigu e l’attuale capo di stato maggiore Valery Gerasimov: considerati entrambi possibili responsabili dei ripetuti attacchi alle infrastrutture energetiche ucraine. Prima di Putin, nel 2011 l’Aja accusò di crimini contro l’umanità Muammar Gheddafi, ma il caso decadde con la morte del rais libico nel novembre dello stesso anno.

Un simile provvedimento fu emesso per il figlio Seif al Islam e per il capo dei servizi segreti Abdellah Senussi. Tra gli altri leader di spicco perseguiti, l’ex presidente sudanese Omar al Bashir: nel 2008 il procuratore capo della Corte Luis Moreno Ocampo lo accusò di essere responsabile di genocidio e crimini contro l’umanità e della guerra in Darfur cominciata nel 2003. Anche Laurent Gbagbo, ex presidente della Costa d’Avorio, è finito all’Aja, ma dopo un processo per crimini contro l’umanità è stato assolto nel 2021 in appello.

Nel 2016 la Corte penale internazionale ha condannato l’ex vicepresidente del Congo, Jean-Pierre Bemba, per assassinio, stupro e saccheggio in quanto comandante delle truppe che commisero atrocità continue e generalizzate nella Repubblica Centrafricana nel 2002 e 2003. Il signore della guerra ugandese Joseph Kony, che dovrebbe rispondere di ben 36 capi d’imputazione tra cui omicidio, stupro, utilizzo di bambini soldato, schiavitù sessuale e matrimoni forzati, è la figura ricercata dalla Cpi da più tempo: il suo mandato d’arresto venne spiccato nel 2005. Tra gli altri dossier aperti e su cui indaga l’Aja c’è l’inchiesta sui crimini contro la minoranza musulmana dei Rohingya in Birmania. Un’altra indagine è quella su presunti crimini contro l’umanità commessi dal governo del presidente venezuelano Nicolas Maduro. E non è solo l’Aja ad aver processato capi di Stato e di governo: nel 2001, l’ex presidente Slobodan Milosevic fu accusato di crimini di guerra, genocidio e crimini contro l’umanità dal Tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia. Arrestato, morì d’infarto in cella all’Aja nel 2006, prima che il processo potesse concludersi.

Continua a leggere

Esteri

Mandato di arresto della Corte Penale Internazionale contro Netanyahu e Gallant: accuse e reazioni

Pubblicato

del

La Corte Penale Internazionale (CPI) ha emesso un mandato di arresto internazionale nei confronti del premier israeliano Benjamin Netanyahu e dell’ex ministro della Difesa Yoav Gallant. La decisione riguarda le accuse legate alle azioni militari israeliane durante la guerra a Gaza e ha suscitato reazioni contrastanti a livello internazionale.

Le accuse della Corte Penale Internazionale

Secondo la Camera preliminare I della CPI, esistono fondati motivi per ritenere che azioni come il blocco dell’accesso a cibo, acqua, elettricità e forniture mediche abbiano creato condizioni di vita tali da causare la morte di civili nella Striscia di Gaza, inclusi bambini.

La corte ha precisato che, pur non potendo confermare tutti gli elementi necessari per configurare il crimine di sterminio come crimine contro l’umanità, ha riscontrato prove sufficienti per l’accusa di omicidio come crimine contro l’umanità.

La reazione di Israele

La decisione della CPI è stata duramente criticata dal presidente israeliano Isaac Herzog, che l’ha definita un “giorno buio per la giustizia e l’umanità”. Secondo Herzog, la decisione è “presa in malafede” e rappresenta una distorsione della giustizia internazionale.

Il presidente ha anche evidenziato che:

  • La corte “ignora la difficile situazione degli ostaggi israeliani” detenuti da Hamas.
  • Non considera l’uso di civili come scudi umani da parte di Hamas.
  • Trascura il diritto di Israele a difendersi dopo l’attacco subito.

Herzog ha inoltre accusato la CPI di schierarsi con il terrore anziché con la democrazia e la libertà, sottolineando il rischio di destabilizzazione regionale causato dall’”impero iraniano del male”.

Le implicazioni della decisione

La decisione della CPI ha messo in discussione il delicato equilibrio tra il diritto internazionale e la sovranità nazionale. Da un lato, le accuse sottolineano presunte violazioni del diritto umanitario internazionale; dall’altro, il governo israeliano sostiene che la corte stia ignorando le circostanze che hanno portato al conflitto, come gli attacchi subiti e la necessità di difesa.

Questo mandato di arresto solleva interrogativi su come le istituzioni internazionali possano bilanciare il perseguimento della giustizia con il riconoscimento delle complessità dei conflitti moderni.

Continua a leggere

Esteri

Spagna, imprenditore sotto inchiesta denuncia: diedi 350mila euro a ministro e consulente

Pubblicato

del

L’imprenditore Victor de Aldama (nella foto col premier, che non è sotto accusa in questa inchiesta), uno dei principali accusati della rete di corruzione e tangenti al centro dell’inchiesta nota come ‘caso Koldo’, ha tentato oggi di coinvolgere numerosi esponenti dell’esecutivo, mentre il Psoe ha annunciato azioni legali per diffamazione. In dichiarazioni spontanee oggi davanti al giudice dell’Audiencia Nacional titolare dell’indagine, de Aldama ha segnalato anche il premier Pedro Sanchez, che a suo dire lo avrebbe ringraziato personalmente per la gestione che stava realizzando a favore di imprese spagnole in Messico, della quale “lo tenevano informato”, secondo fonti giuridiche presenti all’interrogatorio citate da vari media, fra i quali El Pais e Tve.

Al punto che lo stesso presidente avrebbe chiesto di conoscerlo, per ringraziarlo, in un incontro che – a detta dell’imprenditore, presidente del club Zamora CF e in carcere preventivo per altra causa – avvenne nel febbraio 2019 nel quartiere madrileno di La Latina, durante un meeting socialista. Un incontro che sarebbe documentato nella fotografia con Pedro Sanchez, pubblicata da El Mundo il 3 novembre scorso. Il presunto tangentista avrebbe sostenuto che Koldo Garcia, da cui deriva il nome del ‘caso Koldo’, divenne consulente dell’ex ministro dei Trasporti, José Luis Abalos, per decisione dello stesso Sanchez. Avrebbe sostenuto, inoltre, di aver consegnato tangenti per 250.000 euro ad Abalos e per 100.000 euro Koldo Garcia, arrivando a dire “io non sono la banca di Spagna, state esagerando”, secondo le fonti citate.

La rete di corruzione si sarebbe avvalsa dell’ex segretario di organizzazione del Psoe, Santos Cerdàn, al quale Aldama sostiene di aver consegnato una busta con 15.000 euro. Il tangentista avrebbe affermato anche si essersi riunito in varie occasioni con la ministra Teresa Ribera, per un presunto progetto di trasformazione di zone della Spagna disabitata in parchi tematici, secondo fonti giuridiche citate da radio Cadena ser. Un progetto al quale avrebbe partecipato anche Javier Hidalgo, Ceo di Globalia e al quale fu presente, in almeno una riunione, Begona Gomez, moglie di Pedro Sanchez. Fonti governative, riportate da Cadena Ser, definiscono un cumulo di menzogne le dichiarazioni di Aldana, che “non ha alcuna credibilità” ed è in carcere preventivo, per cui punterebbe a ottenere un trattamento favorevole in una prevedibile condanna.

“Il presidente del governo non ha né ha avuto alcuna relazione” con Aldama, segnalano le fonti. “Tutto quello che dice è totalmente falso”, ha dichiarato da parte sua ai cronisti Santos Cerdàn, “Questo signore non ha alcuna credibilità, sta tentando di salvarsi dal carcere. Non ha alcuna relazione con il presidente del governo, io non ho ricevuto mai denaro da lui e non lo conosco”, ha aggiunto l’esponente socialista, annunciando azioni .giudiziarie. Lo stesso ha fatto il portavoce parlamentare del Psoe, Patxi Lopez, che ha confermato “azioni legali” del partito della rosa nel pugno “perché la giustizia chiarisca tutte queste menzogne”.

Continua a leggere

In rilievo

error: Contenuto Protetto