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Cultura

Fotografia e cerimonie a Napoli, un matrimonio perfetto fatto di luce e creatività

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Possiamo dire che la fotografia cerimonialistica assolve pienamente alla funzione primaria della fotografia?

Possiamo affermare che una delle missioni basilari della fotografia è brillantemente compiuta  dalla fotografia applicata alle cerimonie, gioiose, che scandiscono il tempo della nostra vita? Battesimi, Comunioni, a volte Cresime e poi Matrimoni?

Credo che senza il minimo tentennamento la risposta sia SI, la fotografia cerimonialistica è la celebrazione del ricordo e quindi  al netto di tutte le retoriche e le argomentazioni e le ragioni che si accompagnano agli usi creativi della fotografia. la fotografia di cerimonia è sicuramente uno dei settori fotografici che rispecchia in pieno e totalmente la funzione per la quale la fotografia oggi è divenuta una delle arti e mezzi e strumenti che fermando  il tempo e la storia lo rimanda al futuro, facendo conoscere il passato.

Il fotografo è invitato nella sfera privata dei protagonisti

Può sembrare ripetitivo l’evento matrimonio, i tempi sono sempre gli stessi, foto a casa della sposa, foto in chiesa, foto panoramiche e foto al ristorante, per finire con le foto alla torta e alle bomboniere, ma interpretando ognuno di essi in base alla luce, alla sensibilità dei protagonisti, ai luoghi e all’evento, ci si rende conto che ogni cerimonia è una storia singola, ognuna diversa dall’altra, ognuna con il suo inizio e la sua fine e il fotografo, benché abbia una precisa sceneggiatura da seguire nella mente, deve sempre dare spazio alla creatività, cercando di cogliere aspetti che nessun altro ha l’autorizzazione a cogliere, il fotografo diventa nel giorno del matrimonio, ma anche degli eventi precedenti, un confessore, uno psicologo, un amico, un consigliere.

Nulla può essere lasciato al caso, non si può non aver instaurato un rapporto intenso, se si vuole lasciare un ricordo fotografico del giorno, nel quale i festeggiati si ritrovino anche a distanza di anni.

La responsabilità è alta, ma i fotografi napoletani, dove sicuramente c’è la scuola più importante d’ Italia e forse del mondo, assolvono questo compito nel migliore dei modi e sono tra i più ricercati sul mercato internazionale.

Accompagnati e rispettosi delle bellezze del territorio si sviluppa un mercato unico in Italia

Napoli, al centro tra le bellezze della costiera sorrentina e delle isole di Capri e Ischia, mete da sempre preferite da giovani e facoltosi sposi internazionali ha anche offerto a queste neo coppie un parterre fotografico d’eccezione e quindi è giocoforza che oggi tanti fotografi napoletani siano chiamati all’estero nelle mete più esotiche a documentare i matrimoni e le giornate di festa che li accompagnano. Bali, Aruba, Dubai, Singapore, Beirut, sono solo alcune delle mete dove operano i nostri professionisti.

La fotografia di matrimonio nasce dallo studio fronte strada degli antichi fotografi del centro di Napoli, chiamati nel dopoguerra a produrre quelle poche foto che facessero ricordare il giorno della importante cerimonia che in genere una volta era il giorno del matrimonio o del funerale di un congiunto. Nata con la fotografia, ma esclusiva delle classi agiate è nel dopoguerra che comincia a svilupparsi il mercato cerimonialistico, quello che fino ad allora era priorità delle famiglie abbienti, comincia a diventare un rito irrinunciabile. Inizialmente si contrattava sul numero delle foto da produrre, non sulla giornata lavorativa, come in genere avviene oggi, con l’aggiunta delle spese, quindi il fotografo faceva di tutto per aumentare il numero di foto da consegnare e il numero aumentava obbligatoriamente in corso d’opera, con la cerimonia in pieno svolgimento. La tecnica era abbastanza semplice e si basava sulla felicità manifestata dagli sposi e specialmente dai parenti degli sposi, che in genere pagavano per regalo o per “contratto” le foto della cerimonia. Più si era felici, più foto supplementari si potevano aggiungere negli album.  Se nei primi anni ’50 un album fotografico consisteva nelle classiche 25 fotografie di tutta la cerimonia più le foto con gli invitati (chi poteva permetterselo), già negli anni ’70 si cominciava a contrattare per 100 foto di cerimonia più le canoniche 30 per i gruppi degli invitati, di formato più piccolo, ma complete di cartellina per omaggiarle agli ospiti intervenuti e immortalati nei loro vestiti immacolati. Nel frattempo aumentavano anche le famiglie fotografiche, si, perché fino agli anni ’80 questa ereditarietà era rigorosa e il mestiere passava da padre in figlio e da fratello a fratello. I Ruggieri, con Gabriele, Vincenzo e poi Francesco e Toty, gli Averardi, gli Armenio, i Gaita, i Laporta, con Antonio, detto Ndo’Ndo’, Carmine con i figli Mario e Salvatore. Tutti dell’area del Duomo di Napoli, vera officina di talenti e scuola per antonomasia della fotografia cerimonialistica. Da quella scuola e da quel territorio è emerso, forse il più conosciuto e popolare fotografo di matrimoni d’Italia, Oreste Pipolo, scomparso negli anni passati, ma sempre vivo nei ricordi di tutti per la sua esuberanza e per il suo stile professionale unico che si rifaceva all’antico sapere fotografico partenopeo, ma attualizzato e ammiccante alla società dello spettacolo degli anni ’80. Capace di creare icone, Pipolo sapeva leggere nella sfera sociale dei suoi clienti. Fino alla sua prematura scomparsa  è stato il punto di riferimento per intere generazioni di fotografi del matrimonio che lo hanno seguito ed assistito come le due figlie che oggi continuano la tradizione familiare e gestiscono l’archivio e lo studio in via Duomo ed è stato sicuramente un  faro per  la lettura culturale dell’evento matrimonio inteso come il giorno più importante della propria vita e spaccato sociale meridionale. Da Pipolo hanno preso spunto per servizi fotografici e televisivi Ferdinando Scianna, Domenico Iannaccone e Francesco Cito, il quale  ha fatto conoscere al mondo l’universo matrimonio napoletano vincendo il prestigioso World Press Photo indagando nei lavori non solo di Pipolo, ma anche di Salvatore Ecuba, altra rinomata firma di questo universo fotografico,  che come  Pipolo è riuscito a formare tantissimi fotografi che oggi sono   ricercati professionisti, come Stefano Cardone e molti altri, mentre  diverso è invece il percorso intrapreso   da   Alessandro Capuano che inizia il suo cammino professionale tra matrimoni e comunioni per realizzarsi oggi, dopo importanti esperienze fotografiche, come  appassionato operatore culturale, firmatario di vari progetti artistici in città e nel nord Italia.  Negli stessi anni si affermava anche Antonio Aragona, che iniziava a selezionare un bacino d’utenza diverso, non solo quello popolare dei quartieri del centro di Napoli, ma anche sondando nel ceto della media borghesia del quartiere Vomero, dove si ricercava un servizio fotografico più indirizzato alla documentazione e alla ricerca della fotografia di posa che riproducesse più verosimilmente lo scatto colto all’improvviso che quello costruito. Nei quartieri alti Foto Jaques era la summa di questa tendenza un po’ chic e forse anche snob di interpretazione della fotografia di cerimonia, lui, egregio ritrattista, lo si riconosceva dalle vetrine del suo studio in via Manzoni da dove spiccavano  gigantografie con i volti delle sue spose e dei suoi clienti,  che attiravano l’attenzione degli automobilisti imbottigliati nel  traffico della strada panoramica che si creava nei giorni festivi e prefestivi per raggiungere i belvedere della città.

Dalla massificazione inconsulta alla rinascita qualitativa

La fine degli anni ’90 e gli inizi del nuovo secolo anche con il passaggio dal formato 6cmx6cm analogico, appannaggio di tutti i fotografi professionisti del settore fino ad allora, al formato 3×2 digitale, videro l’apoteosi dei fotografi dei riti familiari. Oltre alle catene di negozi mono firma, come quelli di Francesco Errico, che ne contava almeno 3 in città e dai quali sono poi usciti varie personalità del fotocerimonialismo napoletano, il mercato assiste in quel periodo ad un fenomeno negativo, compaiono improvvisamente sul mercato centinaia di improvvisati fotografi, molti dei quali doppiolavoristi e nemmeno iscritti a nessuna associazione o elenco fiscale. La fotografia di cerimonia perse quel fascino di indagatrice interna della società, che l’aveva contraddistinta e fatta apprezzare. Tantissimi “falsi fotocerimonialisti” aiutati dall’avvento del digitale, cercavano di accaparrarsi quante più cerimonie possibili a prezzi dimezzati, rispetto alle reali spese dei fotografi autorizzati e con studio, contando anche sul beneplacito di alcuni operatori del settore che favorivano o consigliavano le loro prestazioni per ragioni parentali o meramente economiche.

Ma questo non ha scoraggiato i veri fotografi che con grande pazienza e tantissima professionalità sono riusciti a superare queste difficoltà, addirittura formando intere generazioni di nuovi operatori che nelle loro foto mettono passione, onestà, rispetto e comprensione riguardo ad un settore importantissimo della fotografia. Questo passaggio è stato molto delicato e tanto ha contribuito l’hinterland e la provincia napoletana a mantenere alta la dignità dei fotografi, pensiamo a Ciro Lauria, che da Frattamaggiore che pur con le spese di una attività commerciale fronte strada ha resistito prestandosi anche ad altre attività fotografiche come la fotografia di sport o di cronaca, stesso percorso per Salvatore Gallo a Torre Annunziata e anche di Cristoforo Acunzo a Napoli e poi i fotografi capresi, di cui accennavamo all’inizio, Foto Flash con Andrea  D’Agostino e Fabrizio D’Alessandro e gli altri studi presenti sull’isola, Foto Rosso e Foto Bianco. Anche il territorio vesuviano ha espresso e ancora detiene un potenziale fotografico invidiabile con la famiglia Gibotta dal capostipite Ciro, Canon Ambassador al giovane figlio Antonio anch’egli ambasciatore Canon e  oramai affermato fotografo internazionale vincitore di un World Press Photo. Il team Gibotta, dispone anche di  video operatori e montatori  e sono tra i più attivi sul campo cerimonialistico internazionale con numerose trasferte in ogni angolo del mondo.

Un futuro ricco di un grande passato

Il linguaggio fotografico applicato agli eventi familiari cambiava e continua a cambiare, un work in progress che tiene conto delle esigenze del cliente armonizzandole con l’estro e la professionalità del fotografo, relazionandosi anche alle sempre più presenti  e pressanti agenzie di Weddings Planner. Molti, fotografi che operano in questo settore, si esprimono al di fuori delle cerimonie nei campi che più sentono vicini e più’ vogliono esplorare, riportando poi queste esperienze nel loro lavoro commissionato. Enzo Truppo, Salvatore Scialò e Vincenzo Ferraro, uno dei cerimonialisti più impegnati e richiesto dalle giovani coppie ne sono l’esempio.

Il panorama contemporaneo è ricco e offre ampie possibilità di scelte stilistiche per gli utenti che richiedono di documentare o interpretare le cerimonie familiari. La maggior parte dei fotografi che più sono presenti sul mercato hanno curriculum importanti con approfondimenti e studi specifici in fotografia come la pattuglia che dopo aver seguito il Biennio Specialistico in Fotografia presso l’Accademia di Belle Arti di Napoli, ha trovato interessanti sbocchi economici ed espressivi proprio nel campo dei matrimonialisti, apportando linguaggi nuovi e in linea con i desideri delle coppie di sposi. Lucia Dovere e Claudia Giglio, due ex allieve, insieme hanno ideato e portano avanti il progetto MILL Photo Studio dove hanno formato un team che comprende anche colleghi video operatori con specialisti nel pilotaggio di droni. Sempre dell’Accademia, Giuseppe Barbato e Francesca Rao, che spaziano anche nel mondo delle gallerie d’arte con le loro ricerche personali, Mary Saccardo e poi, non dal mondo accademico, ma proveniente dal fotogiornalismo c’è Daniele Veneri, corrispondente a Napoli di importanti studi nazionali e stranieri.  Le contaminazioni dei linguaggi si sono sempre riscontrate in tanti di questi professionisti, ne è esempio Carlo Falanga proveniente dalla comunicazione ed in particolare dal settore della moda dove ancora opera.

Un traguardo che apre nuove strade da esplorare

Con questa breve carrellata sui professionisti che operano nel  settore matrimonialistico si chiude il tour di 4 tappe sulla fotografia napoletana  che abbiamo intrapreso a inizio mese di agosto, forse non sarà stato un completo ed esaustivo viaggio nell’interezza  del mondo fotografico napoletano, ma ciò è dovuto proprio alla complessità del settore, sia nei termini di linguaggi che in quelli di opportunità economiche, tanti fotografi e colleghi sono ancora da scoprire e tanti da riscoprire e molte altre le discipline da indagare, nelle quali operano valenti professionisti come Massimo Velo, Luciano Pedicini e Fabio Speranza finissimi specialisti nel settore delle fotografie di documentazione delle opere d’arte delle sovraintendenze locali, e poi Pino Miraglia, Guido Giannini, Gianluigi Gargiulo Gianfranco Irlanda che seguono un loro percorso creativo sempre tesi alla ricerca e alla passione per lo strumento fotografico, come tanti sono gli appassionati e le associazioni che divulgano con i loro limiti e le loro eccellenze messaggi di educazione visiva, realtà che operano in città e di cui approfondiremo in seguito, tutte queste esperienze di diffusione della fotografia sono i pilastri per la crescita e la conoscenza di un affermata arte che è ancora tutta da scoprire.

Fotogiornalista da 35 anni, collabora con i maggiori quotidiani e periodici italiani. Ha raccontato con le immagini la caduta del muro di Berlino, Albania, Nicaragua, Palestina, Iraq, Libano, Israele, Afghanistan e Kosovo e tutti i maggiori eventi sul suolo nazionale lavorando per agenzie prestigiose come la Reuters e l’ Agence France Presse, Fondatore nel 1991 della agenzia Controluce, oggi è socio fondatore di KONTROLAB Service, una delle piu’ accreditate associazioni fotografi professionisti del panorama editoriale nazionale e internazionale, attiva in tutto il Sud Italia e presente sulla piattaforma GETTY IMAGES. Docente a contratto presso l’Accademia delle Belle Arti di Napoli., ha corsi anche presso la Scuola di Giornalismo dell’ Università Suor Orsola Benincasa e presso l’Istituto ILAS di Napoli. Attualmente oltre alle curatele di mostre fotografiche e l’organizzazione di convegni sulla fotografia è attivo nelle riprese fotografiche inerenti i backstage di importanti mostre d’arte tra le quali gli “Ospiti illustri” di Gallerie d’Italia/Palazzo Zevallos, Leonardo, Picasso, Antonello da Messina, Robert Mapplethorpe “Coreografia per una mostra” al Museo Madre di Napoli, Diario Persiano e Evidence, documentate per l’Istituto Garuzzo per le Arti Visive, rispettivamente alla Castiglia di Saluzzo e Castel Sant’Elmo a Napoli. Cura le rubriche Galleria e Pixel del quotidiano on-line Juorno.it E’ stato tra i vincitori del Nikon Photo Contest International. Ha pubblicato su tutti i maggiori quotidiani e magazines del mondo, ha all’attivo diverse pubblicazioni editoriali collettive e due libri personali, “Chetor Asti? “, dove racconta il desiderio di normalità delle popolazioni afghane in balia delle guerre e “IMMAGINI RITUALI. Penitenza e Passioni: scorci del sud Italia” che esplora le tradizioni della settimana Santa, primo volume di una ricerca sui riti tradizionali dell’Italia meridionale e insulare.

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Cultura

Un tycoon delle cripto acquista all’asta e fa sapere che mangerà la banana di Cattelan

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Un tycoon delle criptovalute sta per mangiare la banana appiccicata alla parete di Maurizio Cattelan. Pagando 6,2 milioni di dollari da Sotheby’s, il collezionista Justin Sun, fondatore della piattaforma Tron, ha battuto altri sei concorrenti per una di tre edizioni dell’opera concettuale Comedian creata nel 2019 dall’artista padovano celebre in tutto il mondo per le sue provocazioni. Sun, che nella sua raccolta ha un Giacometti da 78 milioni comprato nel 2021, ha seguito l’asta da Hong Kong e pagato in criptovalute. Dopo aver messo le mani su Comedian ha fatto sapere che “nei prossimi giorni mangerà la banana come parte di questa unica esperienza artistica, onorandone il ruolo sia nella storia dell’arte che nella cultura pop”.

La banana in questione era stata acquistata poche ore prima dell’asta per 35 centesimi da un banchetto di frutta e verdura dell’Upper East Side: assieme al nastro adesivo grigio che l’attacca alla parete, deve essere sostituita regolarmente e questo fa parte del progetto di Cattelan che aveva inteso Comedian come una satira delle speculazioni del mercato: “Su che base un oggetto acquista valore nel sistema dell’arte?”, si era chiesto l’artista famoso per America, il water d’oro massiccio installato nel 2016 al Guggenheim. Piu’ di recente lo stesso Cattelan aveva aggiunto che “l’asta sara’ l’apice della carriera di Comedian. Sono ansioso di vedere quali saranno le risposte”.

Comedian aveva debuttato ad Art Basel Miami dove la galleria Perrotin ne aveva venduto le tre edizioni, due per 120 mila dollari e la terza per 150 mila, pagati da un anonimo acquirente che l’aveva poi donata al Guggenheim. Durante la fiera, l’artista delle performance David Datuna ne aveva mangiata una, costringendo Perrotin a chiudere lo stand prima del tempo. Un’altra banana era stata mangiata l’anno scorso da uno studente d’arte sudcoreano nel museo della fondazione Samsung a Seul: il giovane si era giustificato dicendo che “aveva fame”. Uno dei concetti alla base dell’installazione e’ che le sue parti devono essere continuamente rigenerate.

“Non è solo un’opera d’arte,” ha dichiarato Sun a Sotheby’s: “Comedian è un fenomeno culturale che collega i mondi dell’arte, dei meme e della comunità delle criptovalute e che ispirerà ulteriori discussioni in futuro”. Fatto sta che gia’ prima di essere messa all’asta, la banana è stata oggetto di attenzione quando, all’inizio di novembre, l’executive di Sotheby’s Michael Bouhanna ha lanciato anonimamente una criptovaluta ispirata a Cattelan e denominata $Ban.

Immediatamente accusato di aver usato informazioni riservate per guadagnare sull’aumento del prezzo del token, l’executive ha negato, dichiarando di aver “scelto di lanciarlo per hobby in modo anonimo”, senza associazioni quindi con il suo profilo personale. Due rivali di Sun all’asta di Sotheby’s avevano investito nella cripto di Bouhanna. Uno dei due, Theodore Bi, voleva comprare Comedian come dono per Elon Musk ma si era fermato alla soglia dei 2,5 milioni di dollari.

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Cultura

Pompei, riapre la Casa della Fontana Piccola: un gioiello dell’architettura pompeiana

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Dopo sei anni di chiusura, la Casa della Fontana Piccola di Pompei riapre al pubblico, rivelando nuovamente tutta la sua bellezza. Questo straordinario esempio di architettura pompeiana torna a incantare i visitatori con i suoi affreschi, i colori vividi e una fontana unica, simbolo dell’arte e della cultura dell’antica città.

Un esempio di eleganza pompeiana

La Casa della Fontana Piccola è un autentico capolavoro. I suoi affreschi murari, con il celebre rosso pompeiano, e le decorazioni ricche di dettagli, raccontano la vita e i costumi dell’epoca. Ma ciò che rende davvero speciale questa dimora è la fontana visibile già dall’ingresso. Si tratta di un’opera d’arte decorata con tessere di pasta vitrea e valve di mollusco, con un sistema che faceva sgorgare acqua dalla bocca di una maschera tragica in marmo e dal becco di un’oca tenuta da un amorino in bronzo.

Storia e particolarità della domus

Costruita unendo due abitazioni precedenti, la casa aveva due ingressi su via di Mercurio, simbolo dello stato sociale elevato dei proprietari. Danneggiata dal terremoto del 62 d.C., fu quasi completamente affrescata in IV stile pompeiano, pochi anni prima dell’eruzione del Vesuvio. Le pareti laterali del peristilio presentano paesaggi mozzafiato, tra cui una veduta di città marittima, un tema molto in voga nella decorazione di giardini.

Esplorata tra il 1826 e il 1827 dall’architetto Antonio Bonucci, direttore degli scavi, la casa sarebbe appartenuta a Helvius Vestalis, un pomarius (mercante di frutta), secondo un’iscrizione elettorale trovata sulla facciata.

I restauri e gli interventi strutturali

La casa è stata oggetto di importanti lavori di restauro per preservarne la struttura e garantirne la sicurezza. Tra gli interventi principali:

  • Rinforzo strutturale delle travi in calcestruzzo dell’atrio principale, utilizzando materiali innovativi come il fibrorinforzo (FRP).
  • Impermeabilizzazione dei solai per prevenire infiltrazioni.
  • Revisione delle coperture, inclusa quella del peristilio, per proteggere la casa dagli agenti atmosferici.

Le coperture, già restaurate nel 1971, sono state riportate all’altezza originaria per restituire l’antica volumetria della dimora.

L’iniziativa “Raccontare i cantieri”

Con la riapertura della Casa della Fontana Piccola, prende il via una nuova stagione di “Raccontare i cantieri”, giunta alla sua quarta edizione. Ogni giovedì, fino al 17 aprile 2025, i possessori della MyPompeii Card potranno visitare i cantieri di restauro in corso nel Parco Archeologico, iniziando proprio dalla Casa della Fontana Piccola.

Conclusione

La riapertura della Casa della Fontana Piccola rappresenta non solo un recupero storico di grande valore, ma anche un’occasione per riflettere sulla continua necessità di valorizzare e preservare il nostro patrimonio culturale. Un appuntamento imperdibile per tutti gli amanti della storia e dell’archeologia.

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Cultura

Marino Niola premiato dal Gruppo del Gusto della Stampa Estera come divulgatore dell’autenticità agroalimentare italiana

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Il Gruppo del Gusto della Stampa Estera ha scelto L’Aquila per celebrare il 20° Premio dedicato all’eccellenza agroalimentare italiana, un traguardo prestigioso che quest’anno rende omaggio a Marino Niola, antropologo e divulgatore scientifico, nella categoria “Divulgatore dell’autenticità agroalimentare italiana”.

Il contributo di Marino Niola all’antropologia della gastronomia

Marino Niola (nella foto Imagoconomica in evidenza) , nato a Napoli nel 1953, è un antropologo della contemporaneità, noto per i suoi studi sulle pratiche devozionali, le trasformazioni culturali legate alla globalizzazione e, soprattutto, per il suo contributo alla comprensione dei riti e simboli della gastronomia contemporanea.

Docente all’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli, Niola insegna discipline come Antropologia dei Simboli, Antropologia delle arti e della performance e Miti e riti della gastronomia contemporanea. È inoltre editorialista de La Repubblica, dove cura la rubrica “Miti d’oggi” sul Venerdì, e collabora con testate nazionali e internazionali come Il Mattino e Le Nouvel Observateur.

Tra i suoi numerosi saggi, si ricordano titoli come:

  • Si fa presto a dire cotto. Un antropologo in cucina (2009)
  • Homo dieteticus. Viaggio nelle tribù alimentari (2015)
  • Andare per i luoghi della dieta mediterranea (2017)
  • Mangiare come Dio comanda (2023).

Queste opere riflettono il suo impegno nel valorizzare la cultura alimentare italiana, esplorando le radici antropologiche e culturali che legano il cibo alle identità locali e nazionali.

Il Premio del Gruppo del Gusto

Il Premio del Gruppo del Gusto, giunto alla sua 20ª edizione, si propone di valorizzare e promuovere l’agroalimentare italiano a livello internazionale, grazie alla partecipazione di giornalisti esteri provenienti da 34 Paesi e 5 continenti. Marino Niola è stato selezionato per la sua capacità di divulgare l’autenticità e la tradizione agroalimentare italiana, combinando rigore scientifico e passione narrativa.

La cerimonia a L’Aquila

La premiazione si terrà sabato 23 novembre, alle ore 18, nella Sala ipogea del Consiglio Regionale d’Abruzzo, a L’Aquila. Durante l’evento, verranno premiate altre eccellenze del settore, tra cui:

  • Pasquale Imperato, azienda agricola “Sapori Vesuviani” (categoria “Produzione”);
  • Tenuta Vannulo (categoria “Esercizio legato all’alimentare da almeno 100 anni della stessa famiglia”);
  • Cooperativa Altopiano di Navelli (categoria “Consorzio/cooperative a difesa dei valori agroalimentari italiani”);
  • Associazione PIZZAUT (Premio speciale della giuria per l’inclusione lavorativa di giovani autistici).

L’importanza del riconoscimento

Il premio a Marino Niola sottolinea l’importanza di valorizzare le eccellenze italiane, non solo nella produzione agroalimentare, ma anche nella capacità di raccontare il legame profondo tra cibo, cultura e identità. L’impegno di Niola nel promuovere la dieta mediterranea e nel raccontare le tradizioni culinarie italiane lo rende una figura chiave nella diffusione internazionale del patrimonio enogastronomico italiano.

Grazie al suo lavoro, il professor  Niola contribuisce a consolidare l’immagine dell’Italia come culla di tradizioni culinarie uniche e radicate nella storia. Questo premio rappresenta un ulteriore riconoscimento del suo ruolo cruciale come ponte tra antropologia, cultura e divulgazione enogastronomica.

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