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E’ morto Vittorio De Scalzi, fondatore dei New Trolls

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E’ morto all’eta’ di 72 anni Vittorio De Scalzi, fondatore dei New Trolls. Ad annunciarlo la famiglia, con un post sulla sua pagina Facebook: “Vittorio De Scalzi ci ha lasciato, ha raggiunto la sua Aldebaran. Grazie a tutti per l’amore che in tutti questi anni gli avete dimostrato. Continuate a cantare a squarciagola ‘Quella carezza della sera’…lui vi ascoltera’”, scrivono Mara, Amanda e Alberto, citando i titoli del brano e dell’album Aldebaran, pubblicati dal gruppo nel 1978, e della celebre hit dello stesso anno”. Il funerale in forma laica si terra’ lunedi’ 25 luglio alle 18 nella sede del Club Tenco a Sanremo.

Polistrumentista, compositore, cantante, Vittorio De Scalzi nasce a Genova il 4 novembre 1949. Negli anni ’60 fonda i Trolls con Pino Scarpettini, incidendo il 45 giri ‘Dietro la nebbia’. Nello stesso anno debutta come solista, con ‘Vietato ai maggiori di pochi anni’, utilizzando lo pseudonimo Napoleone. Nel 1967, chiusa l’esperienza dei Trolls, fonda i New Trolls con Nico Di Palo, Gianni Belleno, Giorgio D’Adamo e Mauro Chiarugi. Con la collaborazione di Fabrizio De Andre’ e del poeta Riccardo Mannerini compone i brani del primo album dei New Trolls, il concept album ‘Senza orario senza bandiera’. Firma poi molte canzoni di successo del gruppo, da ‘Visioni’ a ‘Una miniera’, a ‘Quella carezza della sera’, affiancando alla passione per il rock progressivo la ricerca sulla musica tradizionale genovese. Con i New Trolls – sciolti nel 1997 – pubblica dodici album e partecipa a sette edizioni del Festival di Sanremo, ma collabora anche con Sergio Bardotti, Mina, Ornella Vanoni, Anna Oxa. Nel 2021 vince il premio Tenco come artista dell’anno e pubblica un cofanetto celebrativo della sua carriera, Una volta suonavo nei New Trolls. Nel 2022 appare nel docofilm ‘La nuova scuola genovese’, scritto e ideato da Claudio Cabona, che mette a confronto i rapper come Izi, Tedua, Bresh, Nader, Disme, Guesan, Vaz Te’ e Ill Rave, protagonisti della nuova scena musicale, genovese con la generazione di cantautori che li ha preceduti.

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Francesco Spano si dimette dopo dieci giorni da Capo di Gabinetto del Ministro della Cultura

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Il mandato di Francesco Spano come Capo di Gabinetto del Ministro della Cultura, Alessandro Giuli, è durato appena dieci giorni. In tarda mattinata, Spano ha rassegnato le dimissioni, come anticipato dal Fatto Quotidiano, a causa delle pressioni politiche che hanno seguito la sua nomina al posto di Francesco Gilioli e in vista di un’inchiesta di Report che andrà in onda domenica prossima. La trasmissione, condotta da Sigfrido Ranucci, ha annunciato un servizio su due nuovi casi Boccia legati al Ministero della Cultura, circostanza che ha accelerato la decisione di Spano di lasciare il suo incarico.

Nel presentare le dimissioni, Spano ha scritto una lettera al Ministro Giuli, ringraziandolo per la fiducia riposta e spiegando che la decisione è stata frutto di una “sofferta riflessione” a causa del “contesto venutosi a creare”, che ha comportato anche “sgradevoli attacchi personali”. Nella sua lettera, Spano sottolinea come questi attacchi gli abbiano tolto la serenità necessaria per svolgere al meglio il ruolo. “Nell’esclusivo interesse dell’Amministrazione, pertanto, ritengo doveroso da parte mia fare un passo indietro”, si legge nella missiva.

Il Ministro Alessandro Giuli ha accolto le dimissioni “con grande rammarico”, spiegando di averle “respinte più volte” nei giorni precedenti. “A lui va la mia convinta solidarietà per il barbarico clima di mostrificazione cui è sottoposto in queste ore”, ha dichiarato Giuli, esprimendo stima e gratitudine per la professionalità e l’umanità dimostrate da Spano.

Le polemiche intorno alla nomina

Spano era stato nominato lo scorso 14 ottobre dopo che Giuli aveva allontanato Gilioli, una decisione che ha causato malumori all’interno di Fratelli d’Italia e la reazione negativa del Presidente del Senato, Ignazio La Russa. In particolare, la scelta di Spano è stata contestata a causa di un precedente risalente al 2017, quando Spano, all’epoca a capo dell’Unar (Ufficio governativo per le discriminazioni razziali), fu criticato per alcuni finanziamenti concessi a un’associazione Lgbt. Allora, per evitare ulteriori polemiche, Spano si dimise.

Le critiche sono riemerse con forza nei giorni successivi alla nomina, alimentate da una campagna mediatica condotta da testate vicine alla destra, tra cui La Verità e giornalisti come Francesco Borgonovo, Mario Giordano e Nicola Porro, sostenuti da associazioni Pro-Vita, che hanno persino lanciato una sottoscrizione per chiedere le dimissioni di Spano.

Le tensioni interne e la goccia finale

Le tensioni sono state evidenti anche all’interno delle chat di Fratelli d’Italia, dove si sono verificati episodi di omofobia, come nel caso del coordinatore del Municipio IX di Roma, Fabrizio Busnengo, che ha utilizzato insulti omofobi contro Spano. Busnengo è stato successivamente espulso dalla chat e si è dimesso dal suo ruolo.

La goccia che ha fatto traboccare il vaso sarebbe stata l’anticipazione di Sigfrido Ranucci su due nuovi casi Boccia che coinvolgerebbero il Ministero della Cultura, aggravando ulteriormente la situazione di Spano. Alla luce di tutto ciò, Spano ha deciso di evitare un “massacro mediatico” quotidiano e fare un passo indietro.

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Attentato alla sede della Turkish Aerospace Industry: almeno 10 morti, conflitto a fuoco e presa di ostaggi in corso

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Un violento attentato ha colpito la sede della Turkish Aerospace Industry vicino ad Ankara, causando almeno 10 morti. Fonti locali confermano che l’area dell’impianto è teatro di un conflitto a fuoco ancora in corso e di una presa di ostaggi. La situazione resta estremamente critica, con le forze di sicurezza turche che stanno cercando di riprendere il controllo della situazione.

Secondo quanto appreso  da fonti informate, nell’area dell’impianto sono presenti anche 8 tecnici di Leonardo, la nota azienda italiana operante nel settore aerospaziale e della difesa. Le fonti rassicurano che i tecnici sono al sicuro e stanno bene, nonostante la gravità della situazione.

La Turkish Aerospace Industry è un punto nevralgico per l’industria aerospaziale turca e internazionale, e l’attacco potrebbe avere importanti ripercussioni non solo sul piano della sicurezza, ma anche economico e geopolitico. Le autorità turche non hanno ancora rilasciato dettagli ufficiali sugli autori dell’attentato o sugli sviluppi in corso.

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Esteri

Hezbollah rivendica l’attacco alla casa di Netanyahu

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Un movimento senza più capi, e con le milizie decimate dalla potenza di fuoco dai raid israeliani, continua a ostentare forza e capacità di resistenza. Così Hezbollah ha rivendicato l’attacco con un drone di sabato scorso sulla residenza privata di Benyamin Netanyahu a Cesarea, che effettivamente ha raggiunto l’edificio provocando danni, come è emerso dalle immagini pubblicate dai media israeliani. Il premier israeliano non c’era, ma il Partito di Dio ha avvertito che ci saranno ancora “notti e giorni” per riprovarci. E lo ha fatto con un atto pubblico di sfida, durante una conferenza stampa, a cui l’Idf ha risposto con una serie di raid proprio nella roccaforte sciita nel sud di Beirut, che ha anche sfiorato un ospedale e ucciso 18 persone.

Sullo sfondo, la guerra (per il momento) a distanza tra lo Stato ebraico e l’Iran, che ha portato all’arresto di un nuovo gruppo di spie di Teheran, stavolta palestinesi, che operavano a Gerusalemme est. Soltanto oggi la censura militare israeliana ha autorizzato la pubblicazione della notizia del raid contro la casa di Netanyahu, ed i media hanno pubblicato una foto che mostra i danni: alberi spezzati e una vetrata in frantumi, che sarebbe quella della camera da letto. Hezbollah si è assunto la “piena ed esclusiva responsabilità per l’operazione che ha preso di mira il criminale di guerra Netanyahu”, ha dichiarato Mohammad Afif, responsabile delle relazioni con i media del movimento libanese. Un modo per non tirare dentro l’Iran, che in questo momento non vuole provocare ulteriormente Israele, e allo stesso tempo per sottolineare che le milizie sciite libanesi hanno ancora tante risorse per continuare la propria lotta nel sud del Libano.

La conferenza stampa, affollata di giornalisti, è stata però interrotta bruscamente perché i caccia israeliani hanno iniziato a bombardare il quartiere, Ghobeyri, secondo quanto hanno riferito i media libanesi. Il sud della capitale libanese, come il resto il Paese, da lunedì sera è stata bersagliata da un’intensa serie di attacchi, che secondo l’Idf hanno preso di mira le installazioni militari di Hezbollah. In uno di questi raid, tuttavia, i proiettili sono caduti fuori dall’ospedale universitario Rafik Hariri. Il bilancio è di almeno 18 morti, tra cui quattro bambini, e 60 feriti, secondo le autorità sanitarie locali. Dall’altra parte del confine le milizie sciite hanno rivendicato il lancio di razzi contro la Galilea, le alture del Golan e fino a Tel Aviv, contro una base del Mossad. Anche Haifa, la principale città nel nord di Israele, è stata presa nuovamente di mira: la versione di Hezbollah è quella di un attacco con droni contro una base militare. Negli ultimi giorni Unifil è stata risparmiata dal fuoco incrociato, ma dal Financial Times ora è emerso che in uno degli incidenti in cui l’Idf ha colpito i caschi blu “si sospetta che abbia utilizzato fosforo bianco, una sostanza chimica incendiaria, abbastanza vicino da ferire 15 peacekeeper”.

A rivelarlo un rapporto riservato “preparato da un Paese che fornisce truppe” alla missione Onu e che è stato visionato dal quotidiano britannico. Tra gli incidenti, si cita anche quello in cui due tank israeliani hanno sfondato il cancello di una base dell’Unifil. Della guerra in Libano hanno parlato Netanyahu ed il segretario di Stato americano Antony Blinken in un faccia a faccia a Gerusalemme, ma il colloquio si è concentrato soprattutto sulla minaccia iraniana. Il gabinetto di guerra non ha ancora dato il via libera all’annunciata rappresaglia contro Teheran per i razzi su Israele del primo ottobre, ma l’intelligence è stata impegnata per smantellare una rete di spie al soldo della Repubblica Islamica.

L’ultima operazione ha condotto all’arresto di sette residenti palestinesi di Gerusalemme est, accusati di aver pianificato l’omicidio di uno scienziato israeliano e un sindaco su ordine di Teheran. In precedenza erano finiti in manette sette israeliani, provenienti da Haifa, che avrebbero spiato basi militari e infrastrutture energetiche. Una guerra in cui anche il Mossad sta giocando benissimo le sue carte: il clamoroso blitz che a fine luglio portò all’uccisione del capo di Hamas Ismail Haniyeh nel cuore di Teheran fu possibile proprio grazie a una soffiata, probabilmente di un esponente del Pasdaran o della sicurezza interna del regime degli ayatollah.

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