Dal 1° ottobre saliranno le tariffe di luce e gas, rispettivamente del 2,6% e del 3,9%. Lo ha annunciato l’Arera, Autorità di regolazione per Energia, Reti e Ambiente, sottolineando che i rincari sono dovuti all’andamento stagionale, alla riduzione della produzione di gas olandese e ad alcune restrizioni all’accesso ai gasdotti di transito europei. Tutti fattori che spingono verso l’alto il prezzo del gas, ancora predominante anche nella produzione elettrica. Sempre in materia di produzione elettrica pesano i timori per un possibile calo della produzione francese nei prossimi mesi, a causa dei problemi in alcune centrali nucleari. Non aiutano le recenti tensioni geopolitiche, legate agli attacchi alle piattaforme petrolifere saudite, che hanno influenzato le quotazioni delle principali commodity energetiche.Nel dettaglio, l’aggiornamento – valido dal prossimo 1° ottobre – è determinato da un aumento della componente a copertura della spesa per la materia Energia (+3,2%), parzialmente ridotto da un calo di quella per gli oneri generali (-0,6%). La condizione di ritrovato equilibrio del gettito degli oneri infatti ha permesso una loro riduzione. Per il gas naturale l’andamento è sostanzialmente determinato per intero dall’aumento della spesa per la materia prima (+3,8% sulla spesa della famiglia tipo), legata alle quotazioni stagionali attese nei mercati all’ingrosso nel prossimo trimestre, e da un lieve aggiustamento dei costi di trasporto (+0,1%). Per l’elettricità, sottolinea l’Arera, la spesa per la famiglia-tipo tra il 1° gennaio e il 31 dicembre 2019 sarà di 559 euro. Nello stesso periodo la spesa della famiglia tipo per la bolletta gas sarà di circa 1.107 euro. “Le variazioni tariffarie di questo ultimo trimestre ci consegnano un 2019 in cui i costi energetici hanno mantenuto una sostanziale stabilità nel medio periodo – afferma il presidente dell’Arera, Stefano Besseghini – anche a fronte degli interventi sugli oneri che hanno caratterizzato la prima parte dell’anno”.Il caro bollette, denuncia Uecoop, l’Unione europea delle cooperative, rischia di dare il colpo di grazia a quasi 1,4 milioni di persone sopra i 65 anni che in Italia si trovano in uno stato di grave deprivazione materiale senza potersi pagare un pasto completo o le bollette di luce e riscaldamento. L’aumento delle tariffe pesa sulle fasce più deboli della popolazione come gli anziani, spiega Uecoop, mentre per la Coldiretti a risentirne saranno in generale i conti delle famiglie e i costi delle imprese.
“Con l’aggiornamento delle tariffe luce e gas disposto oggi dall’Autorità per l’energia, la spesa delle famiglie per le bollette energetiche sale complessivamente nel 2019 di +18 euro a nucleo familiare rispetto allo scorso anno (+7 euro l’elettricità, +11 euro il gas)”. Lo afferma il Codacons, commentando le nuove tariffe comunicate oggi da Arera.A pesare sull’incremento delle bollette degli italiani è tuttavia la tassazione eccessiva che vige sulle fatture di luce e gas – denuncia il Codacons.
Luce e Gas: Mercato Libero dell’Energia
“Oggi su ogni bolletta del gas, tra imposte e oneri di sistema, si paga il 43% di tasse, mentre sull’elettricità la tassazione è pari al 35,6% – afferma il presidente Carlo Rienzi – Questo porta le bollette energetiche degli italiani ad essere più salate del 20% rispetto alla media Ue. Evidenziamo inoltre come gli incrementi tariffari del gas scattino in concomitanza con i maggiori consumi delle famiglie in vista del periodo invernale, aggravando le conseguenze per i consumatori”.
Per il Codacons “le nuove tariffe disposte da Arera, infine, smentiscono clamorosamente i dati forniti pochi mesi da una associazione dei consumatori che, in modo del tutto sconclusionato, aveva parlato di risparmi record per gli italiani nel corso del 2019, risparmi in realtà inesistenti come dimostrano le variazione odierne disposte dall’Autorità”.
“Con i nuovi reattori e le nuove tecnologie, rispetto alla scelta fatta con il referendum di 40 anni fa, noi, senza se e senza ma diciamo che l’Italia paga l’energia il 40% in più dei propri competitor, e questo è un elemento che incide negativamente sulla competitività. Il nucleare mi pare una scelta obbligata se vogliamo tornare competitivi nel medio lungo periodo”. Lo ha detto il presidente di Confindustria Emanuele Orsini, intervistato da Myrta Merlino nel corso dell’assemblea generale di Confindustria Veneto Est, a Padova. Secondo Orsini, per tornare a produrre energia dal nucelre in Italia “nella migliore delle ipotesi servirà un decennio. Occorre però cambiare la narrazione sul nucleare e guardare con favore alla Newco fatta da Ansaldo, Leonardo ed Enel: vuol dire che l’Italia c’è”.
“Le industrie italiane ed europee sono quelle che emettono meno a livello mondiale – ha detto Orsini – in rapporto al Pil che produciamo che è il 15% secondo i dati Onu contribuiamo alle emissioni per un valore che secondo le stime è molto più basso, tra il 3 e il 5% delle emissioni mondiali. Ed allora mi pare difficile sostenere che dobbiamo sacrificare un intero comparto, importantissimo per l’economia europea, com’è quello dell’automotive per ridurre di un ulteriore 0,5%”.
L’economia europea ha il fiato corto e a risentirne è l’euro che scivola ai minimi da due anni rispetto al dollaro di fronte alla doccia fredda degli indici Pmi, una misura del grado di fiducia dei responsabili agli acquisti delle imprese. Il biglietto verde, da parte sua, continua ad avanzare, e non solo rispetto alla moneta unica, sull’onda della vittoria di Donald Trump alle ultime elezioni presidenziali. E lo stesso fa il Bitcoin, che prosegue il rally e supera i 99.300 dollari, ormai diretto verso la soglia dei 100.000 grazie alla sostegno del nuovo presidente americano alle criptovalute e all’idea di un regolamentazione più benevola. Il pmi composito dell’eurozona, finito a novembre a 48,1 (contro le attese che lo davano a 50), complice il calo inaspettato nei servizi più ancora che nell’industria manifatturiera, ha frenato le Borse del Vecchio Continente nella prima parte della giornata.
Non ha aiutato la revisione al ribasso del Pil della Germania, cresciuto nel terzo trimestre solo dello 0,1% rispetto ai tre mesi precedenti. A far scattare le vendite sull’azionario hanno contribuito le scommesse del mercato su un taglio deciso dei tassi, di 50 punti base, alla prossima riunione Bce per dare ossigeno alle economie della zona euro in una scenario ormai di stagnazione: bassa crescita e inflazione non ancora sotto controllo. La prospettiva di tassi di interesse più bassi ha avuto l’effetto di far calare i rendimenti dei titoli di Stato a partire dal Bund tedesco, sceso al 2,23%. Quello dell’Oat francese è diminuito al 3% e del Btp italiano al 3,5%. Lo spread si è allargato intanto sopra i 126 punti base.
Le Borse europee hanno invece rialzato la testa nell’ultima parte della seduta sulla scia di Wall Street, spinto dal Pmi composito negli Stati Uniti, arrivato a 55,3 meglio delle stime a conferma di un’economia in crescita. A fine giornata il maggior rialzo lo ha messo a segno Londra (+1,38%) indifferente agli indici Pmi del Regno Unito, anch’essi in flessione. Ha fatto tutto sommato bene anche la Borsa di Francoforte (+0,92%) malgrado i brutti dati Pmi e il Pil deludente. Parigi ha registrato un guadagno finale dello 0,52% malgrado anche nella seconda maggiore economia dell’eurozona gli indici Pmi siano stati sotto le attese. Meglio intonata Piazza Affari (+0,6%) malgrado abbiamo perso terreno le banche, in sintonia con i big del credito spagnoli Santander e Bbva penalizzati dalla decisione del governo di Madrid di aumentare la tassa sugli extraprofitti. Con l’effetto di far segnare alla Borsa del Paese solo un timido +0,39%.
L’euro in serata si è confermato debole col cambio sul dollaro a 1,042, ai minimi da novembre 2022. Che la Bce si prepari a nuovi tagli dei tassi d’interesse nei prossimi mesi, di fronte a un target d’inflazione al 2% che dovrebbe essere raggiunto a metà 2025, lo ha detto anche il presidente della Bundesbank Joachim Nagel, spiegando che i dati Pmi di oggi confermano lo scenario di stagnazione dell’economia tedesca. Nel complesso, visti i Pmi, difficilmente la situazione avrebbe potuto rivelarsi peggiore, è l’opinione condivisa dagli analisti secondo cui il settore manifatturiero dell’eurozona sta affondando sempre più nella recessione. Dopo due mesi in lieve crescita anche il settore dei servizi inizia poi a essere in difficoltà. E non c’è troppo da stupirsi considerato la confusione politica delle maggiori economie dell’area: il governo francese si muove su un terreno instabile e la Germania è alle prese con le elezioni anticipate. A tutto questo si aggiunge Donald Trump e la minaccia concreta di nuovi dazi sulle importazioni. Alle aziende europee non resta che navigare a vista.
La crescita dell’Italia si mantiene moderata e quest’anno sarà sotto l’1%, con un deficit in calo al 4,6% e un debito che invece sale. L’analisi di Moody’s (nella foto Imagoeconomica in evidenza) mostra come i fondi del Pnrr continuano a sostenere le prospettive dell’Italia. Ma per il Belpaese sarà “impegnativo” spendere tutte le risorse disponibili dal programma entro il 2026 anche perché la spesa è stata finora inferiore al previsto. “Tassi di interessi elevati e un potenziale di crescita di circa lo 0,8% richiederanno un ampio aggiustamento fiscale per raggiungere e mantenere avanzi primari in grado di stabilizzare il debito”, afferma Moody’s annunciando il completamente della revisione del rating dell’Italia che, precisa, “non è un’azione sul rating e non è un’indicazione” sulle future decisioni sul rating. L’Italia ha al momento un rating Baa3 con outlook stabile.
“In un contesto di tassi di interesse più elevati, l’aumento del potenziale di crescita e gli avanzi primari saranno fondamentali per evitare un significativo aumento del debito”, aggiunge Moody’s spiegando come la riduzione del deficit – al 3,5% nel 2025 e al 3% nel 2026 – “non sarà sufficiente” per un calo del rapporto debito-pil in seguito agli effetti del Superbonus. L’agenzia prevede che il debito italiano salirà al 139,7% del pil nel 2024 dal 134,8% del 2023 e continuerà a salire fino al 2027 a oltre il 143%. I risultati ottenuti dall’Italia nell’attuazione del Pnrr sono “contrastanti”: l’Italia è stato il primo paese dell’Ue a chiedere le ultime tranche di finaziamento e “prevediamo che la settima tranche sarà richiesta entro la fine del 2024. Tuttavia la spesa di queste risorse è stata inferiore al previsto e la spesa totale dei fondi disponibili entro la fine del 2026 sarà impegnativa”, mette in evidenza ancora Moody’s. L’agenzia potrebbe alzare il rating nel caso di fossero prove di una crescita sostanzialmente più forte: “un miglioramento del potenziale di crescita contribuirebbe a mettere il debito su una chiara traiettoria discendente”. Il rating invece potrebbe essere rivisto al ribasso se “anticipassimo un significativo indebolimento della forza economica e di bilancio dell’Italia”.