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Cultura

Gli italiani e i musei, identikit della passione per l’arte

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Orgogliosi del patrimonio artistico e archeologico nazionale, assidui frequentatori dei musei, gli italiani apprezzano le opere d’arte e amano rilassarsi ammirandole, informandosi prima sul web. È questo l’identikit tracciato dall’istituto di ricerca YouGov, che ha analizzato dati su comportamenti, abitudini e gusti dei nostri connazionali rispetto al mondo dell’arte. Il quadro che emerge è interessante perché 8 italiani su 10 (9 su 10 sopra i 55 anni) pensano che l’Italia sia il Paese con la storia artistica più ricca del mondo; il 78% è convinto che i musei italiani ospitino il patrimonio artistico più ricco del mondo e il 65% pensa sia corretto pagare un biglietto di ingresso per accedere alle esposizioni. Tuttavia, nonostante la stima, più della metà degli appassionati (il 55% di coloro che visitano musei almeno 4-5 volte all’anno) pensa che oggi l’arte in Italia sia soprattutto tutela del patrimonio e che ci sia una reale carenza nell’innovazione.

Riguardo alla frequenza di visita ai musei, il 57% afferma di andarci almeno due volte all’anno; ci sono però anche visitatori più assidui: il 19% degli italiani li visita almeno 4-5 volte all’anno e i più entusiasti, circa il 6%, una volta al mese. Tra questi appassionati la metà segue almeno un museo sui social. Circa il 12% della popolazione, invece, non visita affatto i musei e le loro motivazioni sono diverse: la mancanza di interesse per il 39% e la possibilità di annoiarsi per il 21%. Per il 19% è colpa della distanza, per il 20% del prezzo di ingresso e per il 14% della mancanza di tempo libero. Cosa spinge a visitare un museo? Sicuramente l’ammirazione per la bellezza delle opere (76%) e l’apprendere novità su artisti o tematiche culturali (63%).

Ma dai dati emerge anche che per circa un italiano su quattro i musei sono un luogo dove rilassarsi (27% e 38% tra i 25 e i 34 anni) e riflettere (23%). Nonostante siano luogo di ritrovo e di comunità, solo il 5% vi si reca per conoscere persone con interessi simili. Inoltre, circa 7 italiani su 10, soprattutto donne, affermano di informarsi tramite il sito web di un museo ancora prima di recarvisi. Inoltre, più della metà degli italiani preferisce frequentare i musei con il proprio partner, poi in compagnia degli amici (32%), dei figli (29%) e della famiglia (23%).

È interessante anche sottolineare che soltanto il 16% afferma di visitare i musei da solo. Più della metà degli italiani preferisce entrare nei musei durante il week end mentre il 21% li frequenta nei giorni lavorativi, soprattutto tra i pensionati (36%). Altra curiosità è che nel museo la maggior parte degli italiani preferisce seguire un percorso senza suggerimenti (39%), mentre il 32% segue le indicazioni dell’audioguida: questa modalità è più seguita da chi vede programmi televisivi a tema arte e cultura (36%). Nella top ten dei musei più visitati d’Italia spiccano le Gallerie degli Uffizi, seguiti dal Museo Egizio di Torino e dal Parco Archeologico del Colosseo.

Gli Uffizi sono stati infatti visitati almeno una volta da circa metà della popolazione italiana, seguiti a distanza dal Museo Egizio (44%) e dal parco archeologico del Colosseo, che è invece stato visitato dal 41%. Per curiosità gli altri musei sono, in ordine di presenze, la Reggia di Caserta (38%), il parco archeologico di Pompei (37%), Castel Sant’Angelo (33%), la Pinacoteca di Brera (24%), Villa Adriana e Villa d’Este (23%), le Terme di Caracalla (22%) e Palazzo Ducale di Mantova (21%). Un altro dato interessante riguarda la tipologia di museo: quelli archeologici sono i più visitati (40%), così come i musei d’arte (34% per opere dal medioevo a tutto l’800; 35% per le opere moderne); anche i parchi zoologici e i giardini botanici hanno attirato la curiosità di circa il 25% della popolazione, e i musei di storia naturale o scienze naturali di circa due visitatori su dieci.

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Cultura

Ritrovato il 145/o manoscritto del Milione di Marco Polo

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Proprio nell’anno che celebra i 700 anni dalla morte di Marco Polo, è stato ritrovato un manoscritto del Devisement dou monde/Milione presente nei cataloghi, ma ignoto agli studi su Marco Polo (è assente da tutti i censimenti del Milione) che risulta essere l’ultimo dei codici oggi noti in ordine di tempo del testo del grande viaggiatore veneziano. Sono 145 raggruppati in diverse famiglie.

Il ritrovamento, che si inserisce nel più ampio lavoro sul Milione coordinato da Eugenio Burgio, Marina Buzzoni e Samuela Simion dell’Università Ca’ Foscari Venezia e Antonio Montefusco dell’Università di Nancy, riveste notevole interesse perché aggiunge nuove importanti informazioni riguardo alla trasmissione del testo e alle sue varie versioni. La storia della diffusione del Milione è in effetti una delle più intricate e appassionanti della letteratura medievale: il successo dell’opera determinò una fioritura di traduzioni, riscritture, adattamenti, riflesso dei numerosi ambienti in cui il testo fu letto.

Il manoscritto è un testimone quasi ignoto di una traduzione realizzata mentre Marco era ancora vivo, ed è da questa traduzione che derivano le versioni con cui il Milione venne conosciuto e letto. Il manoscritto è conservato nella Biblioteca Diocesana Ludovico Jacobilli di Foligno, con segnatura Jacobilli A.II.9, e trasmette la traduzione che gli studiosi chiamano VA, realizzata entro il primo quarto del Trecento nell’Italia nord-orientale.

L’importanza di questa traduzione risiede soprattutto nell’ampiezza della sua diffusione: il testo di VA venne infatti sottoposto a numerose traduzioni, sia in latino che in volgare, tanto che gran parte dei manoscritti superstiti è, direttamente o indirettamente, una sua emanazione. È quindi la versione in cui il libro di Marco Polo venne più letto e conosciuto in Europa.

Solo nei prossimi mesi si potrà aggiungere qualche informazione sulla posizione del manoscritto all’interno della tradizione manoscritta del Milione, in attesa di uno studio più ampio che sarà pubblicato su una delle riviste principali del settore. Tra le attività dell’anno dedicato a Marco Polo anche la pubblicazione della prima edizione digitale dell’opera di Marco Polo, resa disponibile agli studiosi di tutto il mondo e pubblicata da Edizioni Ca’ Foscari in open access e open source.

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Cultura

John & Yoko, amore musica e politica nel docu da Oscar

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John Lennon fa fare l’aeroplanino al figlioletto Sean appena nato e poi lo porta a spasso mentre Yoko Ono gli dà la pappa nella cucina dell’appartamento nel Dakota Building con vista su Central Park: un quadretto familiare tenero che è una delle tante scoperte di ‘One to One: John & Yoko’, il documentario dello scozzese Kevin MacDonald con Sam Rice-Edwards che è una vera e propria immersione negli anni newyorkesi di Lennon ormai separato dai Beatles. Il film è in anteprima mondiale fuori concorso alla Mostra del cinema di Venezia e poi andrà al festival di Telluride.

Il regista ha potuto accedere all’archivio Lennon e alla Lennon’s Estate e ricostruire l’esperienza della coppia che tra musica, concerti benefici, manifestazioni partecipava alla vita culturale della città e soprattutto a quella politica. Erano gli anni della guerra in Vietnam, dei cortei dei giovani che chiedevano stop the war e peace now – scene e frasi drammaticamente attuali – del presidente Nixon da boicottare ma che invece veniva rieletto, del governatore razzista dell’Alabama George Wallace oggetto di un attentato che infiammò l’America.

Cosa non si è detto, visto, scritto dei FabFour, del loro addio – The Beatles: Get Back di Peter Jackson nel 2021 è solo l’ultimo degli approfondimenti – di Yoko Ono rovina Beatles eccetera eccetera? Eppure One to One: John & Yoko getta nuova luce. Innanzitutto il periodo non troppo indagato: siamo nel 1971-1972, la coppia innamoratissima era arrivata dall’Inghilterra, aveva preso casa al 496 di Broome Street a Soho e al 105 di Bank Street al Village, trascorreva giornate a letto, il famoso periodo peace and love, strimpellando, cantando, intervenendo nei programmi tv, ma cominciava di fatto una nuova vita. Fu allora che John e Yoko si impegnarono pesantemente in cause politiche e realizzarono Some Time in New York City, passato alla storia come il peggior album di Lennon e soprattutto il concerto di beneficenza per la famigerata Willowbrook State School per bambini con disabilità intellettive, che un’inchiesta tv aveva svelato come un istituto in pratica di detenzione pediatrica.

Lennon e Ono (la cui figlia Kyoko avuta dall’ex marito Anthony Cox, le era stata sottratta con grande dolore) si buttano con generosità nella realizzazione del concerto così come in altre cause, spesso insieme all’attivista sociale Jerry Rubin e al padre beatnik Allen Ginsburg, tentando di coinvolgere anche un recalcitrante Bob Dylan e quegli slanci sono forse una delle belle scoperte del documentario. One to One ebbe luogo al Madison Square Garden il 30 agosto 1972, l’unico concerto completo che Lennon tenne dopo aver lasciato i Beatles e prima che venne ucciso da un fan squilibrato sotto casa l’8 dicembre 1980. Il film è il racconto di anni irrequieti per l’America, per Lennon e Yoko (femminista della prima ora partecipa alla prima storica riunione, 1971), tra pubblico e privato.

E poi però c’è la musica Imagine, Looking over from my hotel window, Hound Dog, Come together, 39, Mother e tante altre. “L’idea del film – ha detto il regista – è stare con loro, come seduti nella loro casa, c’è intimità, c’è la storia del dolore di Yoko che cercava la figlia e c’è anche la loro vulnerabilità di famosi, ricchi, generosi e idealisti che volevano fare la rivoluzione ma poi disillusi pensarono alle piccole cose da cambiare, come far star meglio i bambini della Willowbrook School”. E poi, se pure è un tema divisivo dagli anni ’60, c’è Yoko Ono “questo film ha dato a Yoko la possibilità di essere vista, uguale a John”.

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Cultura

Il mare delle Egadi restituisce un rostro in bronzo

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Fu l’arma letale nella Battaglia delle Egadi, combattuta a nord-ovest dell’isola di Levanzo nel 241 avanti Cristo, che segnò la fine della prima guerra punica con la vittoria dei Romani sui Cartaginesi. Era il rostro a tre fendenti che si allungava a prua dell’imbarcazione. La trireme, lanciata a velocità sulle navi nemiche determinava, con il colpo del rostro, squarci micidiali nelle navi nemiche causandone il loro affondamento. L’ultimo importante reperto archeologico di questo tipo è stato appena restituito dal mare delle Egadi.

La campagna di ricerche di agosto ha, infatti, consentito di recuperare un rostro in bronzo che si trovava su un fondale a circa 80 metri di profondità. Il reperto è stato recuperato dai subacquei della “Society for documentation of submerged sites” (Sdss) con l’ausilio della nave oceanografica da ricerca “Hercules” che negli anni ha permesso, grazie alle sofisticate strumentazioni presenti a bordo, l’individuazione e il recupero di numerosi reperti riguardanti l’importante evento storico del III secolo a.C. Il rostro è stato trasferito nel laboratorio di primo intervento nell’ex Stabilimento Florio di Favignana ed è già al vaglio degli archeologi della Soprintendenza del Mare della Regione Siciliana.

Le sue caratteristiche sono simili a quelle degli altri già recuperati nelle precedenti campagne di ricerca: nella parte anteriore una decorazione a rilievo che raffigura un elmo del tipo Montefortino con tre piume nella parte superiore, mentre le numerose concrezioni marine non consentono ancora di verificare la presenza di iscrizioni. Le attività di ricerca nel tratto di mare tra Levanzo e Favignana sono condotte da circa 20 anni da un team formato dalla Soprintendenza del Mare, dalla statunitense Rpm Nautical Foundation e dalla Sdss.

“I fondali delle Egadi sono sempre una fonte preziosa di informazioni per aggiungere ulteriori conoscenze sulla battaglia navale tra la flotta romana e quella cartaginese. L’intuizione di Sebastiano Tusa continua ancora oggi a ricevere conferme sempre più puntuali, avvalorando gli studi dell’archeologo che avevano consentito l’individuazione del teatro della battaglia” ha commentato l’assessore regionale ai Beni culturali, Francesco Paolo Scarpinato. “Con quest’ultimo rostro – sottolinea l’assessore -, salgono a 27 quelli ritrovati a partire dai primi anni Duemila. Negli ultimi 20 anni sono stati individuati anche 30 elmi del tipo Montefortino, appartenuti ai soldati romani, due spade, alcune monete e un considerevole numero di anfore”. La battaglia delle Egadi, descritta da Polibio e da molti altri storici antichi, concluse la lunga prima guerra punica grazie ad una svolta impressa dall’audace ammiraglio Lutazio Catulo che sbloccò una situazione di stallo anche grazie a un’arma micidiale come quella rappresentata dal rostro.

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