“Ho capito, durante la prima ondata, che il virus andava sconfitto a casa e non negli ospedali”. A parlare è l’avvocato napoletano Erich Grimaldi, che in questi mesi di pandemia si è battuto senza sosta per il rafforzamento della terapia domiciliare precoce per i pazienti Covid: combattere il virus nei primi giorni dall’insorgenza dei sintomi, evitando l’ospedalizzazione. A tal fine ha creato il gruppo Facebook “Terapia domiciliare Covid-19 in ogni Regione”, in cui migliaia di medici e specialisti prestano assistenza a distanza ai pazienti abbandonati nei loro domicili. In questi mesi ha inoltre sostenuto il diritto dei malati ad essere curati con l’idrossiclorochina, il farmaco sospeso dall’Aifa con una nota dello scorso 22 luglio. E una settimana fa il Consiglio di Stato gli ha dato ragione, riabilitando il farmaco e rimettendo al medico la scelta sul suo utilizzo nei primi giorni di malattia, in scienza e coscienza e previo consenso informato del paziente.
Avvocato Grimaldi, il Consiglio di Stato ha accolto il suo ricorso e ha sospeso la nota dell’Aifa del 22 luglio 2020 che vietava l’utilizzo dell’idrossiclorochina nei protocolli di cura domiciliari per il Covid. È soddisfatto?
Sono molto contento che sia stata restituita ai cittadini una giusta opportunità di cura in un momento così delicato. Sin da marzo avevo raccolto l’esperienza di medici di varie Regioni che avevano impiegato il farmaco con successo in fase precoce, cioè nei primi giorni di insorgenza dei sintomi. In questi mesi ho ricevuto anche il sostegno di importanti scienziati fra cui l’epidemiologo statunitense Harvey Risch dell’Università di Yale. Il Consiglio di Stato ha chiarito che, in assenza di studi clinici randomizzati che dimostrino l’inefficacia del farmaco, e data l’emergenza epidemiologica in atto, la scelta sull’utilizzo del farmaco è rimessa all’autonomia decisionale del singolo medico in scienza e coscienza, previo consenso informato del paziente.
In primavera aveva tentato di ottenere un protocollo nazionale univoco per la terapia domiciliare precoce.
Sì, il 30 aprile 2020 ho inviato una diffida al Presidente del Consiglio, al Ministero della Salute e alle Regioni, affinché si perfezionasse un protocollo univoco nazionale per le cure tempestive domiciliari per il Covid, ma non ho avuto nessun riscontro. L’ho fatto perché credo che, se siamo tutti uguali davanti alle misure economiche e restrittive, dobbiamo essere uguali anche per ciò che attiene alla tutela del diritto alla salute. È impensabile che durante una pandemia ci sia una discriminazione territoriale nelle cure dovuta all’autonomia delle singole Regioni.
Durante la prima ondata ha creato il gruppo Facebook “Terapia domiciliare Covid-19 in ogni Regione”, che ruolo sta ricoprendo?
Confrontandomi con gli operatori sanitari, ho compreso l’esigenza di stabilire un dialogo fra la medicina territoriale di tutte le regioni italiane; così ho aperto il gruppo che ad oggi conta 43mila membri e ha avuto il merito di favorire il confronto fra i medici dei territori sulle terapie domiciliari precoci per la cura del paziente Covid. Sono convinto che la battaglia contro il virus vada vinta sul territorio, nelle case dei pazienti, se si vuole evitare la saturazione degli ospedali. Qui entra in gioco il mio gruppo Facebook che da settembre ad oggi ha saputo creare un cuscinetto fra territori e ospedali. Attraverso i tanti medici che si sono messi a disposizione sul gruppo, abbiamo curato centinaia di persone a distanza. Ho creato anche delle chat Whatsapp per medici, farmacisti, psicologi, nutrizionisti, in cui gli specialisti si confrontano e offrono soluzioni.
È corretto affermare che avete provato a colmare le lacune della nostra medicina territoriale?
È proprio così. Assieme alla collega Valentina Piraino, ho messo in piedi il Comitato cura domiciliare Covid, con cui abbiamo diffidato diverse Regioni rispetto all’implementazione delle Usca: se le unità speciali di continuità assistenziale sui territori non funzionano in modo adeguato, nessuno visita il paziente al domicilio e viene così a mancare il raccordo fra il paziente e il medico di medicina generale. Col gruppo, nel nostro piccolo, abbiamo provato a colmare questa lacuna.
Fa discutere la vicenda dell’anticorpo monoclonale prodotto in Italia ma destinato agli Stati Uniti, che cosa ne pensa?
Il 29 ottobre la multinazionale americana che ha sviluppato il farmaco, prodotto poi a Latina, aveva offerto all’Italia diecimila dosi a titolo gratuito per avviare la sperimentazione. L’Aifa e il Ministero della Salute hanno rifiutato perché mancava il via libera dell’Ema (European Medicines Agency, ndr), che non autorizza medicinali in fase di sviluppo. In realtà, una direttiva europea del 2001 consente l’acquisto e così ha fatto la Germania, cui seguirà molto presto l’Ungheria. Io penso che anche in questo caso Aifa abbia tenuto un atteggiamento troppo prudente: quando ti trovi in emergenza sanitaria, se ci sono cure che possono salvare la vita delle persone, si devono utilizzare.
E poi c’è il plasma iperimmune, a che punto siamo?
Si procede a rilento e in modo disomogeneo sul territorio nazionale, le racconto un episodio. In Sicilia ho aiutato un ragazzo di Biancavilla. Sua mamma, 59 anni e senza patologie pregresse, è stata ricoverata in ospedale dove i medici hanno richiesto il plasma per la terapia. Dopo diciassette giorni ancora non era arrivato e il ragazzo s’è rivolto a me. Gli ho consigliato di telefonare a Mantova e l’ha trovato. Mandando una mail al centro trasfusionale della Regione Sicilia, ha però scoperto che il plasma era disponibile a Catania, a dieci chilometri da Biancavilla. Nei passaggi fra i vari distretti qualcosa non ha funzionato e la signora è rimasta per quasi venti giorni senza plasma; ora le cure potrebbero essere inutili. Il funzionamento è ancora parziale, se ad oggi telefona ad un qualsiasi ospedale è probabile che le rispondano che ancora non sanno bene come utilizzarlo.
“Pompei non può essere associata al turismo di massa, ma deve avere come obiettivo quello della qualità”. Gabriel Zuchtriegel stringe tra le mani il suo biglietto nominativo, quello che da oggi è obbligatorio per entrare negli scavi che dirige dal febbraio 2021. È una delle novità introdotte all’interno del parco archeologico. La più importante riguarda il numero chiuso per gli ingressi giornalieri, che non potranno mai superare quota 20mila. Nel periodo di maggiore afflusso (dal primo aprile al 31 ottobre), poi, saranno anche previste specifiche limitazioni a seconda delle fasce orarie: dalle 9 alle 12 massimo 15mila ingressi; altri 5mila da mezzogiorno alle 17.30. L’acquisto dei ticket è consentito sul posto e online. “Alla base – spiega ancora Zuchtriegel – ci sono soprattutto motivi di sicurezza, sia dei visitatori, sia di tutela del patrimonio. Partiamo in questo periodo di bassa stagione per sperimentare tale misura, i cui numeri saranno poi esaminati con calma in vista delle giornate di maggiore afflusso”.
Obiettivo è anche combattere il fenomeno del bagarinaggio, che portava i turisti ad acquistare biglietti rivenduti a prezzi maggiorati e con l’aggiunta di “servizi” già compresi nel costo abituale del ticket. Altro proposito è puntare a distribuire i visitatori anche sugli altri siti del parco (Boscoreale, Torre Annunziata, Villa dei Misteri, Civita Giuliana e Stabia). Gli scavi di Pompei introducono le novità del numero chiuso e del biglietto nominativo dopo un’estate da record, che ha fatto registrare flussi mai visti in passato, con oltre quattro milioni di visitatori e punte di oltre 36.000 presenze in occasione di una delle prime domeniche del mese (quelle a ingresso gratuito). Questa mattina Zuchtriegel ha deciso di seguire personalmente l’avvio del cambiamento insieme con Prefettura, vigili del fuoco e consulenti dei lavoratori insieme ai quali è stata ravvisata la necessità di prevedere una gestione in piena sicurezza del sito Unesco.
“Abbiamo avuto in autunno, estate e primavera – sottolinea ancora il direttore – giornate in cui il limite dei 20.000 ingressi è stato superato: ci siamo resi conto di dover garantire a tutti i visitatori una esperienza di qualità. Pompei non deve essere un sito per il turismo di massa. Abbiamo un territorio meraviglioso e ci impegneremo a canalizzare maggiormente i flussi, ma anche gli investimenti, la ricerca e la valorizzazione di questi luoghi. Questo non è una misura contro la crescita. Anzi, noi puntiamo sulla crescita”. Nessuna gara sui numeri, come avviene in particolare in occasione delle domeniche ad ingresso gratuito: “La nostra priorità è la sicurezza – conclude Zuchtriegel -. E in caso di emergenza, abbiamo pensato di assicurare uscite controllate ai visitatori. Attenzione, siamo orgogliosi dei dati che abbiamo raggiunto in questi anni: spesso eravamo al primo posto nelle giornate di ingressi gratuiti. Questa classifica è carina, ma logica ci impone di scegliere la conservazione del nostro patrimonio: non vorremmo mai che qualche classifica finisca per danneggiarlo”.
Calano i contagi da Covid-19 in Italia. Nella settimana dal 17 al 23 ottobre si registrano 8.660 nuovi casi rispetto ai 11.433 della rilevazione precedente mentre i decessi sono 116 a fronte di 117. Il maggior numero di nuovi casi è stato registrato in Lombardia (2.693), Veneto (1.206), Piemonte (998) e Lazio (928). Mentre continua la corsa della variante Xec. E’ quanto emerge dal bollettino aggiornato e dal monitoraggio settimanale a cura del ministero della Salute e dell’Istituto Superiore di Sanità. Nell’ultima settimana sono stati effettuati 89.792 tamponi, in calo rispetto ai 94.880 della precedente rilevazione, e scende anche il tasso di positività, da 12% a 9,6%.
L’indice di trasmissibilità (Rt) basato sui casi con ricovero ospedaliero, al 15 ottobre è pari a 0,84 rispetto a 1,06 del 9 ottobre. È in lieve diminuzione, in quasi tutte le regioni, l’incidenza settimanale: la più elevata è stata in Lombardia (27 casi per 100mila abitanti) e la più bassa in Sicilia (con 0,2 casi per 100mila abitanti). Al 23 ottobre, si legge, “l’occupazione dei posti letto in area medica è pari a 3,7%, stabile rispetto alla settimana precedente (3,8% al 16 ottobre). In lieve diminuzione l’occupazione dei posti letto in terapia intensiva, pari a 0,9% (76 ricoverati), rispetto alla settimana precedente (1,0% al 16 ottobre)”. In base ai dati di sequenziamento nell’ultimo mese si osserva la co-circolazione di differenti sotto-varianti di JN.1 attenzionate a livello internazionale, con una predominanza di KP.3.1.1. In crescita, inoltre, la proporzione di sequenziamenti attribuibili a Xec (17% nel mese di settembre contro il 5% del mese di agosto).
Dopo il calo delle ultime settimane, tornano a salire i contagi da Covid-19 in Italia. Dal 19 al 25 settembre sono stati 11.164 i nuovi positivi, rispetto agli 8.490 della settimana precedente, pari a un aumento di circa il 30%. La regione con più casi è la Lombardia (3.102), seguita dal Veneto (1.683) e Lazio (1.302). E a crescere sono anche i decessi settimanali, passati da 93 a 112. Stabile l’impatto sugli ospedali mentre cresce la variante Xec.
Questi i dati dell’ultimo bollettino settimanale pubblicato dal ministero della Salute e del monitoraggio a cura dell’Istituto superiore di Sanità. Ad aumentare sono stati anche i tamponi, passati dai 81.586 del 12-18 settembre a 85.030, mentre il tasso di positività è passato dal 10% al 13%. Stabile invece il numero di posti letto occupati da pazienti Covid nei reparti di area medica (pari a 3% con 1.885 ricoverati), così come quelli occupati in terapia intensiva (0,7% con 62 ricoverati). I tassi di ospedalizzazione e mortalità restano più elevati nelle fasce di età più alte.
L’indice di trasmissibilità (Rt) basato sui casi con ricovero, è pari a 0,9, in lieve aumento rispetto alla settimana precedente. Mentre l’incidenza è di 19 casi per 100mila abitanti, anche questa in aumento rispetto alla settimana precedente (14 casi per 100mila abitanti). L’incidenza più elevata è in Veneto (35 casi per 100mila abitanti) e la più bassa nelle Marche (1 per 100mila). In base ai dati di sequenziamento genetico, nell’ultimo mese circolano insieme differenti sotto-varianti di Jn.1 attenzionate a livello internazionale, con una predominanza di Kp.3.1.1 (68%). In crescita, e pari a circa il 5%, i sequenziamenti del lignaggio ricombinante Xec, appartenente alla famiglia Omicron.