Passato il voto europeo il Governo torna all’attacco sulla scadenza del Pnrr. E il piano di salvataggio europeo lanciato nell’emergenza pandemica e salutato allora come salvifico con l’Italia nel mezzo di una recessione record, diventa una “politica keynesiana all’amatriciana”. Una critica all’approccio solo emergenziale, e non strutturato, adottato nella Ue col meccanismo finanziato a debito comune, quando invece “sarebbe stato più razionale prevedere una scadenza temporale più normale”.
A parlare è il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti che, lasciando l’assemblea generale di Unione Vini, la mette così: sulla richiesta, non solo italiana, di far slittare la scadenza posta dalla Commissione europea al 2026, “hanno già detto di no. Ne riparliamo fra un anno, vedremo”. Da fonti Ue trapela che una proroga ad oggi non è sul tavolo, ma potrebbe prendere slancio, appunto, l’anno prossimo. Solo lo scorso aprile Giorgetti puntava sulle elezioni europee e sulla nuova Commissione per sbloccare il ‘dossier proroga’: se l’attuale Commissione europea uscente non lo ha capito – aveva detto il ministro – la prossima “forse valuterà diversamente”.
Ora, con la precedente maggioranza europea che ha retto nell’Europarlamento, il ministro sembra fiducioso che sarà l’avvicinarsi del 2026 a far uscire allo scoperto altri Paesi, oltre all’Italia e la Polonia che hanno chiesto apertamente uno slittamento. “Sarebbe più realistica una determinazione delle tempistiche che sia utile per i Paesi, per le imprese e per l’Europa stessa”, dice Giorgetti. Se, ad oggi, le fonti Ue confermano la necessità di un’attuazione puntuale del Pnrr col termine ultimo del 2026 previsto dal regolamento del Recovery (scadenza “fissa” aveva risposto il commissario all’Economia Paolo Gentiloni al pressing italiano), un confronto potrebbe esserci l’anno prossimo quando si apriranno i negoziati per il bilancio comune 2028-2035.
Non una chiusura netta, dunque. Potrebbe avere un peso il ruolo che assumerà Fratelli d’Italia rispetto alla ricerca di una maggioranza da parte di Ursula Von Der Leyen per un secondo mandato. Forse non è un caso che proprio oggi Giorgetti, assieme a una crescita “perfettamente in linea” con le stime del governo e con un obiettivo di “pareggio del saldo primario” nel solco di obiettivi “realistici e sostenibili”, rivendichi un ruolo “determinante” in Ue per l’Italia, grazie a un governo “paradossalmente fra i più stabili, sicuramente il più stabile fra i grandi Paesi”.
Resta il fatto che il riaffiorare del tema dopo le elezioni ridà fiato all’opposizione: “La richiesta del ministro Giorgetti di rivedere le scadenze del Pnrr è una ammissione ufficiale di ciò che tanti dicono ufficiosamente: l’Italia è in ritardo e, nonostante la revisione del Piano, non rispetterà la tempistica prevista. Con tanti saluti ai proclami trionfalistici della premier Meloni e del suo collega Fitto”, scrive sui social il senatore Antonio Misiani, responsabile economico del Pd. “Abbiamo 39 miliardi da mettere a terra e conto che li spenderemo tutti e li spenderemo bene” – replica il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Matteo Salvini – “il problema del Pnrr non è spenderli tutti ma spenderli bene e fruttuosamente perché sono soldi a debito che poi i nostri figli dovranno restituire”. L’Italia aveva negoziato dieci rate (a fronte del raggiungimento di 617 tra traguardi e obiettivi) degli aiuti europei. Il governo ha appena incassato la valutazione positiva di Bruxelles sull’erogazione della quinta rata, che porterà la quota incassata finora a 113,5 miliardi sui 194,4 totali.