L’altra sera, in una trasmissione televisiva di approfondimento, un giornalista – del Corriere della Sera, mica noccioline!– ha detto a un professore di Sociologia specialista di terrorismo e sicurezza della Luiss: “Prima di parlare bisognerebbe documentarsi (credo sulla storia americana)”. Il professore tentava di argomentare un punto di vista alternativo a quello dominante che divide il mondo, dopo la crisi ucraina, in buoni e cattivi. Sì, insomma, generando, tra l’altro, una diffusa e becera russofobia in Europa. Il professore, preciso, ha scritto libri scientifici pluripremiati nelle sue materie. Uno è stato tradotto e pubblicato in America e lui, per parte sua, va e viene dagli USA (MIT, Harvard e cose così).
Qualche sera dopo, sempre sullo stesso canale ma in una diversa trasmissione, assai seguita, un altro giornalista – anch’egli del “Corriere della Sera”, mica l’ultimo arrivato!– ha detto a un generale di corpo d’armata, che tentava di dare una lettura “tecnica” della condotta delle operazioni sul terreno da parte degli Stati Maggiori russi, smontando l’altro luogo comune della campagna putiniana rallentata dalla “insospettata” resistenza ucraina, gli ha detto dunque, il giornalista al generale: “Mi spiace generale, ma sono in totale disaccordo con lei”. Preciso, anche qui, che il generale in questione è stato responsabile a suo tempo (2002-2003) della missione KFOR in Kossovo.
Entrambi i giornalisti sono molto controllati nel linguaggio. Il secondo -molto presente in TV- dice spesso, quale che sia l’argomento di cui si tratta, che lui “non è uno specialista della materia”, prima di esprimere la sua opinione. I livelli di urbanità formale sono dunque mantenuti all’altezza dello standard di via Solferino. A me interessa ora, però, la sostanza. E cioè che quella trasformazione che avevamo osservato durante il Covid 19, e quindi il passaggio dall’e.p.i.d.e.m.i.a alla e.p.i.m.e.d.i.a., deve forse considerarsi un fenomeno generalizzato, che segna la trasformazione mediatica dei “Fatti” in “Narrazioni”. E che la macchina epimediale che ha tritato i medici, e ricercatori che si occupavano professionalmente di epidemie, si appresta a tritare scienziati sociali e professionisti che si occupano di geopolitica. Magari in nome della stessa geopolitica, perché tanto, “la geopolitica non è quella in cui ognuno può dire -e dice- ciò che vuole?”.
Intendiamoci: le cose capitano sempre a chi le sa raccontare, come si dice, e quelle più convincenti sono spesso quelle più avvincenti (o più facili), comunque non necessariamente quelle più “vere”. Voglio dire che anche gli scienziati, gli studiosi, i competenti, “raccontano” fatti e che, alla fine, come qualcuno sostiene, il “fatto” è sempre la sua “narrativa”. La realtà è il suo racconto. E però, non tutti i racconti sono uguali. E quelli che devono stabilire le pur fallibili verità della scienza -in base a cui si prendono decisioni cruciali per la società- devono rispettare dei canoni affidabili e perciò rigorosi. Bisogna ragionare, verificare la solidità dei dati, non cadere nelle trappole dei paralogismi, schivare le fallacie da equivocazione, formulare ipotesi alternative e confrontarne la tenuta argomentativa, evitare accuratamente le generalizzazioni induttive (tipo io ho visto la guerra sovietica in Afghanistan, dunque…). In queste condizioni, non possono esservi competizioni tra sapere esperto e storytellers: il primo sarà perdente, in una gara di gradimento. Ieri il sapere esperto si chiamava Galli e Bassetti. Oggi si chiama Orsini e Mini. E come ieri chiunque credeva di poter dialogare alla pari con i medici e studiosi di sanità pubblica, opponendo la sua più strampalata ideuzza a una vita di riflessioni, pubblicazioni scientifiche, pratica medica nelle corsie d’ospedale, oggi basta chiunque a dirci quel che “veramente” sta succedendo alla sinistra e alla destra del Dnepr, il fiume che innerva l’Ucraina e ne fa una territorialità complessa. La quale in nessun modo può essere concepita come un blocco roccioso e inscalfibile.In nessun modo può essere ridotta allo “Stato unitario” che oggi vediamo nelle raffigurazioni geografiche che tutti i media s’ingegnano a mostrarci fino allo sfinimento. Ma dopotutto, la geopolitica non è quella delle “cartine”?
Angelo Turco, africanista, è uno studioso di teoria ed epistemologia della Geografia, professore emerito all’Università IULM di Milano, dove è stato Preside di Facoltà, Prorettore vicario e Presidente della Fondazione IULM.
Le prime foto di lui, con il viso pixelato e abbracciato a un soldato, erano apparse sui canali di blogger militari russi il 28 ottobre, subito dopo l’operazione che lo aveva esfiltrato dal territorio ucraino. Ma oggi Daniel Martindale si è presentato a volto scoperto e mostrando i suoi documenti di americano davanti ai giornalisti a Mosca, affermando di aver operato per oltre due anni dietro le linee nemiche fornendo preziose informazioni alle truppe di Mosca nel Donbass. Ora Martindale, che ha 33 anni, dice di voler farsi una vita e una famiglia in Russia e lavorare come agricoltore.
Oltre che acquisire la cittadinanza russa. Come Edward Snowden, l’informatico e attivista statunitense già tecnico della Cia che dal 2013 vive in Russia dopo aver rivelato i dettagli di diversi programmi top secret di sorveglianza di massa del governo di Washington e quello di Londra. E non sarà certo una sorpresa se Mosca deciderà di concedere la cittadinanza anche al nuovo transfuga, che promette di diventare una importante pedina della macchina propagandistica. “Dal 2005 considero gli Usa il mio nemico”, ha dichiarato Martindale, presentatosi alla stampa in camicia arancione e un cappellino nero con visiera. Quello che accade in Ucraina, ha insistito, “è un tentativo dell’America di contenere la Russia per non permetterle di competere ad armi pari con gli Stati Uniti”.
Poi un messaggio diretto a Washington: “Se qualcosa succede a me o a qualche mio parente non sarà un incidente, ma opera delle autorità americane per costringermi a tornare negli Usa e accusarmi di tutti i peccati”. Martindale ha detto di essere stato un “missionario” in Polonia. Quando ha capito che stava per scoppiare una guerra, si è trasferito in Ucraina e, dopo essere passato per Kiev, è arrivato nel territorio della regione di Donetsk controllato dalle forze governative solo una decina di giorni prima dell’attacco russo. Da lì, ha detto, si è messo in contatto con le forze separatiste filorusse scrivendo sul loro canale Telegram. Lo stesso sistema ha utilizzato per mantenere poi i contatti con le agenzie di sicurezza russe, che gli hanno fatto arrivare un nuovo telefono cellulare con un drone.
La settimana scorsa le forze speciali della 29/a Armata hanno fatto un’incursione in territorio ucraino per farlo uscire, dopo che, sostengono i canali degli osservatori militari russi, aveva avuto “un ruolo chiave nella preparazione dell’assalto al villaggio di Bogoyavlenka”, caduto in mano russa qualche giorno fa. Anche oggi Mosca ha annunciato la conquista di nuovi villaggi, quelli di Kurakhivka nella regione di Donetsk e quello di Pershotravneve nella regione di Kharkiv, in un’avanzata nell’est dell’Ucraina che ha accelerato nelle ultime settimane. Le truppe ucraine stanno affrontando una delle più “potenti” offensive della Russia dall’inizio dell’invasione, ha detto il comandante delle forze armate, Oleksandr Syrsky. La situazione è difficile, e “le ostilità in alcune aree richiedono un costante rinnovamento delle risorse delle unità ucraine”, ha aggiunto.
Difficoltà confermate dall’intelligence militare dell’Estonia, secondo la quale solo nell’ultima settimana le forze russe hanno occupato circa 150 chilometri quadrati di territorio nella regione di Donetsk. Il presidente Volodymyr Zelensky ha denunciato massicci attacchi di droni nella notte su varie regioni, compresa Kiev, dove le autorità locali hanno parlato di incendi scoppiati in vari edifici residenziali. Due feriti sono segnalati nella capitale e cinque, di cui tre bambini, a causa di un bombardamento di artiglieria nella città meridionale di Kherson. “I costanti attacchi terroristici contro le città ucraine provano che la pressione esercitata sulla Russia e i suoi complici non è sufficiente”, ha affermato Zelensky. Le autorità russe hanno invece detto che quattro civili sono rimasti feriti in attacchi di droni ucraini sulla regione frontaliera di Kursk e uno su quella di Belgorod. Oltre a due persone rimaste ferite in un attacco di artiglieria delle forze di Kiev a Gorlovka, località nel Donetsk controllata dalle truppe di Mosca.
Dopo due anni e mezzo di guerra della Russia contro l’Ucraina, pesanti impatti sulla sicurezza energetica a quella alimentare oltre alla crisi di rifugiati (oltre 14 milioni) più significativa in Europa dalla Seconda Guerra Mondiale, la pace è urgente. Teha, coinvolgendo 9 think tank internazionali, ha disegnato una ‘road map’ che presenterà al Forum di Cernobbio: 5 proposte per rafforzare la sicurezza energetica, 5 per la sicurezza agroalimentare globale e 5 per arrivare alla pace. “Navighiamo in un panorama geopolitico instabile senza precedenti” sottolinea Valerio De Molli, il ceo di Teha Group, per questo “solo comprendendo le cause profonde della guerra e affrontando le sue implicazioni più ampie possiamo lavorare per un futuro in cui la resilienza, l’inclusività e la sostenibilità siano in prima linea nella governance globale”.
E’ il fil rouge del Paper “con l’obiettivo di fornire, si spera, un contributo costruttivo per avvicinare la pace” e il sogno, malcelato, è che il primo passo parta proprio da Cernobbio. Qui, nella prima giornata di lavori farà il suo intervento Viktor Orbán, Primo Ministro dell’Ungheria e Presidente di turno del Consiglio dell’Unione Europea e dovrebbe partecipare anche il presidente ucraino Volodymyr Zelensky. Per incontrarlo potrebbe anticipare il suo arrivo Giorgia Meloni. Bisogna partire con il “riconoscere gli ingenti danni causati dalla guerra sia a livello regionale che globale”, secondo l’analisi condotta da Teha con DiXi Group, EDAM Centre for Economics and Foreign Policy Studies, Higher School of Economics, Jacques Delors Institute, Kyiv School of Economics, Limes, Observer Research Foundation e la Conferenza Episcopale Italiana (CEI) è “il prerequisito di un processo di pace globale”.
Il passaggio successivo è “condurre un’analisi critica del fallimento diplomatico degli Accordi di Minsk” (firmati nel 2014 tra Ucraina, Russia e Osce, ndr). Le altre tappe sono: “segmentare il processo di pace in azioni a breve e medio-lungo termine per stabilire tappe e obiettivi chiari, facilitando risultati progressivi e garantendo che sia le esigenze immediate sia gli obiettivi di lungo termine siano raggiunti; organizzare una Conferenza di Pace internazionale” che coinvolga Russia e Ucraina e infine “creare un solido piano di assistenza finanziaria ed economica per sostenere l’Ucraina nel dopoguerra” prevedendo il problema del debito pubblico e il calo della popolazione. Per rispondere alle due grandi crisi, energetica e alimentare, originatesi con la guerra gli analisti di Teha suggeriscono cinque mosse per ognuna.
La diversificazione delle fonti energetiche, la creazione di riserve strategiche di energia, l’aumento degli investimenti nelle energie rinnovabili, l’introduzione di misure per l’efficienza energetica, e la creazione di un Network Energetico Pan-Europeo, sul fronte energetico. Par reagire all’insicurezza alimentare acuta ha raggiunto livelli record, riguardando 258 milioni di persone in 58 Paesi nel 2022, le proposte di TEHA sono: “avviare un’attività di coordinamento, che coinvolga le principali organizzazioni internazionali, nella gestione della crisi alimentare globale; istituire programmi internazionali di aiuto alimentare a sostegno dei paesi vulnerabili; dare un’assistenza finanziaria e aiuti allo sviluppo ai paesi vulnerabili per costruire sistemi agroalimentari e migliorare la resilienza a shock futuri; incentivare pratiche agricole sostenibili che aumentino la produttività riducendo al minimo l’impatto ambientale e infine avviare una riforma della politica agricola globale e della governance a sostegno della transizione verde per garantire un accesso e una distribuzione equi delle risorse agricole e alimentari”.
Almeno 20 morti e 66 feriti: è il bilancio provvisorio del massiccio attacco missilistico lanciato oggi dalla Russia contro l’Ucraina. Finora si registrano infatti 35 feriti e 10 vittime a Kiev, incluse cinque nell’ospedale pediatrico Okhmatdyt, e altre 10 a Kryvyi Rig, città natale del presidente ucraino Volodymyr Zelensky, dove sono stati segnalati anche 31 feriti.
Ci sono persone intrappolate sotto le macerie dell’ospedale pediatrico Okhmatdyt Kiev colpito oggi da un attacco missilistico russo: lo riporta su Telegram il presidente ucraino Volodymyr Zelensky.
“Ospedale pediatrico Okhmatdyt di Kiev. Uno degli ospedali pediatrici più importanti non solo in Ucraina, ma anche in Europa. Okhmatdyt ha salvato e restituito la salute a migliaia di bambini. Ora l’ospedale è stato danneggiato da un attacco russo, con persone intrappolate nelle macerie, e non si conosce il numero esatto di feriti e dei morti. Ora tutti stanno aiutando a rimuovere le macerie: medici e gente comune”, si legge nel messaggio. “La Russia non può non sapere dove volano i suoi missili e deve essere ritenuta pienamente responsabile di tutti i suoi crimini: contro le persone, contro i bambini, contro l’umanità in generale. È molto importante che il mondo non rimanga in silenzio e che tutti si rendano conto di ciò che la Russia è e di ciò che sta facendo”, conclude Zelensky.