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Economia

Fastweb lancia il suo supercomputer e sfida Tim nell’Ia

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Fastweb lancia il suo Supercomputer dedicato all’intelligenza artificiale al servizio delle imprese e della Pa, un ‘guanto di sfida’ per Tim Enterprise. “Siamo già un player di riferimento nel settore business, come lo è Tim del resto: sarà una bella competizione, accesa come sempre – commenta il ceo Walter Renna – anche se sui temi di Intelligenza artificiale, per quel che io sappia, siamo più avanti, perchè siamo partiti ormai un anno fa e oggi mettiamo a terra questa strategia, e speriamo di accelerare il più possibile”. Renna guarda anche all’acquisizione di Vodafone Italia che va avanti secondo le tempistiche previste (entro il primo trimestre 2025 dovrebbe arrivare la risposta dell’Antitrust italiano) e l’IA sarà un driver di crescita anche per la nuova Fastweb.

NeXXt AI Factory, il primo e più potente supercomputer di un’azienda privata (ma a disposizione anche della PA) dedicato all’Intelligenza artificiale generativa ha casa a Pontesanpietro (Bergamo), nel Campus di Aruba (200.000 m² con un livello di sicurezza certificato al massimo livello). Parlerà italiano, ovvero si dedicherà a sviluppare MIIA (Modello Italiano Intelligenza Artificiale), avrà così un modello culturale che saprà comprendere meglio le domande delle Pmi italiane. Gli altri pilastri della strategia sono il “controllo totale sui dati, custoditi in Italia; cybersicurezza e governance che significa trasparenza e rispetto delle regole”. L’offerta commerciale partirà a fine anno ma Fastweb ha già stretto alcuni accordi, in particolare quello quinquennale con Mondadori.

Per le ulteriori fasi di addestramento del linguaggio del Supercomputer intervengono anche Bignami Editori e Istat (Istituto Nazionale di Statistica) che hanno creato il più grande e affidabile dataset in lingua italiana, con 1.500 miliardi di token, equivalenti a 11 milioni di libri e sono state strette collaborazioni con La Sapienza di Roma e l’Università degli Studi di Milano-Bicocca. “Il modello di business è totalmente aperto, vogliamo dare alle aziende e alla Pa la possibilità di decidere a che livello investire: possono avere solo spazio nel cloud, c’è chi vuole il nostro modello linguistico e chi, auspichiamo, vorrà creare con noi applicazioni verticali” spiega Renna che non dà dettagli finanziari sull’investimento, ma ricorda che “fa parte di quel 25% che ogni anno investiamo in infrastrutture”. “Ci aspettiamo – in termini invece di ricavi – di superare la doppia cifra in tre anni, è un mercato che cresce molto rapidamente e che oggi vale 500 milioni ma che ci aspettiamo arrivi a 2 miliardi in 5 anni”.

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Economia

Meno opere incompiute, ma a fine 2023 ancora 266

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Dalla Tangenziale est di Vibo Valentia alla scuola materna di Abbiategrasso, passando per la realizzazione di un autodromo ad Arborea e la realizzazione di una nuova unità di terapia intensiva cardiologica a Ostuni. Ma anche case popolari, piscine, palazzetti dello sport, messa in sicurezza di ex conventi, cinema, porti, case di riposo, fognature. L’elenco delle opere pubbliche incompiute sparse sul territorio italiano è lungo e variegato. Dopo anni di sostanziale stabilità, il numero è però calato significativamente, passando dai 365 del 2022 ai 266 del 2023, con un deciso calo pari al 37%. A fare i conti è il Centro Studi Enti Locali che ha elaborato i dati pubblicati dalle singole regioni, che restituiscono la situazione al 31 dicembre 2023. Diminuito significativamente anche l’importo complessivo degli interventi aggiornato all’ultimo quadro economico delle opere censite, il cui valore attuale si attesta intorno a 1,6 miliardi, contro i 2,3 dell’anno precedente.

Per opere incompiute, sottolinea Veronica Potenza autrice della ricerca, si intendono lavori il cui termine contrattualmente previsto per l’ultimazione è passato e che sono rimasti in stallo per problemi come mancanza di fondi, cause tecniche, sopravvenute nuove norme tecniche o disposizioni di legge, fallimento, liquidazione coatta e concordato preventivo dell’impresa appaltatrice, risoluzione o recesso dal contratto e mancato interesse al completamento da parte della stazione appaltante, dell’ente aggiudicatore o di altro soggetto aggiudicatore. In linea con gli anni precedenti, i lavori incompiuti sono prevalentemente concentrati nel Mezzogiorno. Le stazioni appaltanti delle 266 opere incompiute coincidono nel 64% dei casi con delle amministrazioni pubbliche del sud e delle isole (171).

Per completarle serviranno più di 600 milioni di euro. Le opere incompiute localizzate nelle regioni del centro Italia sono 52, esattamente come l’anno precedente, mentre quelle nel nord del Paese sono passate da 40 a 37. Le restanti sei opere in stallo, spiega il Centro studi enti locali, sono di competenza delle amministrazioni centrali. In Sicilia il calo più repentino: 47 contro 122 dell’anno precedente che può far supporre, secondo il Centro studi enti locali, qualche possibile motivazione legata a cancellazioni tecniche o a riconversioni di vecchie opere. Così come gli anni passati, anche nel 2023 è il Molise a detenere il record del più alto importo pro-capite degli oneri per l’ultimazione dei lavori pari a 181 euro pro-capite. Un dato distante dalla media nazionale di 22 euro ma più che dimezzato rispetto ai 422 euro dell’anno precedente. Seguono la Basilicata, che ha censito oneri per ultimazione lavori pari a 65 euro ad abitante e la Sardegna con 59 euro che si confrontano con i 139 dello scorso anno.

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Economia

Addio al Cid, ma consumatori scettici sulla app Rc auto

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No all’addio al vecchio Cid cartaceo sostituito da una app sul telefonino. Consumatori, periti e agenti assicurativi avvertono sui rischi del nuovo meccanismo digitale che potrebbe mandare definitivamente in soffitta il modulo blu, scrupolosamente conservato da ogni automobilista a bordo della propria vettura. Rispondendo alla consultazione avviata dall’Ivass per la modifica del regolamento del 2008 su contrassegno e modulo di denuncia di sinistro rc auto, le associazioni hanno sottolineato le loro perplessità, sia sull’efficienza del nuovo sistema che sulla privacy dei dati. Secondo i dati dell’Ivass, “in Italia si sono registrati nell’ultimo anno 1,8 milioni di sinistri: di questi circa l’80%, cioè oltre 1,44 milioni, è stato gestito tramite procedura di constatazione amichevole di incidente (Cai)”, spiegano Assoutenti, Confconsumatori, Movimento Consumatori e Sna, il sindacato nazionale agenti di assicurazione.

Il modulo blu è un documento prestampato che serve a denunciare alle compagnie assicurative un sinistro tra veicoli a motore e deve essere compilato con una serie di informazioni: se il modulo viene firmato da entrambi i conducenti dei veicoli coinvolti nel sinistro, vale come accordo sulla dinamica dell’incidente e consente la riduzione dei tempi di gestione del sinistro. Tuttavia “eliminando l’obbligo a carico delle compagnie di assicurazione di consegna del modulo cartaceo, sostituendolo con una applicazione informatica, si potrebbe complicare la sottoscrizione di un accordo tra i conducenti nell’immediatezza di sinistro, a maggior ragione nei casi in cui i sottoscrittori sono persone con scarsa dimestichezza nell’uso delle tecnologie informatiche. Anche alcuni aspetti legati alla privacy degli utenti destano preoccupazione, considerando che il modulo può contenere anche dati sensibili sanitari di eventuali feriti”, evidenziano ancora le 4 associazioni.

Ai dubbi dei consumatori si aggiungono anche quelli dei periti dell’Aiped (Associazione italiana periti estimatori danni) che hanno presentato ulteriori osservazioni all’Ivass: “La possibilità di compilare il modulo di denuncia di sinistro solo in formato digitale non risulterebbe essere adeguatamente supportata dal contesto attuale e dalla competenza degli utenti – spiega Aiped – In molti casi l’uso di sistemi digitali potrebbe rilevarsi più complesso, per cui è fondamentale ed essenziale mantenere l’obbligo per le imprese assicurative di fornire al contraente il modulo di constatazione amichevole in formato cartaceo, lasciando comunque l’opzione di utilizzo di un formato digitale fornito da un ente terzo”. “Abbiamo inoltre evidenziato all’Ivass come anche l’introduzione di una app specifica per ogni impresa assicurativa potrebbe determinare effetti negativi, ostacolando la portabilità del contratto – aggiunge il presidente Aiped, Luigi Mercurio – Infatti ogni qualvolta un contraente desideri cambiare compagnia o riceva una comunicazione di disdetta del contratto si vedrà obbligato a scaricare una nuova applicazione e a reinserire i dati necessari per la procedura di autenticazione e identificazione”.

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Pensioni minime oltre 621 euro, governo al lavoro

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Il governo lavora a un intervento sulle pensioni minime per tentare di portarle oltre i 621 euro ma anche su nuovi incentivi per convincere chi ha i requisiti per l’accesso alla pensione anticipata a restare al lavoro. Secondo quanto si apprende da tecnici vicini al dossier, la prima novità è che si punta non solo a confermare la misura della legge di Bilancio per il 2023 che ha garantito un innalzamento delle pensioni più basse oltre il recupero dell’inflazione, ma anche a fare un piccolo passo avanti. In pratica le pensioni minime, che dal 2024 sono pari a 614,77 euro, dovrebbero non solo vedere prorogato l’incremento che avrebbe dovuto essere transitorio e scadere alla fine del’anno e recuperare l’inflazione, al momento intorno all’1%, arrivando così a 621 euro, ma salire oltre questa cifra.

L’anno scorso per l’incremento supplementare di questi assegni del 2,7% furono stanziati 379 milioni. I trattamenti che potrebbero essere coinvolti dovrebbero essere poco meno di 1,8 milioni. Una misura non così impegnativa sul fronte economico ma che darebbe comunque il senso di un segnale d’attenzione sul sempre caldissimo fronte delle pensioni, all’esterno e agli alleati di governo. Poco più di una settimana fa già dal tavolo di confronto con i sindacati sul Psb era emerso che l’esecutivo non era intenzionato a nessun cambiamento con una conferma delle misure per il 2025. Dovrebbero così essere confermate le misure Ape sociale, Opzione donna e Quota 103 con le regole restrittive introdotte l’anno scorso.

Per Quota 103 dovrebbe essere confermato il ricalcolo contributivo dell’intera pensione per chi decide di accedervi e il tetto massimo all’assegno che si percepisce fino all’arrivo all’età di vecchiaia (2.394 euro al mese quest’anno) oltre all’allungamento delle finestre a sette mesi per il privato e nove per il pubblico. La stretta ha dissuaso la gran parte delle persone che hanno raggiunto i requisiti nell’anno che quindi hanno scelto di continuare a lavorare e aspettare di raggiungere i 42 anni e 10 mesi di contributi che consentono di andare in pensione anticipata senza ricalcolo della pensione interamente con il sistema contributivo. Ma sul fronte previdenziale si sta lavorando anche ad altri capitoli che riguardano la permanenza al lavoro con incentivi fiscali che rendano conveniente rinviare la pensione.

Il cosiddetto Bonus Maroni che consente a chi ha i requisiti per la pensione anticipata di chiedere di avere in busta paga i contributi a carico del lavoratore (il 9,19% della retribuzione) rinunciando all’accredito sul proprio montante contributivo, non ha funzionato perché non conveniente dal punto di vista fiscale. Nel 2024 è stata usata da poche centinaia di persone. Il Governo ragiona quindi sull’esenzione fiscale per questo bonus o una riduzione della tassazione sulla base di quanto avviene per gli aumenti salariali previsti dalla contrattazione di secondo livello. Ma è possibile anche che sia previsto un accredito figurativo per l’importo previsto dal bonus e che questo sia esteso anche per chi ha i requisiti per la pensione anticipata indipendente dall’età, ovvero ha maturato 42 anni e 10 mesi di contributi. Una possibilità che però ha bisogno di risorse.

Sempre sul fronte previdenziale si studia l’adozione di un nuovo semestre di silenzio assenso per il conferimento del Tfr alla previdenza integrativa. Ciò varrà non solo per i nuovi assunti , ma anche per coloro che sono già occupati che qualora non avessero già conferito il Tfr maturando ai fondi e non volessero farlo dovranno dirlo esplicitamente. Si lavora inoltre sulla possibilità per i lavoratori pubblici che hanno compiuto 65 anni e hanno 42 anni e 10 mesi di contributi di restare in servizio su base volontaria.

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