L’oppositore russo Alexiei Navalny potrebbe essere stato avvelenato con una sostanza chimica mentre era rinchiuso in carcere: a ipotizzarlo e’ Anastasia Vasilieva, medico di fiducia dell’avversario numero uno di Putin. Navalny era stato trasportato d’urgenza all’ospedale 64 di Mosca per una misteriosa “grave reazione allergica”: aveva il viso gonfio ed eruzioni cutanee nella parte superiore del corpo. Dopo un giorno e’ stato comunque dimesso e riportato in prigione. Secondo i medici, l’oppositore sta molto meglio, non e’ in pericolo di vita e la sua era una semplice dermatite da contatto, cioe’ un’infiammazione della pelle dovuta all’interazione con sostanze irritanti. La decisione di far tornare in cella Navalny e’ stata pero’ aspramente criticata dalla dottoressa Vasilieva: secondo la oftalmologa, il dissidente “non si e’ ancora ripreso del tutto” e “farlo tornare nel luogo in cui probabilmente si trova quello stesso sconosciuto agente chimico” che lo ha fatto stare male e’ a suo parere una mossa avventata che mette a repentaglio la salute del paziente.
Vasilieva ha accusato i suoi colleghi dell’ospedale di non aver voluto eseguire i test necessari ad accertare la causa del malessere di Navalny. Ma ha anche detto di aver raccolto una ciocca di capelli e una maglietta del dissidente e di volerle usare per delle analisi indipendenti in un laboratorio europeo. Vasilieva ha visitato Navalny dopo un giorno: in precedenza, lo aveva potuto vedere solo attraverso una porta socchiusa ed era stata costretta a lasciare presto l’ospedale. Quella breve visita, in compagnia di un altro medico, Yaroslav Ashikhmin, le era pero’ bastata a sospettare un avvelenamento. Un’ipotesi condivisa dall’avvocato di Navalny, Olga Mikhailova: “E’ stato davvero avvelenato da una qualche sostanza chimica ignota”, ha affermato la legale annunciando che ora cerchera’ di far scarcerare il suo assistito in anticipo rispetto ai 30 giorni inflittigli mercoledi’ scorso. “L’allergia” di Navalny resta un giallo. Leonid Volkov, il braccio destro dell’oppositore, ha detto di aver accusato sintomi simili lo scorso giugno, dopo aver trascorso 28 giorni proprio nella stessa cella in cui adesso e’ rinchiuso Navalny. Secondo lui il malessere potrebbe essere stato provocato dalle cattive condizioni igieniche del penitenziario. L’episodio ha comunque suscitato preoccupazione. E il fatto che si sia verificato proprio nel bel mezzo delle proteste anti-Putin ha sollevato non pochi sospetti. Tra cui quello che si sia trattato di una sorta di intimidazione. Navalny e’ stato l’organizzatore delle piu’ massicce proteste antigovernative degli ultimi anni: regolarmente represse dalla polizia russa con ondate di fermi. Per questo entra ed esce dal carcere. Se il dissidente adesso si trova dietro le sbarre e’ proprio per aver incitato a partecipare all’ultima di queste manifestazioni: quella del 27 luglio, conclusasi con quasi 1.400 fermi. In queste settimane, migliaia di persone sono scese in piazza a Mosca contro l’esclusione di numerosi oppositori dalle elezioni comunali di settembre. Ma nonostante il pugno di ferro del Cremlino, i dissidenti non sembrano avere intenzione di mollare e sabato prossimo si prevede un’altra protesta.
Quattro militari italiani impegnati nella missione di pace UNIFIL in Libano sono rimasti feriti a seguito di un attacco alla base situata nel sud del Paese. Fonti governative assicurano che i soldati, che si trovavano all’interno di uno dei bunker della base italiana a Shama, non sono in pericolo di vita. Le autorità italiane e internazionali hanno espresso forte indignazione per l’accaduto, mentre proseguono le indagini per ricostruire la dinamica dell’attacco.
UNIFIL UNITED NATIONS INTERIM FORCE IN LIBANO. SOLDATI DELLE NAZIONI UNITE (FOTO IMAGOECONOMICA)
La dinamica dell’attacco
Secondo le prime ricostruzioni, due razzi sarebbero stati lanciati dal gruppo Hezbollah durante un’escalation di tensioni con Israele. Al momento dell’attacco, la base italiana aveva attivato il livello di allerta 3, che impone ai militari l’utilizzo di elmetti e giubbotti antiproiettile. La decisione si era resa necessaria a causa della pericolosità crescente nell’area, teatro di scontri tra Israele e Hezbollah.
Un team di UNIFIL è stato inviato a Shama per verificare i dettagli dell’accaduto, mentre il governo italiano monitora attentamente la situazione.
UNIFIL UNITED NATIONS INTERIM FORCE IN LEBANON. FOTO IMAGOECONOMICA ANCHE IN EVIDENZA
Le dichiarazioni del ministro Crosetto
Il ministro della Difesa Guido Crosetto ha commentato con durezza l’attacco, definendolo “intollerabile”:
“Cercherò di parlare con il nuovo ministro della Difesa israeliano per chiedergli di evitare l’utilizzo delle basi UNIFIL come scudo. Ancor più intollerabile è la presenza di terroristi nel Sud del Libano che mettono a repentaglio la sicurezza dei caschi blu e della popolazione civile”.
Crosetto ha inoltre sottolineato la necessità di proteggere i militari italiani, impegnati in una missione delicata per garantire la stabilità nella regione.
La solidarietà del Presidente Meloni
Anche la Presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha espresso solidarietà ai militari feriti e alle loro famiglie, dichiarando:
“Apprendo con profonda indignazione e preoccupazione la notizia dei nuovi attacchi subiti dal quartier generale italiano di UNIFIL. Desidero esprimere la solidarietà e la vicinanza mia e del Governo ai feriti, alle loro famiglie e sincera gratitudine per l’attività svolta quotidianamente da tutto il contingente italiano in Libano. Ribadisco che tali attacchi sono inaccettabili e rinnovo il mio appello affinché le parti sul terreno garantiscano, in ogni momento, la sicurezza dei soldati di UNIFIL”.
Unifil: una missione per la pace
La missione UNIFIL, operativa dal 1978, ha il compito di monitorare il cessate il fuoco tra Israele e il Libano, supportare le forze armate libanesi e garantire la sicurezza nella regione. L’attacco alla base italiana evidenzia la crescente instabilità nell’area e i rischi a cui sono esposti i caschi blu impegnati nella missione di pace.
La trumpiana di ferro Marjorie Taylor Greene collaborerà con Elon Musk e Vivek Ramaswamy come presidente di una commissione della Camera incaricata di lavorare con il Dipartimento dell’efficienza. “Sono contenta di presiedere questa nuova commissione che lavorerà mano nella mano con il presidente Trump, Musk, Ramaswamy e l’intera squadra del Doge”, acronimo del Department of Government Efficiency, ha detto Greene, spiegando che la commissione si occuperà dei licenziamenti dei “burocrati” del governo e sarà trasparente con le sue audizioni. “Nessun tema sarà fuori dalla discussione”, ha messo in evidenza Greene.
Donald Trump nomina la fedelissima Pam Bondi a ministra della Giustizia. L’ex procuratrice della Florida ha collaborato con il presidente eletto durante il suo primo impeachment. “Come prima procuratrice della Florida si è battuta per fermare il traffico di droga e ridurre il numero delle vittime causate dalle overdosi di fentanyl. Ha fatto un lavoro incredibile”, afferma Trump sul suo social Truth annunciando la nomina, avvenuta dopo il ritito di Matt Gaetz travolto da scandali a sfondo sessuale. “Per troppo tempo il Dipartimento di Giustizia è stato usato contro di me e altri repubblicani. Ma non più. Pam lo riporterà al suo principio di combattere il crimine e rendere l’America sicura.
E’ intelligente e tosta, è una combattente per l’America First e farà un lavoro fantastico”, ha aggiunto il presidente-eletto. Bondi è stata procuratrice della Florida fra il 2011 e il 2019, quando era governatore Rick Scott. Al momento presiede il Center for Litigation all’America First Policy Institute, un think tank di destra che sta lavorando con il transition team di Trump sull’agenda amministrativa. Come procuratrice della Florida si è attirata l’attenzione nazionale per i suoi tentativi di capovolgere l’Obamacare, ma anche per la decisione di condurre un programma su Fox mentre era ancora in carica e quella di chiedere al governatore Scott di posticipare un’esecuzione per un conflitto con un evento di raccolta fondi.
La nomina di Bondi arriva a sei ore di distanza dal ritiro di Gaetz dalla corsa a ministro della Giustizia dopo le nuove rivelazioni sullo scandalo sessuale che lo ha travolto. Prima dell’annuncio, l’ex deputato della Florida era stato contattato da Trump che gli aveva riferito che la sua candidatura non aveva i voti necessari per essere confermata in Seanto. Almeno quattro senatori repubblicani, infatti, si era espressi contro e si erano mostrati irremovibili a cambiare posizione. Il nome di Bondi, riporta Cnn, era già nell’iniziale lista dei papabili ministro alla giustizia stilata prima di scegliere Gaetz. Quando l’ex deputato ha annunciato il suo passo indietro, il nome di Bondi è iniziato a circolare con insistenza fino all’annuncio.