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F1, la Ferrari di Leclerc vince il Gran Premio d’Australia

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Il Gran Premio d’Australia torna a regalare all’Italia un’alba tutta Rossa. A svegliare il Bel Paese tra motoristi e non, con una colazione farcita di trionfo Ferrari, e’ la velocissima cavalcata di Charles Leclerc che, all’Albert Park di Melbourne, domina dal semaforo verde al traguardo. Scattato dalla pole position, il monegasco della scuderia di Maranello non lascia un millimetro al rivale e campione del mondo Max Versteppen, sin dal via e per il resto della gara, grazie ad una Rossa ‘ormai ‘fortissima”. E a venti giri dalla fine l’olandese volante e’ costretto ad atterrare di colpo a causa del secondo stop stagionale della sua Red Bull con il motore in fumo. A far compagnia sul podio il leader del Mondiale piloti con 71 punti (gia’ a +46 su Verstappen) i numeri due di Red Bull e Mercedes, Sergio Perez e George Russell, quest’ultimo capace di battere Lewis Hamilton, quarto, e di prendersi la seconda posizione della classifica iridata con 37 punti. Subito fuori, invece, l’altro ferrarista Carlos Sainz che dopo una qualifica sfortunata parte nono, sbaglia al secondo passaggio, finisce sulla sabbia ed e’ costretto al ritiro. Quello appena centrato a Melbourne e’ il primo ‘grande slam’ per Leclerc con pole, vittoria, giro veloce e l’intera gara in testa. Il tutto grazie ad una partenza senza sbavature che permette al monegasco di tenere alle spalle tutti, compreso il rivale piu’ forte e pericoloso, ovvero Verstappen. Per la Rossa, pero’ non sono solo rose e fiori a Melbourne, con l’uscita di pista al giro 2 di Sainz tradito dalle gomme dure e da un problema al volante prima del via. La gara dello spagnolo finisce subito e mestamente sulla ghiaia alla curva White dell’Albert Park, mentre la corsa e’ appena iniziata e il suo compagno di squadra fa vedere immediatamente di che pasta e’ fatta la Ferrari 2022 che da’ mezzo secondo a giro all’olandese volante. Dietro a Red Bull e Ferrari si fanno vedere le Mercedes e la Alpine-Renault di Alonso (alla fine solo 17/o), con Hamilton autore di una buona partenza, ma poi superato dal suo giovanissimo compagno di scuderia Russell. A interrompere la cavalcata della F1-75 non riescono le safety-car che neutralizzano la corsa, nemmeno quella entrata in pista per l’incidente alla Aston Martin di Vettel che spazza via il bel vantaggio accumulato da Leclerc su Verstappen. Anche il cambio gomme della scuderia di Maranello e’ perfetto e Leclerc a meta’ gara puo’ riprendere tranquillamente la sua corsa davanti a tutti anche con le gomme piu’ dure con cui la Rossa non perde terreno, anzi ne guadagna. Dietro al monegasco Verstappen le prova tutte, ma al giro 39 ecco il colpo di scena, soprattutto in chiave Mondiale: la Red Bull abbandona il campione del mondo come gia’ accaduto nel primo Gp in Bahrain e Leclerc puo’ continuare indisturbato la sua cavalcata verso il secondo trionfo in stagione. Per il podio ne approfitta l’altro pilota Red Bull, il messicano Perez, e il rampantissimo Russell. Al traguardo la festa e’ tutta per la Ferrari con Leclerc tra le braccia dei suoi meccanici e l’omaggio sorprendente dei tanti tifosi orange arrivati nella terra dei canguri solo per Verstappen che al termine del Gp ha ammesso la superiorita’ della Rossa: “L’affidabilita’ sta segnando il campionato – ha detto l’olandese della Red Bull – siamo lontani e sara’ difficile rimontare”. Parole che dopo solo tre gare suonano come una resa anticipata: se fosse davvero cosi’ allora i tanti cuori Rossi possono gia’ sognare in grande e rispolverare quelle bandiere nascoste a Maranello da piu’ di 15 anni. Tanti quanti ne sono passati dalla vittoria, proprio, qui a Melbourne dell’ultimo campione Rosso Kimi Raikkonen.

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Giustizia, stretta sulle toghe politicizzate e sui reati informatici: il decreto del governo in arrivo

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La riforma della giustizia torna al centro del dibattito con il nuovo decreto che il governo si appresta a varare lunedì prossimo in Consiglio dei Ministri. Tra le novità principali, spiccano due misure destinate a far discutere: l’introduzione di sanzioni per i magistrati che non rispettano il dovere di astensione in casi di conflitto di interesse e una stretta sui reati informatici e sul dossieraggio illegale.

Sanzioni per le toghe politicizzate

Il decreto introduce una nuova norma che obbliga i magistrati a astenersi dal giudicare su questioni rispetto alle quali si sono già espressi pubblicamente attraverso editoriali, convegni o social network. In caso di violazione, il Consiglio Superiore della Magistratura potrà adottare sanzioni che vanno dall’ammonimento alla censura, fino alla sospensione.

Secondo il ministro della Giustizia Carlo Nordio, questa norma intende tutelare il principio di imparzialità della magistratura, un obiettivo che la maggioranza considera fondamentale per garantire l’equilibrio tra i poteri dello Stato.

La misura ha già suscitato polemiche tra le toghe e riacceso il dibattito sulla presunta politicizzazione della magistratura. L’Associazione Nazionale Magistrati (ANM) ha espresso preoccupazione per quella che definisce un’“invasione di campo” da parte del governo.

La questione delle migrazioni e il caso Silvia Albano

La norma sulle toghe politicizzate sembra trarre origine da recenti tensioni tra il governo e alcune sezioni della magistratura, in particolare sui temi legati all’immigrazione. Emblematico il caso della giudice Silvia Albano, che aveva criticato l’accordo tra Italia e Albania sui migranti, trovandosi poi a giudicare direttamente su questa materia.

Albano, presidente di Magistratura Democratica, è stata bersaglio di critiche da parte della maggioranza per la sua posizione pubblica contro il “decreto Paesi sicuri”. La sua decisione di non convalidare il trattenimento di 12 migranti nel centro italiano in Albania ha sollevato ulteriori tensioni.

Stretta sui reati informatici e dossieraggi

Il decreto affronta anche il problema dei reati informatici, introducendo nuove misure per contrastare l’accesso abusivo ai database pubblici. Tra le novità principali:

  • Arresto in flagranza per chi viola sistemi informatici di interesse pubblico, militare o legati alla sicurezza nazionale.
  • Trasferimento delle indagini sui reati di estorsione tramite mezzi informatici alla procura Antimafia, guidata da Giovanni Melillo.

Queste misure arrivano in risposta a recenti scandali legati al dossieraggio illegale, come l’indagine della DDA di Milano sulla “centrale degli spioni” che trafugava dati sensibili da banche dati governative, coinvolgendo figure politiche di primo piano come la premier Giorgia Meloni.

Un antipasto per la riforma delle carriere

Questo decreto rappresenta solo l’inizio di un più ampio progetto di riforma delle carriere di giudici e pm che il governo sta portando avanti in Parlamento. La maggioranza intende ridefinire i rapporti tra i poteri dello Stato, nonostante le inevitabili polemiche con la magistratura.

Secondo il ministro Nordio, l’obiettivo è garantire un sistema giudiziario più equo e trasparente, ma l’ANM e altre voci critiche temono che queste misure possano indebolire l’autonomia delle toghe.

Un Natale caldissimo per la giustizia italiana

Le nuove norme, che toccano temi delicati come la gestione dell’immigrazione, i reati informatici e l’imparzialità dei magistrati, promettono di accendere il dibattito politico e giudiziario. Il governo va avanti, ma il confronto con le toghe e le associazioni di categoria si preannuncia acceso.

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Bocchino: dall’Italia verso un’internazionale conservatrice

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La vittoria elettorale della destra “avviene perché la sinistra prima è stata considerata inaffidabile per paura del comunismo, oggi è considerata inaffidabile perché si prende a cuore temi come l’immigrazione irregolare, che gli italiani non vogliono, o i diritti delle comunità LGBTQI+, che certo devono essere garantiti ma che riguardano comunque una minoranza dell’1,6% della popolazione, e perchè ha abbracciato la globalizzazione selvaggia, che è una cosa che fa paura agli italiani”.

Lo ha detto Italo Bocchino (foto imagoeconomica in evidenza) a margine della presentazione del suo libro “Perchè l’Italia è di destra” a Napoli, a cui hanno assistito anche il capo della procura partenopea Nicola Gratteri e l’ex ministro della cultura Gennaro Sangiuliano, mentre sul palco sono intervenuti il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi e il viceministro degli Esteri Edmondo Cirielli.

“Giorgia Meloni – ha proseguito Bocchino – ha fatto da apripista in Italia, dando vita a una destra che ha stupito, perché tutti si aspettavano una destra neofascista mentre si sono trovati una destra che rappresenta un conservatorismo nazionalpopolare.

E così si resta stupiti anche dal risultato degli Stati Uniti, che un po’ ricalca quel modello, e di quello che accade in alcuni paesi europei e in Sudamerica. Quindi c’è l’ipotesi che nasca nel prossimo decennio un’internazionale conservatrice e che abbia un grandissimo peso nella politica mondiale: in questo contesto, tra i leader sicuramente ci sarà Giorgia Meloni. Immaginiamo il prossimo G7, guardate la foto del prossimo G7: ci sono Scholz e Macron zoppicanti, lo spagnolo che ha problemi in casa, il giapponese che ha problemi in casa, il canadese che ha problemi in casa e due in splendida salute che sono Giorgia Meloni e Trump. Questo è il mondo oggi”.

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Da Putin a Gheddafi, i leader nel mirino dell’Aja

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Con il mandato d’arresto spiccato contro il premier israeliano Benyamin Netanyahu, insieme all’ex ministro della Difesa Yoav Gallant, si allunga la lista dei capi di Stato e di governo perseguiti dalla Corte penale internazionale con le accuse di crimini di guerra e crimini contro l’umanità. Da Muammar Gheddafi a Omar al Bashir, e più recentemente Vladimir Putin. Ultimo in ordine di tempo era stato appunto il presidente russo, accusato nel marzo del 2023 di “deportazione illegale” di bambini dalle zone occupate dell’Ucraina alla Russia, insieme a Maria Alekseyevna Lvova-Belova, commissaria per i diritti dei bambini del Cremlino.

Sempre a causa dell’invasione dell’Ucraina nel mirino della Corte sono finiti in otto alti gradi russi, tra cui l’ex ministro della Difesa Sergei Shoigu e l’attuale capo di stato maggiore Valery Gerasimov: considerati entrambi possibili responsabili dei ripetuti attacchi alle infrastrutture energetiche ucraine. Prima di Putin, nel 2011 l’Aja accusò di crimini contro l’umanità Muammar Gheddafi, ma il caso decadde con la morte del rais libico nel novembre dello stesso anno.

Un simile provvedimento fu emesso per il figlio Seif al Islam e per il capo dei servizi segreti Abdellah Senussi. Tra gli altri leader di spicco perseguiti, l’ex presidente sudanese Omar al Bashir: nel 2008 il procuratore capo della Corte Luis Moreno Ocampo lo accusò di essere responsabile di genocidio e crimini contro l’umanità e della guerra in Darfur cominciata nel 2003. Anche Laurent Gbagbo, ex presidente della Costa d’Avorio, è finito all’Aja, ma dopo un processo per crimini contro l’umanità è stato assolto nel 2021 in appello.

Nel 2016 la Corte penale internazionale ha condannato l’ex vicepresidente del Congo, Jean-Pierre Bemba, per assassinio, stupro e saccheggio in quanto comandante delle truppe che commisero atrocità continue e generalizzate nella Repubblica Centrafricana nel 2002 e 2003. Il signore della guerra ugandese Joseph Kony, che dovrebbe rispondere di ben 36 capi d’imputazione tra cui omicidio, stupro, utilizzo di bambini soldato, schiavitù sessuale e matrimoni forzati, è la figura ricercata dalla Cpi da più tempo: il suo mandato d’arresto venne spiccato nel 2005. Tra gli altri dossier aperti e su cui indaga l’Aja c’è l’inchiesta sui crimini contro la minoranza musulmana dei Rohingya in Birmania. Un’altra indagine è quella su presunti crimini contro l’umanità commessi dal governo del presidente venezuelano Nicolas Maduro. E non è solo l’Aja ad aver processato capi di Stato e di governo: nel 2001, l’ex presidente Slobodan Milosevic fu accusato di crimini di guerra, genocidio e crimini contro l’umanità dal Tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia. Arrestato, morì d’infarto in cella all’Aja nel 2006, prima che il processo potesse concludersi.

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