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Cronache

Ferragni, i pm indagano anche sulle uova di Pasqua

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Si allarga anche alle uova di Pasqua l’indagine della Procura di Milano per far luce sul caso del pandoro Balocco griffato Chiara Ferragni, venduto l’anno scorso a un prezzo di gran lunga superiore a quello di mercato, lasciando intendere che acquistandolo si sarebbe contribuito a sostenere le cure dei bambini ricoverati all’Ospedale Regina Margherita di Torino. Il procuratore aggiunto Eugenio Fusco ha firmato una seconda delega, affidando al Nucleo di Polizia Economico Finanziaria della Gdf, già incaricato per la vicenda del dolce natalizio, il compito di raccogliere il materiale anche sulle uova di cioccolato di Dolci Preziosi. L’azienda con sede a Bari, che nei giorni scorsi ha chiarito di non avere alcuna responsabilità nell’affaire, aveva versato alla nota influencer un cachet di 500 mila euro nel 2021 e 700 mila euro nel 2022, a fronte di una donazione fatta autonomamente dalla stessa azienda di 36 mila euro all’associazione ‘I bambini delle Fate’.

E Chiara Ferragni in uno dei post, ora cancellati, sulle sue pagine social, aveva scritto un messaggio invitando ad usare la “Pasqua per fare del bene”, aggiungendo che si trattava di un “progetto speciale” a favore di una “impresa (…) che dal 2005 si occupa di sostenere famiglie con autismo e altre disabilità”. In questo secondo caso, però, il prezzo delle uova pasquali non era maggiorato, come è accaduto per il pandoro “Pink Christmas”. Nei prossimi giorni le Fiamme Gialle dovranno valutare le carte dell’Antitrust che saranno acquisite a breve, quelle relative all’istruttoria che si è conclusa con una maxi multa per pratica commerciale scorretta sia per le due società dell’imprenditrice cremonese sia per l’azienda piemontese, che peraltro ha registrato perdite dalla campagna promozionale del pandoro rosa.

Ma intanto l’aggiunto Fusco ha avuto un colloquio con il procuratore Marcello Viola in merito all’inchiesta. Al vaglio c’è l’ipotesi di reato da contestare, che potrebbe essere verosimilmente la frode in commercio e non la truffa, come ipotizzano le due denunce gemelle, su pandoro e uova, del Codacons e di Assourt che hanno portato all’apertura del fascicolo. E solo successivamente ci saranno le eventuali iscrizioni nel registro degli indagati. Nei prossimi giorni verranno inoltre presi contatti quanto meno con la Procura di Cuneo, una delle 104 a cui sono stati depositati i due esposti e che ha aperto un proprio fascicolo. Si potrebbe infatti porre anche il tema della competenza territoriale ad indagare: una questione complessa su cui potrebbero influire sia i tempi delle iscrizioni, ossia quale Procura iscriverà per prima, sia il luogo di residenza dei soggetti coinvolti.

Al quarto piano del palazzo di giustizia milanese intanto si sono presentati anche oggi i legali dello studio Bana, per assicurare la massima collaborazione al fine di chiarire le vicende sulle quali di certo Chiara Ferragni – quando inquirenti e investigatori avranno un quadro completo dei fatti – sarà convocata per dare spiegazioni sulle due operazioni che, al momento, sembrano campagne di marketing mascherate come iniziative di beneficienza. Motivo per il quale l’imprenditrice, che ha chiesto scusa parlando di “un errore di comunicazione”, e finita nella bufera. L’influencer sarebbe molto provata, anche se starebbe continuando a lavorare, e a chi le è vicino avrebbe confidato di voler rimanere tranquilla accanto alle persone che le sono più care. Un silenzio che si riflette soprattutto sui social, quegli stessi che sono stati per lei una miniera d’oro e dai quali, adesso, sembra essere sparita.

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In Cassazione definitive le condanne per la morte di Desiree

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La Cassazione ha reso definitive le ultime due condanne relative all’omicidio di Desiree Mariottini, la ragazza di 16 anni trovata morta il 19 ottobre del 2018 in uno stabile abbandonato a Roma, nel quartiere San Lorenzo. Nel procedimento erano coinvolti quattro cittadini di origini africane. Contestati, a seconda delle posizione, omicidio, violenza sessuale, cessione di droga e morte come conseguenza di altro reato. I Supremi giudici hanno confermato quanto stabilito nel secondo processo di appello, nel maggio scorso. In particolare diventano definitive le pene a 22 anni per Mamadou Gara, e a 26 anni per Alinno Chima. Era già definitive le condanne a 18 anni per Brian Minthe e all’ergastolo per Yousef Salia.

– Il secondo processo di appello era stato disposto dalla Cassazione che nell’ottobre del 2023 laveva fatto cadere alcuni capi di imputazione. Secondo quanto accertato dagli inquirenti la 16enne morì a causa di un mix letale di sostanze stupefacenti. La ragazzina, vittima anche di abusi, fu trovata senza vita in un immobile abbandonato nel quartiere San Lorenzo. Una fine tragica in cui fu determinate, secondo l’accusa portata avanti dalla Procura, il ruolo svolto dai quattro. In base all’impianto accusatorio, gli imputati non fecero sostanzialmente nulla, non mossero un dito per cercare di salvare la vita alla ragazza originaria della provincia di Latina. Nelle motivazioni dell’appello bis i giudici parlarono di “volontarietà della azione criminosa” posta in essere ai danni di Desirèe “dagli imputati Salia, Alinno e Minteh, i quali, a fronte della ormai gravissima condizione di debilitazione psico-fisica in cui versava la minore, che a quel punto già appariva in stato di incoscienza, non solo non prestavano il soccorso dovuto alla persona offesa, mostrando un’assoluta indifferenza verso la vita della giovane vittima, ma si opponevano fermamente e minacciavano chi suggeriva l’intervento di un’ambulanza che avrebbe impedito la morte della ragazza”.

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Neonati morti, ‘Chiara deve andare in carcere’

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domiciliari non bastano, Chiara Petrolini deve andare in carcere: la decisione è del tribunale del Riesame di Bologna che due giorni dopo l’udienza ha accolto l’appello della Procura di Parma. Non è però esecutiva, ma resta sospesa come sempre avviene in questi casi: bisogna attendere prima il deposito delle motivazioni e poi l’esito dell’eventuale, ma praticamente certo, ricorso della difesa in Cassazione. Non succederà prima di almeno un paio di mesi. “Prendo atto della decisione. Come già detto, a mio avviso, gli arresti domiciliari sono in realtà adeguati al contenimento delle esigenze cautelari proprie di questa vicenda (su cui unicamente occorre concentrarsi).

D’altro canto la misura cautelare non può e non deve mai rappresentare un’anticipazione della pena”, ha detto il difensore della ragazza, l’avvocato Nicola Tria. E’ un punto segnato dall’accusa, che ha chiesto la restrizione più severa della libertà, contestando alla 21enne l’omicidio premeditato e la soppressione dei cadaveri dei due neonati partoriti il 12 maggio 2023 e il 7 agosto 2024 e poi ritrovati a distanza di circa un mese l’uno dall’altro, nel giardino della villetta dove viveva la famiglia, a Vignale di Traversetolo.

Due gravidanze tenute nascoste a tutti, familiari ed ex fidanzato compreso. L’avvocato del ragazzo, Monica Moschioni, si limita a dire: “Attendiamo di sapere quale sarà la decisione definitiva, qualora dovesse essere proposto ricorso per Cassazione dalla difesa di Chiara. Ovviamente, come tutti, non conosciamo le motivazioni a sostegno di questa decisione e per ora Samuel dovrà metabolizzare questa notizia”. La giovane era agli arresti dal 20 settembre, quando il Gip di Parma aveva accolto parzialmente le richieste cautelari della Procura, che con il procuratore Alfonso D’Avino e il pm Francesca Arienti coordina le indagini dei carabinieri.

Le prime volte che è stata sentita, all’epoca a piede libero, la ragazza ha ammesso che i bambini erano suoi, ha parlato del silenzio sulle gravidanze, ha detto che il bambino partorito ad agosto era nato morto, ma gli esami medico legali hanno chiarito che ha respirato e sarebbe morto dissanguato, mentre quelli sui resti del primogenito sono ancora in corso.

Poi, nelle due occasioni successive, gli interrogatori dopo l’esecuzione della misura, si è avvalsa della facoltà di non rispondere. E il 15 settembre non si è presentata in udienza a Bologna, dove si discuteva dell’adeguatezza dei domiciliari. In quell’occasione la difesa ha ribadito l’insussistenza del rischio di reiterazione del reato. Secondo la Procura, invece, gli arresti a casa con la famiglia non sono sufficienti perché non si può affidare proprio a quei genitori che non si sono mai accorti di quello che avveniva nelle mura domestiche l’efficacia della misura.

A sostegno di questa tesi è stato sottolineato anche che Chiara avrebbe continuato a mentire, anche alle amiche, anche quando ormai, a settembre, le notizie su quanto era successo erano iniziate a circolare sui mezzi di informazione. Negli atti che la Procura ha presentato al Riesame sarebbero state ricapitolate proprio queste bugie che la 21enne ha detto, riferite dalle stesse amiche, sentite a verbale dagli inquirenti.

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Cdr Gazzetta Mezzogiorno chiede all’editore di ritirare 29 licenziamenti

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“Il comitato di redazione della Gazzetta del Mezzogiorno ha ricevuto con sorpresa la comunicazione dell’avvio della procedura ex legge 223/91 per l’iter che porterebbe ai licenziamenti di 29 giornalisti del nostro quotidiano. Il sindacato interno della “Gazzetta” respinge la procedura con forza, auspicando che si valuti sin da subito ogni strada alternativa per tutelare i livelli occupazionali”. Il Cdr lo scrive in una nota con riferimento all’avvio delle procedure di licenziamento di 29 giornalisti del quotidiano.

“Pur rilevando – è detto nel comunicato – che era in corso una interlocuzione con la task force della Regione Puglia e Basilicata, e tenuto conto del lavoro congiunto tra il Cdr, le assostampa e la Fnsi che solo un anno fa ha consentito – con un accordo sottoscritto da tutte le parti, tra cui Edime e il Ministero del Lavoro – di evitare scelte drammatiche, preservando l’organico dei giornalisti grazie al ricorso agli ammortizzatori sociali, il Cdr formula un appello sentito perchè la procedura sia ritirata dall’azienda, in un contesto di rinnovata responsabilità collettiva.

L’alternativa ai licenziamenti, pur in un quadro di drammatica crisi del settore editoriale, passa dallo studio e dall’approfondimento di ogni strumento legislativo a tutela dei posti di lavoro (come prefigurato in maniera esplicita dal presidente della Task force della Regione Puglia Leo Caroli), o da un auspicabile rinnovo dell’accordo vigente, a partire dal punto 5 in vigore fino al 31 dicembre 2024 (sottoscritto da tutte le parti)”.

“In questo percorso da fare in tempi ristrettissimi il Cdr – conclude la nota – si augura di trovare interlocutori responsabili e concreti, perchè l’alternativa ad un accordo a portata di mano – il cui perimetro potrebbe essere definito con chiarezza – è il lasciare nel dramma sociale e reddituale ventinove giornalisti con le loro famiglie. Per questo, concludiamo invitando tutti ad un immediato ritorno ai tavoli di concertazione in continuità con il lavoro congiunto nel 2023 che ha consentito di sventare ben 46 licenziamenti”.

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