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Governo cambia il decreto rave, via i reati contro Pa

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 Primo passo in Parlamento per il decreto ‘anti-Rave’. Il Governo riscrive la norma che introduce nell’ordinamento (con l’articolo 633-bis) il reato di “Invasione di terreni o edifici con pericolo per la salute pubblica o l’incolumità pubblica” e il provvedimento passa a maggioranza in Commissione Giustizia del Senato. Tra le novità introdotte nel testo, con i circa 90 emendamenti, alcuni dei quali presentati anche dal Governo, ci sono la cancellazione dei reati contro la Pubblica Amministrazione dall’elenco di quelli per i quali non sono previsti i benefici penitenziari e la sospensione delle multe per i ‘No-Vax’. Ricevono l’ok gli emendamenti della Lega che prevedono sia lo stop dell’invio delle sanzioni non ancora notificate ai non vaccinati, sia il differimento del termine per pagare quelle già arrivate, al 30 giugno 2023. Ma FI, che con il capogruppo in Commissione, Pierantonio Zanettin, aveva presentato diverse proposte di modifica (tra cui quella per togliere i reati contro la P.A. dall’elenco degli ostativi) ritira l’emendamento sull’inappellabilità delle sentenze d’assoluzione (uno uguale lo aveva depositato anche il Terzo Polo con Ivan Scalfarotto) per trasformarlo in un ordine del giorno che impegna il Governo “a valutare l’inserimento di una nuova disciplina delle impugnazioni, anche con riferimento all’ inappellabilità da parte del Pm delle sentenze di proscioglimento in un prossimo provvedimento organico della materia, in conformità con il programma di Governo”.

Ma tornando alla norma contro i ‘Rave party’, questa cambia molto rispetto al testo originario del decreto. Prima di tutto riguarda solo i promotori e gli organizzatori che rischiano il carcere fino a 6 anni. Per i partecipanti, continuerà a valere l’attuale articolo 633 del codice penale che ha come pena massima i 4 anni. Poi si limita la fattispecie a ‘raduni musicali’ o di ‘intrattenimento’ (“escludendo così manifestazioni od occupazioni” spiega la maggioranza) dove si faccia uso di stupefacenti. Scompare ogni riferimento al Codice Antimafia e alle misure di prevenzione, “così come richiesto da FI”, rivendica Zanettin. Ma le intercettazioni saranno sempre possibili non solo perché resta la pena sino a 6 anni ma anche perché l’articolo 633 c.p. rientra nell’elenco di quelli per i quali gli ‘ascolti’ sono sempre ammessi. La presidente della Commissione Giulia Bongiorno si dice soddisfatta per come sono andati i lavori: “C’è stato un ampio confronto, si sono rispettati i tempi e si è colmato un vuoto legislativo”. Ora il decreto è atteso in Aula al Senato il 12 dicembre.

“L’aver eliminato l’inaccettabile parificazione dei reati contro la P.A. con quelli di mafia ai fini del diritto ai benefici penitenziari, voluta dalla foga giustizialista dei 5S, è il segnale di un nuovo corso”, commenta il sottosegretario alla Giustizia Francesco Paolo Sisto (FI). Ma parte dell’opposizione protesta. “E’ un campanello d’allarme – osserva Anna Rossomando vicepresidente (Pd) del Senato – anche perché siamo in un periodo, con il Pnrr, in cui si devono spendere tantissimi fondi in appalti. Speriamo che il governo ci ripensi in aula”. “Uscire dal carcere e ottenere benefici penitenziari sarà ora più facile per chi è condannato per i più gravi reati contro la P.A. Tutto grazie al voto della maggioranza di Giorgia Meloni, che oggi è andata all’attacco della nostra legge Spazzacorrotti”, commenta il leader M5s, Giuseppe Conte.

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Bocchino: dall’Italia verso un’internazionale conservatrice

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La vittoria elettorale della destra “avviene perché la sinistra prima è stata considerata inaffidabile per paura del comunismo, oggi è considerata inaffidabile perché si prende a cuore temi come l’immigrazione irregolare, che gli italiani non vogliono, o i diritti delle comunità LGBTQI+, che certo devono essere garantiti ma che riguardano comunque una minoranza dell’1,6% della popolazione, e perchè ha abbracciato la globalizzazione selvaggia, che è una cosa che fa paura agli italiani”.

Lo ha detto Italo Bocchino (foto imagoeconomica in evidenza) a margine della presentazione del suo libro “Perchè l’Italia è di destra” a Napoli, a cui hanno assistito anche il capo della procura partenopea Nicola Gratteri e l’ex ministro della cultura Gennaro Sangiuliano, mentre sul palco sono intervenuti il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi e il viceministro degli Esteri Edmondo Cirielli.

“Giorgia Meloni – ha proseguito Bocchino – ha fatto da apripista in Italia, dando vita a una destra che ha stupito, perché tutti si aspettavano una destra neofascista mentre si sono trovati una destra che rappresenta un conservatorismo nazionalpopolare.

E così si resta stupiti anche dal risultato degli Stati Uniti, che un po’ ricalca quel modello, e di quello che accade in alcuni paesi europei e in Sudamerica. Quindi c’è l’ipotesi che nasca nel prossimo decennio un’internazionale conservatrice e che abbia un grandissimo peso nella politica mondiale: in questo contesto, tra i leader sicuramente ci sarà Giorgia Meloni. Immaginiamo il prossimo G7, guardate la foto del prossimo G7: ci sono Scholz e Macron zoppicanti, lo spagnolo che ha problemi in casa, il giapponese che ha problemi in casa, il canadese che ha problemi in casa e due in splendida salute che sono Giorgia Meloni e Trump. Questo è il mondo oggi”.

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La versione di Conte: o il M5s resta progressista o avrà un altro leader

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“Da oggi a domenica i nostri iscritti potranno votare online e decidere quel che saremo. Abbiamo un obiettivo ambizioso, che culminerà con l’assemblea costituente di sabato e domenica: rigenerarci, scuoterci, dare nuove idee al Movimento. Nessuno lo ha fatto con coraggio e umiltà, come stiamo facendo noi”. Così a Repubblica il leader del M5s Giuseppe Conte (foto Imagoeconomica in evidenza).

“Se dalla costituente dovesse emergere una traiettoria politica opposta a quella portata avanti finora dalla mia leadership – aggiunge – mi farei da parte. Si chiama coerenza. Se questa scelta di campo progressista venisse messa in discussione, il Movimento dovrà trovarsi un altro leader”.

Sull’alleanza col Pd “la mia linea è stata molto chiara. Non ho mai parlato di alleanza organica o strutturata col Pd. Nessun iscritto al M5S aspira a lasciarsi fagocitare, ma la denuncia di questo rischio non può costituire di per sé un programma politico”. “Gli iscritti sono chiamati a decidere e hanno la possibilità di cambiare tante cose. Anche i quesiti sul garante (Grillo, ndr) sono stati decisi dalla base. Io non ho mai inteso alimentare questo scontro. Sono sinceramente dispiaciuto che in questi mesi abbia attaccato il Movimento. Se dovesse venire, potrà partecipare liberamente all’assemblea. Forse la sensazione di isolamento l’avverte chi pontifica dal divano vagheggiando un illusorio ritorno alle origini mentre ha rinunciato da tempo a votare e portare avanti il progetto del Movimento. L’ultimo giapponese rischia di essere lui, ponendosi in contrasto con la comunità”.

Sui risultati elettorali “in un contesto di forte astensionismo, sicuramente è il voto di opinione sui territori, non collegato a strutture di potere e logiche clientelari, ad essere maggiormente penalizzato. Dobbiamo tornare ad ascoltare i bisogni delle comunità locali. E poi c’è la formazione delle liste: dobbiamo sperimentare nuove modalità di reclutamento, senza cadere nelle logiche clientelari che aborriamo”.

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Alessandro Piana: “Perdono, ma non dimentico” – La fine di un incubo giudiziario

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Alessandro Piana (nella foto in evidenza), esponente della Lega e vicepresidente della Regione Liguria, tira un sospiro di sollievo dopo la conclusione di un’inchiesta giudiziaria che per oltre un anno lo ha visto al centro di pesanti sospetti. Accusato ingiustamente di coinvolgimento in un presunto giro di squillo e party con stupefacenti, Piana è stato ufficialmente escluso dall’elenco dei rinviati a giudizio, mettendo fine a un incubo personale e politico.


Un’accusa infondata che ha segnato una campagna elettorale

Alessandro Piana racconta di aver vissuto un periodo estremamente difficile, aggravato dalla tempistica dell’inchiesta, che ha coinciso con la campagna elettorale.

«L’indagine era chiusa da tempo, ma si è voluto attendere per renderne noto l’esito. Mi sarei aspettato maggiore attenzione, considerato il mio ruolo pubblico. Per mesi sono stato bersaglio di accuse infondate, che sui social si sono trasformate in attacchi personali».

Nonostante il clamore mediatico, Piana ha affrontato con determinazione la situazione, ricevendo il sostegno del partito e del leader regionale della Lega, Edoardo Rixi.


Le accuse e il chiarimento

Piana spiega di essere venuto a conoscenza del suo presunto coinvolgimento attraverso i media, vivendo quello che definisce un “incubo”:

«Ero al lavoro quando ho saputo del mio presunto coinvolgimento. Credevo fosse uno scherzo, invece era terribilmente vero».

L’esponente leghista si è immediatamente messo a disposizione della magistratura, fornendo tutte le prove necessarie per dimostrare la sua estraneità ai fatti:

«Non ero presente dove si sosteneva che fossi. Ero a casa mia, a 150 chilometri di distanza, con testimoni pronti a confermarlo. Non ho mai frequentato certi ambienti, nemmeno da giovane».

Secondo Piana, il suo nome sarebbe stato tirato in ballo per millanteria durante un’intercettazione telefonica che citava genericamente un “vicepresidente della Regione”.


Una vicenda che lascia il segno

Nonostante la sua assoluzione dai sospetti, Piana non nasconde l’amarezza per i danni subiti:

«Ho pagato un prezzo molto salato, gratuito e ingiusto. Per mesi sono stato additato come vizioso. Perdono chi ha sbagliato, ma non dimentico».

Il vicepresidente auspica che casi simili siano gestiti con maggiore rapidità in futuro, per evitare che accuse infondate possano danneggiare ingiustamente la reputazione di figure pubbliche.


Conclusione

La vicenda di Alessandro Piana solleva interrogativi sul delicato equilibrio tra diritto di cronaca e tutela dell’immagine pubblica, in particolare quando si tratta di accuse che si rivelano infondate. Oggi, il vicepresidente della Regione Liguria guarda avanti con serenità, forte del sostegno ricevuto e con la determinazione di proseguire il suo impegno politico senza lasciarsi scoraggiare dagli eventi passati.

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