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Politica

Grillo avvisa Conte: simbolo, nome e secondo mandato non si toccano, non sono questioni negoziabili

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Doccia fredda di Beppe Grillo, in questo scorcio d’estate, sull’ipotesi che il Movimento 5 stelle – con l’assemblea costituente quasi alle porte – su chi pensa che le regole e i principi con cui e’ nato l’M5s possano cambiare: nome, simbolo e – questione ritornata alla ribalta, con annesse riflessioni, nelle ultime elezioni europee – tetto del secondo mandato per gli eletti non si toccano. Sono il Dna del sogno diventato realta’ costruito con Gianroberto Casaleggio.

“Cari attivisti, portavoce e sostenitori del Movimento 5 Stelle, ci troviamo a un crocevia fondamentale nella nostra storia, in cui dobbiamo riflettere sulle nostre radici e su cio’ che ci ha unito sin dall’inizio. Quando abbiamo fondato il Movimento 5 stelle, io e Gianroberto, lo abbiamo fatto con un ideale chiaro: creare un’alternativa al sistema politico tradizionale”, scrive Beppe Grillo, il garante del M5s, sul suo blog. “Il nostro viaggio e’ nato da un sogno condiviso, un sogno che ci ha portato a sfidare un sistema corrotto, a restituire voce ai cittadini e a provare a costruire un’Italia piu’ giusta e trasparente. Nel 2013 un grido ci ha aperto la strada, ci ha spalancato quella porta che non riuscivamo a vedere. Dietro quella porta c’era un mondo nuovo, un territorio sconosciuto, del tutto diverso da come immaginavamo. Come ogni specie animale ci siamo dovuti adattare, per sopravvivere, e con poca agilita’ abbiamo dovuto convivere con chi quei territori li abitava da tempo e non voleva essere disturbato. Durante tutto questo cammino, ci siamo sempre ancorati a tre pilastri imprenscindibili: il nostro simbolo, il nostro nome e la regola del secondo mandato”, ricorda.

“Il simbolo del Movimento 5 Stelle non e’ solo un segno grafico, e’ un richiamo al cambiamento, e’ l’emblema di un’intera rivoluzione culturale e politica, la bandiera sotto cui milioni di italiani hanno marciato con noi. E’ il vessillo sotto il quale milioni di cittadini si sono riconosciuti e con il quale abbiamo combattuto battaglie importanti; da cui sono nate idee, valori e speranze condivise, e’ il segno visibile della nostra lotta per la trasparenza, la giustizia e la partecipazione. Un partito politico non dovrebbe mai cedere alla tentazione di mutare il proprio simbolo: e’ la bussola che orienta il cammino verso il futuro, senza mai tradire il passato”, e’ il warning di Grillo.

“Il nostro nome, Movimento 5 Stelle, non e’ solo una sequenza di suoni o lettere: rappresenta la nostra piena identita’, e’ un nome che racchiude storie, significati e speranze, come il nome di ognuno di noi, sin dalla nostra nascita. Quando pronunciamo Movimento 5 Stelle evochiamo una connessione, riconosciamo la sua essenza, la sua unicita’. Cambiare un nome e’ come rinunciare a un pezzo di quella magia, a un ponte invisibile che collega chi siamo a chi vogliamo diventare.

Nella vita ci possono essere molte trasformazioni, ma il nome rimane un ancoraggio, un richiamo costante alla nostra essenza piu’ vera. Movimento 5 Stelle e’ il nome che ci ha guidato verso risultati concreti, difenderlo significa difendere la nostra storia e il nostro diritto di essere riconosciuti per cio’ che siamo, ieri, oggi e domani”, scrive ancora. “E poi c’e’ la regola del secondo mandato. Era l’8 Settembre del 2007: con il V-Day si avviava la raccolta firme per tre proposte di legge di iniziativa popolare, tra cui l’introduzione di un tetto massimo di due legislature. Da cui tutto ebbe inizio”, sottolinea.

“Il simbolo del Movimento 5 Stelle non e’ solo un segno grafico, e’ un richiamo al cambiamento, e’ l’emblema di un’intera rivoluzione culturale e politica, la bandiera sotto cui milioni di italiani hanno marciato con noi. E’ il vessillo sotto il quale milioni di cittadini si sono riconosciuti e con il quale abbiamo combattuto battaglie importanti; da cui sono nate idee, valori e speranze condivise, e’ il segno visibile della nostra lotta per la trasparenza, la giustizia e la partecipazione. Un partito politico non dovrebbe mai cedere alla tentazione di mutare il proprio simbolo: e’ la bussola che orienta il cammino verso il futuro, senza mai tradire il passato”, e’ il warning di Grillo.

“Il nostro nome, Movimento 5 Stelle, non e’ solo una sequenza di suoni o lettere: rappresenta la nostra piena identita’, e’ un nome che racchiude storie, significati e speranze, come il nome di ognuno di noi, sin dalla nostra nascita. Quando pronunciamo Movimento 5 Stelle evochiamo una connessione, riconosciamo la sua essenza, la sua unicita’. Cambiare un nome e’ come rinunciare a un pezzo di quella magia, a un ponte invisibile che collega chi siamo a chi vogliamo diventare. Nella vita ci possono essere molte trasformazioni, ma il nome rimane un ancoraggio, un richiamo costante alla nostra essenza piu’ vera. Movimento 5 Stelle e’ il nome che ci ha guidato verso risultati concreti, difenderlo significa difendere la nostra storia e il nostro diritto di essere riconosciuti per cio’ che siamo, ieri, oggi e domani”, scrive ancora. “E poi c’e’ la regola del secondo mandato. Era l’8 Settembre del 2007: con il V-Day si avviava la raccolta firme per tre proposte di legge di iniziativa popolare, tra cui l’introduzione di un tetto massimo di due legislature. Da cui tutto ebbe inizio”, sottolinea.

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M5s, interrogazione a Giuli, ‘chiarezza sul caso Maccanico’

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“È fondamentale fare luce su quanto ruota attorno al caso di Nicola Maccanico, il manager che dopo le sue le dimissioni dalla carica di amministratore delegato e direttore generale di Cinecittà S.p.A. è stato nominato – a distanza di poche settimane – Ceo del colosso privato della produzione tv Fremantle Italia, che in questi anni è stato uno dei principali clienti di Cinecittà S.p.A. e l’unico con il quale la società abbia sottoscritto un accordo per l’utilizzo ‘continuativo’ degli studios romani”. Così gli esponenti M5S in commissione cultura alla Camera Antonio Caso, Anna Laura Orrico e Gaetano Amato.

“Il mese scorso – affermano in una nota – il quotidiano Domani ha scoperto una nota di credito di tre milioni di euro proprio per Fremantle, la quale non era stata resa nota da Maccanico, in quanto non risultano comunicazioni al consiglio di amministrazione.

Oggi Il Fatto Quotidiano rivela che l’intero rapporto finanziario con il colosso britannico sia attualmente sotto la lente d’ingrandimento del nuovo cda, poiché, da un lato, Fremantle assicura che in questi due anni e mezzo ‘la società ha versato nelle casse di Cinecittà 50 milioni di euro, assicurando un fatturato costante’, mentre a Cinecittà sospettano che l’accordo, siglato nel 2022, non sia stato del tutto redditizio. Abbiamo presentato una interrogazione ad Alessandro Giuli su tutto questo, anche perché ci chiediamo se un simile salto sia compatibile con quanto disposto dalla legge. Il neoministro ha il dovere di intervenire su situazioni opache come queste: cosa farà affinché vengano evitate situazioni di conflitti di interesse e per preservare i principi di imparzialità e trasparenza? Se davvero vuole prendere le distanze dal suo disastroso predecessore, dovrà occuparsi con urgenza di questo caso”, concludono. 782c549d8f04ff01b46d94bf0f10d57473e

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Politica

Palazzo Reale verso il G7, torna arazzo dei Gobelins ‘Il Fuoco’

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Preparativi in corso per il G7 della Cultura a Palazzo Reale che coincidono con un periodo di lavori e restauri del sito: è stato riposizionato il secondo dei due arazzi della prestigiosa manifattura francese dei Gobelins, raffigurante ‘Il Fuoco’, a completamento degli interventi nella Prima Anticamera, una delle sale in cui si attendeva di essere ricevuti dal re. Dei due arazzi è stato restaurato ad aprile quello esposto sulla parete sud, che rappresenta L’Aria. Sono in tutto quattro gli arazzi che compongono la serie degli Elementi acquistata nel 1814 dal re di Napoli Gioacchino Murat per arredare le sale di Palazzo Reale: gli altri due sono La Terra e L’Acqua, esposti nella Galleria. Gli arazzi francesi, tessuti nel 1703, costituiscono la settima edizione della serie tessuta a partire dai cartoni che Charles Le Brun, pittore di corte di Luigi XIV, aveva dipinto nel 1664 e sono caratterizzati da un esuberante gusto barocco nelle parti figurate e dalla grande qualità delle nature morte ornamentali che, lungo il bordo, richiamano il tema iconografico.

Per il restauro di entrambi si è proceduto all’eliminazione dello strato di sporco particellare in superficie, sono state risarcite le scuciture ed è stato applicato un supporto in tela di lino nella parte posteriore, così da sostenere l’arazzo durante la sospensione a parete. Per il secondo arazzo, che rappresenta Il Fuoco, è stato possibile, dopo alcuni saggi, sottoporlo addirittura a un lavaggio, a completamento del lavoro realizzato dalla ditta Conservazione e restauro opere tessili di Graziella Palei. Intanto è partito alla volta del Centro Conservazione e Restauro La Venaria Reale il trono che grazie al progetto “Restituzioni” di Intesa Sanpaolo sarà restaurato per ritornare al suo posto nel febbraio 2026. È stato sostituito da una seduta borbonica settecentesca. Le fasi del restauro saranno illustrate da video e clip disponibili anche sui social. Proseguono poi i lavori di pulitura e restauro dello Scalone d’Onore, iniziati nel mese di luglio, che si concluderanno a ottobre e saranno temporaneamente sospesi in occasione del G7 della Cultura.

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Politica

Ursula prova a mediare su Fitto, il Ppe fa quadrato

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Come spesso accade, ai giorni del grande scontro è subentrata l’ora della trattativa silenziosa, discreta. E forse decisiva. Ursula von der Leyen si prepara ad affrontare l’ultima curva che dovrebbe portarla, martedì prossimo a Strasburgo, a presentare la sua nuova squadra di commissari.

La strada resta strettissima, i malumori nella maggioranza da striscianti si sono fatti assordanti, l’ipotesi di Raffaele Fitto come vicepresidente esecutivo, se non adeguatamente controbilanciata, rischia di far deflagrare il sostegno di socialisti, liberali e verdi. Con un rischio, quello di un ennesimo rinvio e del conseguente indebolimento della stessa von der Leyen. Finora l’ex ministra tedesca non ha sbagliato un colpo, uscendo dal catino dell’Eurocamera di Strasburgo a luglio con una maggioranza più ampia di quella del 2019, ma con il voto contrario di Giorgia Meloni al Consiglio europeo e poi di Fdi in Parlamento. Una mossa che ha complicato la strategia del Ppe di avvicinare i conservatori alla maggioranza. D’altra parte – e questa è la convinzione dei vertici popolari, Ursula inclusa – non dare all’Italia il giusto peso significherebbe relegarla in posizione di semi-isolamento, che danneggerebbe la stessa macchina dell’esecutivo Ue.

Da qui la scelta di concedere a Fitto il ruolo di vicepresidente esecutivo. Al pari del liberale Thierry Breton, del popolare Valdis Dombrovskis e della socialista Teresa Ribera. Von der Leyen, nei suoi incontri, ha sempre affermato di voler seguire il criterio dell’equilibrio: geografico, di genere e di affiliazione politica. E’ il primo, nel caso di Fitto, ad aver dettato la scelta della presidente laddove S&D, Renew e Greens puntano sul terzo proprio per bocciare un esponente di un partito che, da quelle parti, è considerato di estrema destra anti-Ue. Per tenere il punto von der Leyen ha due strade: limitare le deleghe che fanno capo direttamente al ministro italiano, assegnando altrove quella agli Affari economici; o venire incontro alle richieste socialiste convincendo i lussemburghesi a cambiare il proprio candidato – il popolare Christophe Hansen con Nicolas Schmit, commissario uscente e Spiztenkandidat del Pse alle Europee.

“Stiamo negoziando, vedremo. Abbiamo delle richieste che vogliamo siano ascoltate. E’ una questione generale non un problema di singoli temi”, ha spiegato la presidente del gruppo S&D Iratxe Gracia Perez. Da qui ai prossimi giorni la presidente della Commissione tornerà a vedere i gruppi della maggioranza. Martedì sera, assieme ai commissari popolari, ha fatto invece il punto con il Ppe. Nel gruppo di Manfred Weber la difesa di Fitto è ferrea sebbene, viene riferito da fonti parlamentari, cominci a serpeggiare il timore di fare eccessive concessioni ai socialisti. “Per il Ppe l’Italia deve essere ben rappresentata nella prossima Commissione. L’Europa deve rispettare i risultati ottenuti dal governo italiano su molte questioni europee”, ha tuttavia ammonito Weber. Tra gli eurodeputati italiani, finora, ad aver annunciato il proprio no a Fitto sono invece i Verdi – per bocca del portavoce nazionale Angelo Bonelli – e il M5s.

“Nel 2019 Fdi non ha votato Paolo Gentiloni perché non ci fu votazione facendo prevalere l’interesse nazionale”, ha attaccato Gaetano Pedullà ricordando che Meloni “definì un inciucio” la nomina dell’ex premier. Fonti di Ecr, tuttavia, hanno respinto l’accusa: “Nella riunione dei coordinatori della commissione Econ del Pe il voto ci fu, e il rappresentante dei conservatori, Van Overtveldt, si espresse a favore dopo aver sentito il parere proprio di Fitto”, viene spiegato. La lista dei commissari è un cantiere semi aperto. Le vice presidenze esecutive dovrebbero essere sei. I greci (che hanno un peso nel Ppe) e i cechi (per la riconosciuta stima a Bruxelles del loro candidato, Jozef Sikela) puntano a deleghe forti, così come polacchi, olandesi e austriaci. Per tutti ci sarà la prova delle commissioni parlamentari. Non è detto che all’audizione segua una votazione. Ma per respingerne la richiesta, al Ppe, potrebbe servire lo scomodo aiuto di gruppi come quello dei Patrioti.

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