Collegati con noi

Economia

Exor con Hermes nel lusso, primo investimento in Cina

Pubblicato

del

 Exor, la holding della famiglia Agnelli, sceglie ancora una volta un partner francese e investe, per la prima volta, nel settore del lusso. E’ una novita’ anche il Paese dal momento che per la societa’ guidata da John Elkann si tratta del primo investimento diretto in Cina. Il partner e’ Herme’s International con cui Exor ha raggiunto un accordo per portare Shang Xia, una delle prime societa’ cinesi del lusso, alla fase successiva del suo sviluppo. La holding degli Agnelli investira’ 80 milioni attraverso un aumento di capitale riservato, che le permettera’ di acquisire la quota di maggioranza. Herme’s, che ha accompagnato Shang Xia nella prima fase di sviluppo, rimarra’ come azionista rilevante con Exor e la fondatrice Jiang Qiong Er. L’investimento sara’ perfezionato entro fine 2020 e comportera’ per Herme’s una plusvalenza straordinaria di circa 80 milioni di euro. La partnership mette insieme nel campo del lusso due societa’ a controllo familiare, una con radici in Francia, l’altra in Italia, unite dalla cultura dell’eccellenza (la holding degli Agnelli controlla anche Ferrari). Una carta vincente per aiutare Shang Xia ad acquisire una dimensione globale. Come per l’investimento nell’americana Via nel campo delle nuove tecnologie, anche in questo caso si tratta di una societa’ giovane – e’ nata solo nel 2010 – ma gia’ solida. Possiede boutique in posizioni esclusive a Shanghai, dove e’ stata fondata, e a Pechino, Chengdu, Hangzhou, Shenzhen e Parigi. Nell’anno del Covid e’ cresciuta e nel 2021 sono previste nuove aperture a Singapore e Tapei. La fondatrice Qiong Er unisce la passione per l’artigianato a quella per il design contemporaneo. La gamma e’ iniziata con gli elementi di arredo e si e’ estesa all’abbigliamento, alla pelletteria, ai gioielli. In questi 10 anni le sue creazioni sono state apprezzate in tutto il mondo, esposte nei musei piu’ prestigiosi e battute dalle principali case d’asta internazionali. “Siamo orgogliosi di quanto ha realizzato Shang Xia ripagando la fiducia che avevamo riposto nelle caratteristiche uniche del suo brand. Con Exor condividiamo una profonda cultura familiare e imprenditoriale, grazie alla quale potremo conseguire nuovi successi per Shang Xia”, spiega Axel Dumas, presidente esecutivo di Herme’s. “Siamo felici di mettere al servizio di Shang Xia la nostra esperienza nello sviluppo di brand di lusso a livello globale, cosi’ come lo spirito imprenditoriale che anima le societa’ di Exor. Con Herme’s aiuteremo Qiong Er a costruire una grande societa’”, commenta Elkann. “In appena 10 anni, Shang Xia – sottolinea Qiong Er – e’ riuscita a posizionare uno dei primi brand cinesi nel panorama del lusso mondiale grazie all’impegno di Herme’s. Sono emozionata che a noi si unisca Exor: il suo arrivo ci consentira’ di realizzare i nostri sogni e i nostri piani ambiziosi con ancora maggiore determinazione”.

Advertisement

Economia

Orsini: nucleare scelta obbligata se Italia vuol competere

Pubblicato

del

“Con i nuovi reattori e le nuove tecnologie, rispetto alla scelta fatta con il referendum di 40 anni fa, noi, senza se e senza ma diciamo che l’Italia paga l’energia il 40% in più dei propri competitor, e questo è un elemento che incide negativamente sulla competitività. Il nucleare mi pare una scelta obbligata se vogliamo tornare competitivi nel medio lungo periodo”. Lo ha detto il presidente di Confindustria Emanuele Orsini, intervistato da Myrta Merlino nel corso dell’assemblea generale di Confindustria Veneto Est, a Padova. Secondo Orsini, per tornare a produrre energia dal nucelre in Italia “nella migliore delle ipotesi servirà un decennio. Occorre però cambiare la narrazione sul nucleare e guardare con favore alla Newco fatta da Ansaldo, Leonardo ed Enel: vuol dire che l’Italia c’è”.

“Le industrie italiane ed europee sono quelle che emettono meno a livello mondiale – ha detto Orsini – in rapporto al Pil che produciamo che è il 15% secondo i dati Onu contribuiamo alle emissioni per un valore che secondo le stime è molto più basso, tra il 3 e il 5% delle emissioni mondiali. Ed allora mi pare difficile sostenere che dobbiamo sacrificare un intero comparto, importantissimo per l’economia europea, com’è quello dell’automotive per ridurre di un ulteriore 0,5%”.

Continua a leggere

Economia

Economia della Ue con il fiato corto, euro ai minimi

Pubblicato

del

L’economia europea ha il fiato corto e a risentirne è l’euro che scivola ai minimi da due anni rispetto al dollaro di fronte alla doccia fredda degli indici Pmi, una misura del grado di fiducia dei responsabili agli acquisti delle imprese. Il biglietto verde, da parte sua, continua ad avanzare, e non solo rispetto alla moneta unica, sull’onda della vittoria di Donald Trump alle ultime elezioni presidenziali. E lo stesso fa il Bitcoin, che prosegue il rally e supera i 99.300 dollari, ormai diretto verso la soglia dei 100.000 grazie alla sostegno del nuovo presidente americano alle criptovalute e all’idea di un regolamentazione più benevola. Il pmi composito dell’eurozona, finito a novembre a 48,1 (contro le attese che lo davano a 50), complice il calo inaspettato nei servizi più ancora che nell’industria manifatturiera, ha frenato le Borse del Vecchio Continente nella prima parte della giornata.

Non ha aiutato la revisione al ribasso del Pil della Germania, cresciuto nel terzo trimestre solo dello 0,1% rispetto ai tre mesi precedenti. A far scattare le vendite sull’azionario hanno contribuito le scommesse del mercato su un taglio deciso dei tassi, di 50 punti base, alla prossima riunione Bce per dare ossigeno alle economie della zona euro in una scenario ormai di stagnazione: bassa crescita e inflazione non ancora sotto controllo. La prospettiva di tassi di interesse più bassi ha avuto l’effetto di far calare i rendimenti dei titoli di Stato a partire dal Bund tedesco, sceso al 2,23%. Quello dell’Oat francese è diminuito al 3% e del Btp italiano al 3,5%. Lo spread si è allargato intanto sopra i 126 punti base.

Le Borse europee hanno invece rialzato la testa nell’ultima parte della seduta sulla scia di Wall Street, spinto dal Pmi composito negli Stati Uniti, arrivato a 55,3 meglio delle stime a conferma di un’economia in crescita. A fine giornata il maggior rialzo lo ha messo a segno Londra (+1,38%) indifferente agli indici Pmi del Regno Unito, anch’essi in flessione. Ha fatto tutto sommato bene anche la Borsa di Francoforte (+0,92%) malgrado i brutti dati Pmi e il Pil deludente. Parigi ha registrato un guadagno finale dello 0,52% malgrado anche nella seconda maggiore economia dell’eurozona gli indici Pmi siano stati sotto le attese. Meglio intonata Piazza Affari (+0,6%) malgrado abbiamo perso terreno le banche, in sintonia con i big del credito spagnoli Santander e Bbva penalizzati dalla decisione del governo di Madrid di aumentare la tassa sugli extraprofitti. Con l’effetto di far segnare alla Borsa del Paese solo un timido +0,39%.

L’euro in serata si è confermato debole col cambio sul dollaro a 1,042, ai minimi da novembre 2022. Che la Bce si prepari a nuovi tagli dei tassi d’interesse nei prossimi mesi, di fronte a un target d’inflazione al 2% che dovrebbe essere raggiunto a metà 2025, lo ha detto anche il presidente della Bundesbank Joachim Nagel, spiegando che i dati Pmi di oggi confermano lo scenario di stagnazione dell’economia tedesca. Nel complesso, visti i Pmi, difficilmente la situazione avrebbe potuto rivelarsi peggiore, è l’opinione condivisa dagli analisti secondo cui il settore manifatturiero dell’eurozona sta affondando sempre più nella recessione. Dopo due mesi in lieve crescita anche il settore dei servizi inizia poi a essere in difficoltà. E non c’è troppo da stupirsi considerato la confusione politica delle maggiori economie dell’area: il governo francese si muove su un terreno instabile e la Germania è alle prese con le elezioni anticipate. A tutto questo si aggiunge Donald Trump e la minaccia concreta di nuovi dazi sulle importazioni. Alle aziende europee non resta che navigare a vista.

Continua a leggere

Economia

Moody’s, Pil Italia sotto 1%, impegnativa spesa Pnrr

Pubblicato

del

La crescita dell’Italia si mantiene moderata e quest’anno sarà sotto l’1%, con un deficit in calo al 4,6% e un debito che invece sale. L’analisi di Moody’s (nella foto Imagoeconomica in evidenza) mostra come i fondi del Pnrr continuano a sostenere le prospettive dell’Italia. Ma per il Belpaese sarà “impegnativo” spendere tutte le risorse disponibili dal programma entro il 2026 anche perché la spesa è stata finora inferiore al previsto. “Tassi di interessi elevati e un potenziale di crescita di circa lo 0,8% richiederanno un ampio aggiustamento fiscale per raggiungere e mantenere avanzi primari in grado di stabilizzare il debito”, afferma Moody’s annunciando il completamente della revisione del rating dell’Italia che, precisa, “non è un’azione sul rating e non è un’indicazione” sulle future decisioni sul rating. L’Italia ha al momento un rating Baa3 con outlook stabile.

“In un contesto di tassi di interesse più elevati, l’aumento del potenziale di crescita e gli avanzi primari saranno fondamentali per evitare un significativo aumento del debito”, aggiunge Moody’s spiegando come la riduzione del deficit – al 3,5% nel 2025 e al 3% nel 2026 – “non sarà sufficiente” per un calo del rapporto debito-pil in seguito agli effetti del Superbonus. L’agenzia prevede che il debito italiano salirà al 139,7% del pil nel 2024 dal 134,8% del 2023 e continuerà a salire fino al 2027 a oltre il 143%. I risultati ottenuti dall’Italia nell’attuazione del Pnrr sono “contrastanti”: l’Italia è stato il primo paese dell’Ue a chiedere le ultime tranche di finaziamento e “prevediamo che la settima tranche sarà richiesta entro la fine del 2024. Tuttavia la spesa di queste risorse è stata inferiore al previsto e la spesa totale dei fondi disponibili entro la fine del 2026 sarà impegnativa”, mette in evidenza ancora Moody’s. L’agenzia potrebbe alzare il rating nel caso di fossero prove di una crescita sostanzialmente più forte: “un miglioramento del potenziale di crescita contribuirebbe a mettere il debito su una chiara traiettoria discendente”. Il rating invece potrebbe essere rivisto al ribasso se “anticipassimo un significativo indebolimento della forza economica e di bilancio dell’Italia”.

Continua a leggere

In rilievo

error: Contenuto Protetto