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Economia

Fnac Darty lancia un’Offerta pubblica di scambio su Unieuro: nasce un colosso europeo dell’elettronica

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Parte da Parigi la scalata a Unieuro, il gruppo italiano dell’elettronica di consumo con 570 negozi distribuiti in tutta la Penisola. Fnac Darty, con un fatturato di 7,9 miliardi di euro, ha lanciato un’offerta pubblica di scambio (opas) non concordata, con l’obiettivo di consolidare il settore europeo dell’elettronica, valutato circa 200 miliardi di euro e sotto la pressione di concorrenti come Amazon e le piattaforme asiatiche.

L’operazione, spiegata dal CEO di Fnac Darty Enrique Martinez, mira a creare un campione del settore con 10 miliardi di ricavi e sinergie per 20 miliardi. La proposta, del valore di 250 milioni di euro, è strutturata al 75% in cash e al 25% in azioni. Ogni azionista di Unieuro riceverebbe 12 euro per azione, con un premio del 42%: 9 euro in contanti e 0,1 azioni di nuova emissione di Fnac-Darty quotate a Parigi. L’offerta è condizionata al raggiungimento del 90% del capitale di Unieuro.

In cabina di regia dell’operazione c’è il finanziere ceco Daniel Kretinsky (nella foto in evidenza), principale azionista di Fnac Darty con il 29,9% tramite la holding Vesa Equity. A sostenerlo, Xavier Niel, proprietario di Iliad e maggiore singolo azionista di Unieuro con il 12,2%. Il management di Fnac Darty è fiducioso che l’offerta troverà favore tra i principali azionisti di Unieuro, tra cui Giuseppe Silvestrini (6,2%), Amundi (5,8%) e altri azionisti con un flottante del 74%, di cui Fnac Darty ha recentemente acquistato il 4,4%.

Se l’operazione andasse in porto, gli attuali azionisti di Unieuro si ritroverebbero con circa il 6% di azioni di Fnac Darty. Martinez ha sottolineato che “l’operazione ha un senso industriale”, indicando la conoscenza reciproca tra i gruppi come un elemento chiave per il successo della fusione.

L’offerta di Fnac Darty su Unieuro rappresenta una mossa strategica significativa nel panorama europeo dell’elettronica di consumo. La creazione di un gigante con 10 miliardi di ricavi potrebbe rafforzare la posizione dei due gruppi nel mercato, permettendo di affrontare meglio la concorrenza globale. I prossimi mesi saranno cruciali per vedere se l’operazione riceverà il sostegno necessario per andare a buon fine, segnando una nuova era per entrambe le aziende.

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Benzina ai minimi da gennaio, risparmio sul controesodo

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Rientri più sereni per chi in questi giorni si mette alla guida nel ritorno dalle ferie. Merito del crollo dei prezzi dei carburanti: la benzina non è mai stata così bassa dall’inizio dell’anno, mentre il gasolio ha raggiunto un minimo che non si vedeva da luglio 2023. La verde al self, in particolare, costa 1,811 euro al litro, mentre il gasolio 1,686 euro. La buona notizia è stata segnalata dal sito Quotidiano Energia, sulla base dei dati comunicati dai gestori all’Osservaprezzi del Mimit aggiornati al 25 agosto. Gli automobilisti risparmieranno anche sul servito: il prezzo della benzina è sceso a 1,958 euro al litro, mentre il 9 agosto costava 1,980 euro, oltre 2 centesimi in più.

Il diesel invece è calato da 1,860 a 1,833 euro al litro, con un risparmio di quasi 3 centesimi. Si preannuncia un controesodo molto più conveniente rispetto all’anno scorso. Un pieno da 50 litri di benzina al self oggi costa circa 6,55 euro in meno rispetto a 12 mesi fa, se si prende come riferimento il prezzo medio dei carburanti registrati dal Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica di agosto 2023. E con il diesel il margine rispetto all’anno scorso è anche maggiore: circa 7,35 euro in meno su un pieno.

Ma la convenienza si nota anche solo facendo il confronto con i prezzi di qualche settimana fa, come ha segnalato il presidente dell’Unione nazionale consumatori, Massimiliano Dona: “Se si confrontano questi i prezzi con quelli rilevati dal Mimit il 2 agosto, oggi la benzina costa 1,90 euro in meno per un pieno di 50 litri, mentre per il gasolio il risparmio è di 2 euro e 15 centesimi a rifornimento”. Meglio approfittarne finché si può, perché l’idillio rischia di sfumare velocemente a causa delle tensioni internazionali. I prezzi bassi alla pompa di benzina sono il risultato del tonfo del petrolio della scorsa settimana, arrivato a costare 71,80 dollari al barile.

Ma i costi dell’oro nero hanno ricominciato a salire durante il week end e hanno subito un’impennata (+2,3%) dopo che il governo di Khalifa Haftar, che controlla l’est della Libia, ha annunciato lo stop alla produzione e all’export di petrolio. Il motivo è legato alle divisioni interne del Paese, scisso tra il governo di Bengasi, controllato dalla Camera dei rappresentanti ma di fatto in mano al generale Haftar, e il governo di unità nazionale riconosciuto dall’Onu, che controlla il nord ovest e Tripoli. Quest’ultimo ha cercato di sostituire il governatore della Banca Centrale di Libia senza l’approvazione del governo dell’est, che ha risposto bloccando le esportazioni di greggio.

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Caldo spinge i consumi elettrici, record dal 2015

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Il caldo di questa estate che non accenna a diminuire fa risalire i consumi di energia elettrica degli italiani. A luglio nel nostro Paese il fabbisogno è stato pari a 31,3 miliardi di kWh. Si tratta di un record, come fa sapere Terna, visto che un numero così alto non si vedeva dal 2015, quando – era sempre il mese di luglio – le alte temperature fecero persino chiudere un rifugio sul Monte Bianco, a quasi 4.000 metri. Nove anni fa il dato più alto dei consumi elettrici fu toccato il giorno 21 luglio, alle ore 16. Quest’anno il record è stato registrato il 19 luglio, tra le 14 e le 15, con un picco massimo di domanda pari a circa 57,9 GW.

I consumi di energia elettrica salgono così del 4,5% rispetto al luglio del 2023, quando, complice l’aumento in bolletta, gli italiani fecero maggiori sacrifici e il dato fu negativo rispetto all’anno precedente (-3,4%). Ma la variazione positiva è stata dovuta anche ai due giorni lavorativi in più che ci sono stati nel 2024 (23 a fronte di 21). La temperatura media è stata sostanzialmente in linea rispetto a luglio 2023 ad eccezione dell’ultima settimana del mese, durante la quale la temperatura media ha superato di 3 gradi quella dello stesso periodo dello scorso anno.

Ad agosto, invece, il trend è inferiore. Questo perché il grosso dei consumi energetici è dato dalle industrie e ad agosto, nonostante la morsa del caldo non abbia ancora allentato la presa, molte aziende sono chiuse o riducono il proprio personale in presenza.

Terna assicura però che le elevate temperature raggiunte “non hanno comunque intaccato i margini di adeguatezza, che rimangono positivi”. Resta quindi saldo l’equilibrio tra domanda e offerta. Il dato destagionalizzato e corretto dagli effetti di calendario e temperatura segna infatti una variazione più contenuta, pari al +2,6% rispetto a luglio 2023. A livello territoriale, la variazione non è stata uguale su tutto il territorio. Risulta infatti positiva al Nord (+7,4%) e al Centro (+3,3%), pressoché stazionaria al Sud e nelle Isole (-0,3%). Infine Terna fa sapere che lo scorso mese la domanda di energia elettrica italiana è stata soddisfatta per l’86,4% dalla produzione nazionale e per la quota restante (13,6%) dal saldo dell’energia scambiata con l’estero.

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Luglio riaccende la cig, +28% le richieste sull’anno

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Dopo il picco raggiunto con la pandemia e il calo registrato con la ripresa produttiva seguita alla fine del Covid torna a salire la cassa integrazione: a luglio le aziende hanno chiesto all’Inps 36,6 milioni di ore di cassa con un aumento del 3,71% su giugno e del 27,9% sull’anno. Se il dato di luglio potrebbe essere legato alla decisione de parte delle aziende che sono in difficoltà di fare uno stop in prossimità della pausa estiva e all’utilizzo della causale sugli eventi meteo (si può avere l’ammortizzatore a fronte di temperature di almeno 35 gradi anche solo percepiti), quello sui primi sette mesi dell’anno registra comunque una crescita significativa.

Tra gennaio e giugno 2024 sono arrivate richieste all’Inps per 292,77 milioni di ore, con un aumento del 20,12% rispetto allo stesso periodo del 2023 e una crescita significativa soprattutto per la cassa integrazione ordinaria con oltre 170,5 milioni di ore chieste (+44,08%). Le richieste di cassa integrazione ordinaria, quella che può essere concessa quando la crisi dell’azienda dipende da eventi temporanei (mancanza di commesse, eventi meteorologici ecc.) ed è certa la ripresa dell’attività produttiva, sono aumentate soprattutto per l’industria con 166 milioni (+51,30%) mentre l’edilizia segnala una flessione (con 13,55 milioni di ore chieste, -9,08%).

Cala invece del 3,73% la richiesta di cassa straordinaria, quando l’azienda deve fronteggiare processi di ristrutturazione (cambiamento di tecnologie), riorganizzazione (cambiamento dell’organizzazione aziendale), riconversione (cambiamento dell’attività) o in caso di crisi aziendale, a poco più di 105 milioni di ore. “Già da gennaio abbiamo segnalato la presenza di crisi importanti – spiega Rossella Marinucci Area mercato del lavoro della Cgil – le grandi aziende e sono al ministero delle Imprese e del Made in Italy, le altre appena franano i carichi di lavoro si affidano alla cassa. Dall’andamento delle Regioni vediamo che i settori più in sofferenza sono quelli dell’automotive e della moda”.

In Piemonte nei primi sette mesi la cassa integrazione ordinaria è aumentata del 66% da 10,9 a 18,2 milioni mentre in Toscana è cresciuta dell’84,8%, da 6,9 milioni a 12,75. Le imprese appaiono prudenti e chiedono ore di cassa che poi ln gran parte non saranno utilizzare. Il tiraggio, ovvero l’uso effettivo della cassa, cala ancora e nei primi cinque mese è stato al 21,56% del totale delle ore chieste con poco più di un’ora su cinque chieste effettivamente utilizzata. Ma la preoccupazione c’è con la produzione industriale che secondo l’Itstat nel secondo trimestre è calata dello 0,8% rispetto al primo. “E’ evidente – spiega la segretaria confederale della Uil Ivana Veronese – che le aziende non considerano il mercato stabile e abbiano incertezze sul proprio futuro, sostenere che l’occupazione va benissimo senza indagare la qualità della stessa a partire dalla moltitudine dei contratti a termine che poi sfociano nella disoccupazione e raccontare che l’economia va benissimo senza cogliere i segnali di incertezza e le difficoltà che vivono le imprese sono le favole che ci vengono ripetute ma che non rappresentano il Paese reale”.

Segnali di incertezza arrivano anche sul fronte delle domande di disoccupazione: l’Inps ha ricevuto a giugno 177.365 domande di disoccupazione tra Naspi e Discoll con un aumento del 9% rispetto allo stesso mese del 2023 mentre nei primi sei mesi dell’anno le domande di disoccupazione arrivate all’Istituto sono state 843.635 con un aumento del 5,5% rispetto allo stesso periodo del 2023. “Bisogna riportare a Palazzo Chigi – ha detto ancora Marinucci – il tavolo sulle crisi industriali. Dobbiamo trovare insieme risposte. Un confronto sulla politica industriale ora non c’è”.

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