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Politica

G7 in allerta, conflitti aumentano il rischio terrorismo

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C’è il Medio Oriente in fiamme, il sentiment anti-israeliano si diffonde accrescendo le radicalizzazioni tra i giovani, l’anniversario del 7 ottobre è vicino ed il rischio di una ripresa del terrorismo jihadista valutato come probabile. Il G7 Interni a Mirabella Eclano avviene quindi in “un momento molto difficile” ed i ministri dei Grandi sono consapevoli della necessità di fare fronte comune contro la minaccia. L’allerta è alta sul rischio attentati.

Al tema dei riflessi della guerre in Ucraina e della situazione mediorientale sulla sicurezza dell’Occidente è stata dedicata la prima sessione dei lavori della due giorni irpina. “I due conflitti – ha spiegato il titolare del Viminale Matteo Piantedosi – stanno contribuendo a generare una polarizzazione nelle nostre società incrementando il rischio che alcuni soggetti aderiscano a delle ideologie violente arrivando a commettere atti terroristici nei nostri territori. Non possiamo farci trovare impreparati e dobbiamo affinare le capacità di prevenire”. Condivide l’allarme il vicepresidente della Commissione europea, Margaritis Schinas, presente anche lui al tavolo del vertice, insieme al direttore dell’Interpol, Jurgen Stock.

“Ci sono – ha rilevato – due tipi di minacce cui siamo particolarmente esposti: il terrorismo jihadista e le interferenze di Paesi esteri. Ciò si lega direttamente alla guerra in Ucraina e agli eventi in Medio Oriente. Noi siamo in elevata allerta, questo non è ‘business as usual’, non è un periodo ordinario. Stiamo così mettendo a fattor comune le informazioni in tempo reale, ancora di più in vista di lunedì, anniversario del 7 ottobre: ci dobbiamo concentrare. Serve poi il cessate il fuoco a Gaza, il resto viene da sé”. Ha quindi ricordato che in Europa quest’anno sono stati gestiti al meglio due eventi molto temuti dagli apparati di sicurezza: le Olimpiadi di Parigi e gli Europei di calcio in Germania.

“Ci sono anche buone notizie”, ha aggiunto. I ministri dei 7 Grandi hanno convenuto sull’importanza di mettere in campo una strategia comune per prevenire azioni violente. Innescate dai processi di radicalizzazione che coinvolgono tantissimi giovani per il quali l’opposizione ad Israele rappresenta una chiamata alle armi che può anche trasformarsi in minacce concrete. E’ già avvenuto in passato. La propaganda on line è diventata martellante e può essere molto persuasiva su soggetti fragili e non integrati. E’ stato quindi deciso di rafforzare lo scambio di informazioni per intercettare il prima possibile eventuali minacce. Naturalmente arrivare ad un cessate il fuoco a Gaza è decisivo per raffreddare le tensioni.

E’ per questo che l’impegno dei 7 è anche rivolto ad esplorare ogni strada per arrivare una soluzione diplomatica, come ribadito ieri dai capi di Stato nella riunione d’urgenza del summit convocata dalla premier Giorgia Meloni L’altra minaccia che i Paesi ‘like-minded’ si trovano ad affrontare è quella della disinformazione e le interferenze straniere. “E’ un gioco – ha osservato Schinas – che va avanti da tempo. Gli Stati che attaccano la Ue non si fermeranno ma noi ci difenderemo, stiamo migliorando ed abbiamo la capacità anche di contrattaccare”.

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Politica

L’Ue arranca sulla proroga delle sanzioni ai beni russi

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La storia più o meno è sempre la stessa: Budapest dice no. Questa volta però lo scenario è più complicato, perché ci vanno di mezzo anche gli interessi degli Usa. Il terreno di scontro è il prestito da 50 miliardi di dollari all’Ucraina deciso in ambito G7, peraltro proprio su impulso di Washington. L’Ungheria fin da subito ha espresso riserve – atteggiamento standard quando si tratta di sostenere Kiev – e dunque la Commissione Europea ha ideato un meccanismo per aggirare il possibile veto di Viktor Orban. In sintesi, paga l’Ue. Ma le conseguenze politiche potrebbero essere rilevanti. Facciamo un passo indietro. La proposta dell’esecutivo blustellato prevede la costituzione di un veicolo finanziario che emetterà il finanziamento a Kiev con a garanzia gli asset della Banca Centrale russa immobilizzati in Europa. Una scatola, diciamo. Per riempire la scatola servono soldi. Regno Unito, Canada e Giappone ci metteranno fra loro 10 miliardi di dollari. Gli Usa, 20. E l’Ue il resto (dunque altri 20).

Gli Stati Uniti però chiedono che le sanzioni agli asset russi bloccati sui conti della belga Euroclear durino 36 mesi e non 6 come ora. C’è una ragione e la spiegheremo dopo. Per farlo, però, serve l’unanimità. E l’Ungheria non ci sta. “Non c’è al momento il consenso sul punto”, conferma un’alta fonte europea. I primi ad affrontare il nodo di petto, martedì prossimo, saranno i ministri delle Finanze riuniti nell’Ecofin, sperando di trovare un accordo in tempo per il Coreper del giorno dopo (ovvero il direttorio dell’Ue, dove siedono i 27 ambasciatori dei Paesi membri). Nessuno, però, si aspetta davvero una svolta. Perché a decidere è sempre e solo lui, Orban. E qui torniamo all’escamotage della Commissione. L’Ue metterebbe sul piatto “fino a 35 miliardi di euro” usando come garanzia il bilancio comunitario, aggirando il veto di Orban e coprendo la quota degli Usa (per l’operazione serve solo la maggioranza qualificata). Fin qui, la finanza creativa. I restanti 26 però non ci stanno.

La presidenza di turno (ungherese) lascia intendere che “prestito e sanzioni” viaggino su due binari separati ma, stando a diverse fonti diplomatiche, non è così. La logica è a “pacchetto”, tutto si deve tenere. “Un conto è l’Europa e gli Usa che si muovono insieme, un altro l’Europa da sola”, spiega un diplomatico. Senza infatti l’ok alla proroga delle sanzioni, l’America contribuirà con una quota molto minore (forse irrilevante). Senza garanzie sufficienti sulla durata dell’immobilizzazione degli asset, infatti, la Casa Bianca dovrebbe passare dal Congresso, si spiega, per autorizzare il prestito da 20 miliardi e ora come ora non è cosa. Orban, alquanto apertamente, vuole aspettare le elezioni e vedere se Donald Trump la spunta. Mossa, quindi, squisitamente politica. Ecco perché è molto probabile che l’intera vicenda finisca sul tavolo dei leader in occasione del vertice del 17-18 ottobre. “Fin dove si spingerà il premier ungherese?”, si chiede una fonte a conoscenza delle trattative. Ora che i negoziati sulle conclusioni del Consiglio Europeo entrano nel vivo i Paesi dovranno scoprirsi e l’Ungheria finirà sotto pressione. “Speriamo anche da parte di Washington”, confessa un diplomatico. Insomma, qui non si tratta più (solo) di Unione Europea divisa, che è un po’ il suo habitat naturale. Ma Orban contro Biden. Il che è alquanto diverso. In tutto ciò il presidente ucraino Volodymyr Zelensky si è recato nella regione di Sumi per incontrare i soldati e distribuire premi. “Sono grato per il vostro servizio e per aver difeso il nostro Paese: ringrazio tutti i comandanti, i sergenti e i soldati per l’operazione Kursk, che ci ha aiutato molto a motivare coloro che ci forniscono pacchetti di supporto per le armi”, ha dichiarato.

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Politica

La definì “neonazista”, Meloni ritira querela a Canfora

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La rimessione della querela della premier Giorgia Meloni è arrivata tre giorni prima dell’inizio del processo per diffamazione. Imputato lo storico e filologo Luciano Canfora, 82 anni, professore emerito dell’università di Bari, intellettuale di sinistra e opinionista. Il processo era fissato per lunedì prossimo, 7 ottobre, dinanzi al Tribunale di Bari. La vicenda risale all’11 aprile 2022 quando Meloni era leader di Fratelli d’Italia e parlamentare all’opposizione del governo Draghi. Nel corso di un incontro con gli studenti del liceo scientifico ‘Enrico Fermi’ di Bari dedicato alla guerra in Ucraina, Canfora la definì “neonazista nell’anima”, “una poveretta”, “trattata come una mentecatta pericolosissima”.

Partì subito la querela e la Procura di Bari chiese ed ottenne il rinvio a giudizio del professore. La premier si costituì parte civile e chiese un risarcimento danni da 20mila euro. Secondo il suo legale, Luca Libra, con le sue parole Canfora avrebbe “leso l’onore, il decoro e la reputazione” di Meloni, “aggredendo la sua immagine, come persona e personaggio politico, con volgarità gratuita e inaudita”. Di parere opposto il difensore dello storico, Michele Laforgia che aveva chiesto il proscioglimento del suo assistito anche perché “non punibile per esercizio del diritto di critica politica”.

E aveva annunciato la citazione per deporre in aula della premier. “Resto convinto – disse Laforgia – che un processo per un giudizio politico per diffamazione non si possa fare e non si debba fare, e che sia molto inopportuno farlo quando dall’altra parte ci sia un potere dello Stato”. Sul ritiro della querela interviene Roberto Saviano: “A pochi giorni dall’inizio del processo – scrive su X – Meloni cerca di ridurre il peso delle sue intimidazioni ritirando la querela contro Canfora. Io sono fiero di essere stato portato a processo da questo governo banditesco e di aver, con il corpo, testimoniato il mio pensiero critico verso la ferocia delle sue politiche xenofobe”. Con il ritiro della querela, la vicenda è chiusa e il processo non sarà celebrato.

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Economia

Meloni sorpresa dall’intervista di Giorgetti: tensioni sulla comunicazione economica

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L’intervista del ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti a Bloomberg ha colto di sorpresa la premier Giorgia Meloni, lasciando il governo e la maggioranza in uno stato di perplessità e tensione. Secondo fonti interne, Meloni non era al corrente del colloquio che Giorgetti aveva registrato e che è andato in onda mentre le Borse erano aperte. Il momento e i contenuti dell’intervista hanno suscitato particolare preoccupazione, soprattutto a causa del riferimento ai “sacrifici” che saranno richiesti alle grandi imprese nella prossima manovra economica, concetti delicati mentre il governo sta negoziando con il settore bancario.

Piazza Affari reagisce negativamente

La reazione di Piazza Affari all’intervista è stata immediata e negativa. Mentre Meloni accoglieva a Palazzo Chigi il presidente del Kirghizistan, Sadyr Japarov, il mercato ha interpretato le dichiarazioni di Giorgetti come una possibile introduzione di nuovi oneri fiscali, innescando agitazione tra i parlamentari della maggioranza.

La puntualizzazione del governo

Il sottosegretario all’Economia, Federico Freni, ha subito chiarito che “non c’è allo studio nessun aumento delle tasse per nessuno”, tentando di calmare le acque. Anche fonti del Ministero dell’Economia hanno ribadito il concetto, mentre fonti di Palazzo Chigi hanno definito una “forzatura” l’interpretazione delle parole di Giorgetti. Nonostante la collaborazione tra Meloni e Giorgetti, questo episodio ha sorpreso la premier, evidenziando una certa mancanza di coordinamento.

Il precedente storico: cautela a Borse aperte

L’intervista di Giorgetti ha riacceso il dibattito sulla comunicazione economica a Borse aperte. Nel 2011, Silvio Berlusconi ritardò un discorso alla Camera per attendere la chiusura degli scambi azionari, mentre Mario Montiraccomandò ai suoi ministri di evitare fughe di notizie in momenti delicati per i mercati. Una lezione non sempre seguita, come dimostrato anche nel 2019 quando Luigi Di Maio, allora ministro dello Sviluppo Economico, finì nella bufera per aver definito Atlantia “decotta” a mercati aperti.

Reazioni nella coalizione

All’interno della maggioranza, l’umore è stato riassunto da un esponente che ha sottolineato: “Di tasse non si dovrebbe parlare mai, né a Borse aperte né a Borse chiuse…”. Le parole di Giorgetti hanno così scatenato un nuovo dibattito sulla gestione della comunicazione economica e sull’importanza di una maggiore cautela nei rapporti con i mercati finanziari.

(Nella foto in evidenza dell’archivio di Imagoeconomica la premier Meloni e il ministro Giorgetti) 

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