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Cronache

Femminicidio Matteuzzi, confermato ergastolo per l’ex

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Un’ora esatta. E’ il tempo impiegato dalla Corte d’assise d’appello di Bologna, presieduta dal giudice Domenico Stigliano, per confermare l’ergastolo inflitto in primo grado all’ex calciatore e modello 28enne Giovanni Padovani, che il 23 agosto del 2022 uccise a calci, pugni, martellate e colpi di panchina l’ex fidanzata Alessandra Matteuzzi, 56 anni, sotto casa sua. Un delitto agghiacciante, che sconvolse una intera città. Padovani era in aula, chiuso in una delle due gabbie ad aspettare l’esito della sentenza: in piedi, con il volto davanti alle sbarre, è rimasto impassibile, prima di essere portato via in pochi secondi da due agenti della polizia penitenziaria.

La sorella di Alessandra, Stefania Matteuzzi, che era al telefono con lei mentre Padovani metteva in atto il suo brutale delitto, è scoppiata a piangere davanti alle telecamere: “E’ stata fatta giustizia, ringrazio questa Corte, oggi è stato un giorno difficile. Padovani non ha avuto rispetto nemmeno oggi per mia sorella, perché non si possono dire quelle cose che ha detto, ovvero che ‘vive due vite’ la sua e quella di mia sorella. Mia sorella non c’è più. Io chiedo solo giustizia, come oggi è stato fatto”. Prima che la Corte si ritirasse, come fece anche al termine della discussione durante il processo di primo grado il 28enne ha preso la parola per rilasciare dichiarazioni spontanee.

“Avendo rilevato che non ho niente – ha detto l’imputato – merito l’ergastolo, sono chiaramente pentito e chiedo scusa alla famiglia di Alessandra e alle istituzioni. Mi ritrovo qui sicuramente con ancora dei problemi psichiatrici, anche se qualcuno dice che non è così. Ho una ossessione per Alessandra, penso a lei tutti i giorni”. Durante il processo di primo grado una perizia aveva stabilito che Padovani era in grado di intendere e volere. E anche la richiesta del suo legale, Gabriele Bordoni, di acquisire una risonanza magnetica fatta dopo la prima sentenza, dalla quale emergerebbero alcuni anomalie (una cisti da 10 millimetri), è stata rifiutata oggi dalla Corte d’assise d’appello.

“Sono qui in condizioni migliori rispetto a come stavo nei mesi precedenti, proprio grazie alla forza che Alessandra mi dà per andare avanti, non solo per mia madre, anche perché altrimenti mi sarei suicidato”, ha detto ancora Padovani. La Procura generale, con la sostituta pg Adele Starita e l’avvocato generale Ciro Cascone, aveva chiesto la conferma dell’ergastolo e di tutte le aggravanti contestate (stalking, vincolo del legame affettivo, motivi abietti e premeditazione). “Padovani non era folle quando ha ucciso Matteuzzi e non è folle adesso. La decisione di ucciderla non è sul momento – ha sottolineato Cascone – ma è premeditata. Padovani cerca il controllo totalizzante su Alessandra e quando lei cerca di sottrarsi lui non glielo permette. La decisione in lui di ucciderla si sedimenta nel corso dei mesi. Per lui l’unica via d’uscita è l’eliminazione fisica di Alessandra. Questa è la cronaca di una morte annunciata”.

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Cronache

Napoli, l’omicidio di Arcangelo Correra: una sfida mortale tra amici e un’arma nascosta

Arcangelo Correra, 18 anni, è stato ucciso da un colpo di pistola sparato dal suo amico Renato Caiafa durante una tragica sfida tra ragazzi. Secondo l’ordinanza del gip, l’arma, una calibro 9×21 rubata e senza tappo rosso, non sarebbe stata trovata per caso. Il giudice solleva dubbi sulle dichiarazioni di Caiafa, ora in carcere, e ipotizza un coinvolgimento criminale dietro il possesso della pistola. Le indagini proseguono per verificare se l’accusa possa includere l’omicidio con “dolo eventuale”.

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“Spara! Sparami qui! Vediamo se sei capace”. Devono essere state più o meno queste, secondo la ricostruzione degli inquirenti, le parole rivolte da Arcangelo Correra al suo amico Renato Caiafa, che brandiva la pistola che poi lo ha ucciso. “Arcangelo lo sfidava a sparare, mostrando il petto… tutti guardavano nella loro direzione e, una volta esploso il colpo, gli hanno urlato ‘cosa hai fatto'”: è da brividi il racconto contenuto nell’ordinanza con la quale il gip di Napoli ha disposto il carcere per il 19enne Caiafa reo confesso dell’omicidio dell’amico di 18 anni. Arcangelo è stato ferito a morte all’alba di sabato scorso in una piazzetta nel cuore di Napoli e poi è morto verso le 11 nell’ospedale Vecchio Pellegrini dove lo stesso Caiafa e un altro ragazzo l’avevano accompagnato in sella a uno scooter.

Il 19enne ha più volte sostenuto di essersi reso conto che quella era un’arma vera e propria solo “al momento dello sparo” e solo dopo avere visto “il sangue di Arcangelo a terra”. E, afferma il gip, sebbene possa ritenersi plausibile l’ipotesi del gioco finito in tragedia (come riferito anche da una fonte confidenziale), è invece inverosimile che, come sostenuto dal ragazzo, l’arma sia stata trovata per caso, sopra la ruota di una macchina parcheggiata. A Caiafa per ora viene contestato il porto, la detenzione e la ricettazione della pistola che avrebbe sparato, una calibro 9×21 rubata, con la matricola cancellata, senza il tappo rosso e con il caricatore maggiorato, nascosta e recuperata solo grazie alla madre dell’indagato. Un’arma (“forse destinata all’uso predatorio”) che Caiafa avrebbe scorto sullo pneumatico di un’auto parcheggiata e poi preso, non sapendo se vera o giocattolo.

Ma, per il giudice, solo chi sapeva che era lì poteva recuperarla nelle prime e più buie ore di quel drammatico sabato, in quanto si tratta di un’arma nera, nascosta tra una ruota anch’essa nera e la carrozzeria della vettura. In sostanza, secondo il gip, l’arma era già nella disponibilità di quei quattro ragazzi. “Nessuno – sostiene il magistrato – avrebbe lasciato un’arma carica, considerato il suo valore… la criminalità tende ad acquisire il possesso di questo tipo di armi… possono essere usate mille e mille volte” perché “clandestine, difficilmente ricollegabili ai delitti e ai loro autori”.

All’autorità giudiziaria, inoltre, appare quantomeno strana la circostanza che Caiafa, dopo avere accompagnato l’amico moribondo in ospedale su uno scooter – risultato peraltro in uso anche a soggetti legati alla camorra – malgrado sconfortato abbia trovato la lucidità di chiedere allo zio di recuperare la pistola lasciata in piazza, spingendolo praticamente a commettere un reato. “Che senso avrebbe avuto – sottolinea il gip – recuperare l’arma se fosse stata rinvenuta per caso e non fosse stata riconducibile proprio a quei ragazzi e a chi quei ragazzi li aveva armati”?.

In sostanza, “tutta la condotta post factum tenuta da Caiafa dimostra che quell’arma non era stata trovata per caso”. Circostanza peraltro affermata solo da lui e non anche dagli altri amici presenti. Il fermo non è stato convalidato per insussistenza del pericolo di fuga, visto che il giovane si è presentato spontaneamente in Questura, anche se è ipotizzabile invece la reiterazione del reato – dall’ordinanza emerge che aveva la possibilità di reperire armi “dagli stessi circuiti criminali che lo hanno, già nel recente passato, armato” – e l’inquinamento probatorio: il carcere, a differenza dei domiciliari, gli preclude la possibilità di entrare in contatto con i suoi amici (erano in quattro, anche un cugino omonimo della vittima e si sono mostrati reticenti) per influenzarne la versione dei fatti.

E, come dimostrerebbero lo spostamento dell’arma, i vestiti di cui si è liberato e la cancellazione delle eventuali impronte sull’arma, Caiafa si sarebbe già adoperato per nascondere le prove agli inquirenti. Le indagini proseguono anche per capire quale sia l’ipotesi di reato da contestate in relazione all’omicidio che non si esclude possa essere di tipo volontario con “dolo eventuale”.

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È morto il sociologo Franco Ferrarotti

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È morto a Roma a 98 anni il sociologo Franco Ferrarotti (nella foto Imagoeconomica in evidenza). Professore di sociologia all’università La Sapienza di Roma fino al 2002, è stato anche deputato nel Parlamento per la terza legislatura, eletto per il Movimento di Comunità. Nel 2005 è stato nominato Cavaliere di gran croce. Ferrarotti era nato a Palazzolo Vercellese il 7 aprile del 1926. A confermarne la morte il professore emerito di Comunicazione Mario Morcellini. Nei giorni scorsi Ferrarotti era stato operato a Roma e, a quanto si apprende, l’esito dell’operazione era stato buono.

Ferrarotti ha insegnato in numerose università straniere, specialmente nordamericane. “Ma in Italia tutti collegano la parola sociologia al suo nome” sottolinea Morcellini. Ferrarotti è stato fra i fondatori del Consiglio dei Comuni d’Europa a Ginevra nel 1949; direttore dei progetti di ricerca sociologica presso l’Oece (ora OCSE) a Parigi nel 1958-59. Fra le sue opere principali, Sindacati e potere (1954); La protesta operaia (1955); La sociologia come partecipazione (1961); Max Weber e il destino della ragione (1965); Trattato di sociologia (1968); Roma da capitale a periferia (1970); La sociologia del potere (1972); Vite di baraccati (1974); Studenti, scuola, sistema (1976); Giovani e droga (1977). Fondatore, con Nicola Abbagnano, dei Quaderni di sociologia, ha diretto anche la rivista La critica sociologica.

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“Appalti irregolari”: arrestati 2 carabinieri e imprenditore

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Due carabinieri (tra cui uno attualmente in quiescenza) e un imprenditore edile, operante nel comune di San Genesio e Uniti (Pavia), sono stati arrestati questa mattina dalla Guardia di Finanza di Pavia nell’ambito di un nuovo filone dell’indagine della Procura per presunti appalti irregolari. L’inchiesta, ribattezzata “Clean II”, ha preso le mosse dagli esiti di alcune perquisizioni compiute nell’ambito dell’attività investigativa “Clean I” per la quale ieri sono stati notificati 15 avvisi di chiusura indagini. Le Fiamme Gialle stanno operando congiuntamente all’Arma dei carabinieri.

“Contestualmente – sottolinea una nota della Procura di Pavia -, sono in corso di esecuzione perquisizioni, acquisizioni documentali – sia presso persone giuridiche (enti pubblici, studi professionali e società) sia persone fisiche (pubblici ufficiali. legali rappresentanti di società, professionisti) – nonché audizioni di persone informate, al fine di ricercare ulteriori prove e riscontri”. “L’analisi dei dispositivi sequestrati a un militare, il cui nominativo era emerso come collegato a soggetti emersi nelle predetta indagine – continua il comunicato -, ha permesso di accertare la sussistenza di un sistema corruttivo particolarmente radicato, con asservimento della funzione pubblica a fini personali e con compimento di atti contrari ai doveri di ufficio in cambio di molteplici favori. Particolare allarme ha destato lo sviamento della funzione dei due militari arrestati, in danno di una ex fidanzata, vessata anche attraverso l’abuso dei poteri dei pubblici ufficiali”.

In tale sistema, particolare attenzione è stata rivolta alle “vicende relative alla localizzazione di un’area all’interno del comune di San Genesio in cui (oltre ad alcune irregolarità urbanistiche, in cui risultano coinvolti anche esponenti dell’amministrazione comunale) si è inserita un’ulteriore vicenda corruttiva. Le indagini, infatti, hanno permesso di accertare come un imprenditore di San Genesio abbia accordato un prezzo di acquisto di particolare favore a uno dei due carabinieri arrestati, in cambio della garanzia della immunità dei controlli nel cantiere”. Risultano iscritte nel registro degli indagati anche altre persone, tra esponenti politici, imprenditori e professionisti. Le indagini proseguono e la Procura ha annunciato che “continueranno nelle prossime settimane con ulteriori attività istruttorie”.

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