Collegati con noi

In Evidenza

È la finale di Khelif: un oro per me e il mondo arabo

Pubblicato

del

Diventata suo malgrado l’atleta più seguita di Parigi 2024, e finita al centro di un dibattito che nulla aveva a che vedere con lo sport e sfociato nella politica e nell’ideologia di genere, Imane Khelif torna domani sera per ciò che veramente conta, e per cui è qui: vincere l’oro olimpico. Se nella finale dei -66 kg riuscirà a battere la cinese Liu Yang, che contro di lei parte sfavorita per quanto visto nelle semifinali, l’attende un trionfale ritorno in patria dove è già un’eroina nazionale, ma sarà anche la vittoria contro i pregiudizi e l’odio social che l’hanno perseguitata in questi giorni prima che divenissero lo stimolo per mettere ancora più rabbia sul ring. Tutta l’Algeria rimarrà in piedi per lei, che salirà sul ring del Roland Garros alle 22.51 per dare al suo paese anche il record di ori vinti in un’Olimpiade, due (c’è già quello della ginnasta Kaylia Nemour) come nei Giochi del Centenario ad Atlanta.

La ragazza vista allenarsi in passato nel centro tecnico della Fpi ad Assisi quando si prepara ci dà dentro, solleva notevoli quantità di pesi, va a mille saltando la corda, non si risparmia proprio. Insomma, fatica molto di più di quanto abbia fatto mercoledì scorso contro la thailandese Suwannpheng, quando per vincere (meritatamente) la semifinale le sono bastati pochi colpi precisi contro un’avversaria che aveva troppo fretta nel farsi sotto e finiva per arrivare a contatto di Imane senza però colpirla, tutt’al più ‘legando’ troppe volte a scapito della spettacolo.

Tecnicamente un brutto incontro, ma bello per quanto accadeva sugli spalti colorati di bandiere algerine e pieni di gente che scandiva costantemente il nome della propria beniamina. Più faticato, e infatti non unanime (4-1), il successo di Liu Yang nel derby cinese con la rivale di Taiwan Chin Nien Chen, anche questo di livello non alto quasi a voler dar ragione a chi sostiene che sei categorie per la boxe femminile alle Olimpiadi sono troppe. In vista dei prossimi Giochi, se il pugilato ne farà ancora parte, il dibattito su questo, e si spera non sulle questioni di genere, riprenderà, intanto tutti questi discorsi a Imane Khelif non interessano. “Ora le critiche mi passano sopra la testa, non ci faccio più caso – le sue parole – perché penso solo al match per il quale sono qui fin dall’inizio: desidero tantissimo quell’oro.

Voglio offrire la vittoria al popolo algerino e a tutto il mondo arabo, che mi sostiene. Quell’oro sarebbe anche la migliore risposta a certe cose che ho sentito. Vorrei anche mostrare il mio talento sul ring e che quello di domani sia un match di alto livello”. Appuntamento quindi al Roland Garros prestato alla ‘nobile arte’, per una serata che ha già fatto registrare il sold out. Intanto è polemica anche per l’altra pugile intersex. La turca Esra Kahhraman Yildiz, così come aveva fatto la bulgara Svetlana Staneva, ha formato con le dita la X simbolo del cromosoma femminile dopo aver perso il suo incontro di semifinale dei 57 kg contro la taiwanese Yu Ting Lin.

Intanto Taiwan ha annunciato una denuncia all’Iba, la federboxe mondiale, per le sue accuse alla Lin. Contro la quale, forse la turca avrebbe fatto meglio a non attaccare in modo disordinato come invece ha fatto, non trovando mai il bersaglio e facendosi colpire d’incontro dall’avversaria di Taiwan, sempre a proprio agio con il diretto destro. Finale quindi meritata per Lin che sabato alle 21.30, nel match per l’oro, non troverà di fronte la super pronosticata filippina Nesthy Petecio (che batté Irma Testa nella semifinale di Tokyo), ma la battagliera polacca Julia Szeremeta, ex karateka, 20 anni e quindi molto meno esperta della taiwanese, dedita anche alla politica locale e soprannominata ‘Athena’ “perché è la Dea della guerra, e a me piace farla sul ring”.

Advertisement

In Evidenza

Giuli si insedia al ministero, ma prima vede la premier Meloni

Pubblicato

del

Ci sono i tanti dossier divenuti caldissimi in una manciata di giorni ad attenderlo sulla scrivania del Collegio Romano, ma Alessandro Giuli, come primo appuntamento nell’agenda di governo da neo-ministro, aveva scritto oggi ‘palazzo Chigi’. Il responsabile della Cultura si presenta poco prima delle 15 nel palazzo del governo dove ha un lungo colloquio con la premier Giorgia Meloni. Un “incontro istituzionale” viene definito il colloquio, durato circa un’ora e mezza. Di una sua presenza nella sede del ministero, invece, non era ancora stata data traccia. Giuli si palesa al portone del Collegio Romano poco prima delle sei: ma ai cronisti che lo attendevano dalla mattina lì davanti nessuna risposta. “Ci sarà modo di parlare di tantissime cose al momento opportuno. Buon lavoro, ci vediamo presto” il suo rapido saluto.

Dal giorno della nomina, d’altra parte, il nuovo ministro ha fatto della discrezione il suo mantra, evitando dichiarazioni, annunci, e persino apparizioni, salvo quella alla Mostra di Venezia lontano dal red carpet e dove ha mantenuto ben serrata la bocca. In silenzio, dunque, sta sbrogliando la questione principale da risolvere, quella dell’organizzazione del G7 della Cultura a Napoli che certamente sarà stato uno degli oggetti di confronto anche nella riunione nella sede del governo. In forse la tappa di Pompei, dove potrebbe svolgersi solo una breve visita. Si sta, intanto, definendo anche la partita della sua successione al museo Maxxi pure se, anche lì, i tempi potrebbero allungarsi un po’ più del previsto. Era infatti attesa per oggi l’indicazione del facente funzione del Presidente in attesa della nomina del successore di Giuli, con la cooptazione del componente più anziano del Cda della Fondazione.

E cioè il medico odontoiatra Raffaella Docimo che però avrebbe fatto un passo indietro, dopo le polemiche sul curriculm da alcuni definito inadeguato, a favore della giornalista Emanuela Bruni. Servirà comunque un passaggio in consiglio di amministrazione e, allo stato, pur se imminente, il cda non è ancora stato convocato. Dopo le proteste di qualche star del cinema, degli operatori, addetti e lavoratori del settore, dei sindacati e delle opposizioni rimane in sospeso anche la questione delle nomine nella commissione “selettivi”, quella che deve scegliere i film a cui concedere una buona fetta di tax credit. I nomi sono stati indicati da Gennaro Sangiuliano prima di lasciare il ministero che ha anche firmato il decreto di nomina che sarebbe però ancora al vaglio degli organi di controllo.

E dunque se Giuli volesse potrebbe ancora metterci mano. Paolo Mereghetti, Valerio Caprara, Giacomo Ciammaglichella, Pier Luigi Manieri, Massimo Galimberti, Pasqualino Damiani, Valerio Toniolo, Manuela Maccaroni, Francesco Specchia, Luigi Mascheroni e Stefano Zecchi sono i nomi che risultano indicati da Sangiuliano. Tra questi quello di Maccaroni sarebbe anche il nome prescelto dalla Regione Lazio per la nomina nel Cda della Festa del cinema di Roma: la presidente dell’Osservatorio per la parità di genere del ministero della Cultura, giurista e cassazionista, sarebbe stata giudicata dal presidente della regione Lazio, Francesco Rocca, adeguata alle competenze richieste. E a proposito di nomine sono arrivate oggi al Ministero una ventina di persone per firmare il loro nuovo contratto di lavoro: sono i vincitori per scorrimento di un concorso per funzionari amministrativi da cui hanno attinto diversi ministeri.

Continua a leggere

Cronache

Al Beccaria il nuovo comandante, ancora in fuga 3 evasi

Pubblicato

del

Proseguono le ricerche dei tre ragazzi evasi ieri dal carcere minorile Beccaria di Milano, due fratelli di 16 e 17 anni accusati di rapina e un altro 17enne in custodia cautelare per tentato omicidio. Tutti e tre i detenuti sarebbero riusciti a fuggire scavalcando il muro di cinta: i fratelli, di origini egiziane, si sono allontanati insieme intorno alle 15.45, il terzo, di Pavia, da solo in serata. Le forze dell’ordine sono in allerta da oltre 24 ore, ma al momento i fuggitivi non sono stati ancora rintracciati. Il più piccolo degli evasi aveva tentato di scappare anche lo scorso giugno insieme a un altro detenuto, ma la sua fuga era durata meno di 12 ore. Entrambi i fratelli, poi, sono stati tra i promotori della rivolta avvenuta nella notte tra gli scorsi 31 agosto e 1 settembre, quando in quattro avevano cercato di evadere, approfittando del caos generato da alcuni incendi appiccati ai materassi. In giornata, come annunciato ieri dal Dipartimento per la Giustizia minorile e di comunità insieme all’arrivo di un’unità di sostegno agli agenti, si è insediato nell’Ipm il nuovo comandante Raffaele Cristofaro.

“Il Beccaria deve essere chiuso e devono essere abolite le carceri per minori”, ha detto l’eurodeputata Ilaria Salis, commentando la situazione “allarmante” in cui versa il carcere minorile di Milano. “Questo è l’effetto del decreto Caivano – ha aggiunto -, che ha ampliato la possibilità di ricorrere alle misure cautelari in carcere per i minorenni”. A chi la accusa di una politica svuota carceri, Salis dice di essere “per costruire nel lungo termine una società che superi il carcere”, favorendo le “misure alternative”.

“E invece di aumentare le fattispecie di reato e le pene – ha concluso – bisognerebbe depenalizzare alcuni reati minori”. Mentre la Fp Cgil Milano esprime preoccupazione, tramite il segretario Cesare Bottiroli, per quello che “non è un luogo sicuro”, con “evidenti limiti strutturali” e “fatiscente”, l’Organizzazione sindacale autonoma polizia penitenziaria (Osapp) chiede alla Corte dei Conti “accertamenti urgenti sul Dipartimento per la Giustizia minorile e sul Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria”, in quanto è “assolutamente incomprensibile” che “l’unica soluzione” individuata per far fronte alle emergenze del carcere “riguardi l’ulteriore invio presso la struttura di unità di polizia penitenziaria per una spesa aggiuntiva di almeno altri 500mila euro”. Stamattina, intanto, è stato catturato Antonio Luzzi, 43 anni, il detenuto evaso dal carcere di Avellino ieri sera intorno alle 20, scavalcando il muro di cinta. Le ricerche durate incessantemente per tutta la notte per rintracciare l’uomo, accusato di furti e rapine, hanno visto impegnate anche decine di pattuglie della polizia penitenziaria.

Continua a leggere

Esteri

Caccia israeliani attaccano in Siria, decine di morti. Ira di Teheran

Pubblicato

del

Israele torna a colpire in Siria. Dopo l’attacco dello scorso aprile al consolato iraniano a Damasco che aveva provocato una risposta senza precedenti di Teheran con droni e missili contro lo Stato ebraico, stavolta i jet dell’Idf hanno colpito nella notte tra domenica e lunedì diversi siti militari nella zona di Masyaf, nella provincia centro-occidentale di Hama, causando decine di vittime e suscitando nuovamente l’ira dell’Iran. Secondo l’Osservatorio nazionale per i diritti umani in Siria, almeno 26 persone sono rimaste uccise nei raid che avrebbero preso di mira, con 14 missili, anche un centro di ricerca che sviluppa armi iraniane, in particolare “droni e missili di precisione”. Tra le vittime identificate, ha aggiunto l’ong con sede a Londra, ci sono 11 miliziani siriani filo-iraniani, 2 combattenti degli Hezbollah libanesi, 4 militari governativi e almeno 5 civili.

I feriti sono almeno 32. Si tratta di “uno dei raid più violenti” condotti da Israele in Siria, ha commentato il direttore Rami Abdel Rahman. L’esercito israeliano, come di consueto, non ha confermato gli attacchi in territorio siriano, mentre Damasco – che ha denunciato la morte di “18 martiri” – ha rivendicato, attraverso l’agenzia ufficiale Sana, di aver “abbattuto alcuni missili” del “nemico israeliano”. Il ministero degli Esteri siriano ha inoltre accusato Israele di “provocare un’ulteriore escalation nelle regione”. Ma è soprattutto Teheran ad alzare i toni nel condannare l’attacco definendolo un atto “criminale” e respingendo le ricostruzioni secondo cui sarebbe stato colpito un sito di produzioni di armi iraniane. “L’affermazione è completamente priva di fondamento”, ha sottolineato il portavoce del ministero degli Esteri, Nasser Kanani, costretto nelle stesse ore a smentire anche le affermazioni dell’Ue secondo cui la Repubblica islamica sta fornendo missili anche alla Russia per la guerra contro l’Ucraina. “I sostenitori del regime israeliano dovrebbero smettere di armare i sionisti”, ha aggiunto il portavoce invitando le Nazioni Unite a “prendere misure più serie contro i crimini barbari del regime sionista”.

Rifiutando di firmare un accordo per il cessate il fuoco a Gaza, ha quindi proseguito, Israele “sta aprendo le porte dell’inferno”. Lo Stato ebraico ha tuttavia già messo in guardia più volte l’Iran dall’espandersi in Siria e dal continuare ad armare e sostenere i suoi nemici diretti come gli Hezbollah libanesi contro i quali l’Idf ha pronto un “piano operativo”. Dal 7 ottobre di un anno fa, infatti, si sono moltiplicati gli scontri al confine nord di Israele con il lancio di razzi da una parte e raid aerei dall’altra. Caccia ed elicotteri israeliani hanno attaccato anche la scorsa notte strutture militari di Hezbollah nel sud del Libano, ha annunciato l’Idf. I miliziani filoiraniani hanno risposto lanciando droni e colpendo un edificio residenziale nella città costiera di Nahariya, senza provocare vittime.

“L’esercito israeliano opera con forza nel nord ed è a un alto livello di prontezza, con piani operativi ghià fatti per qualsiasi missione necessaria”, ha avvertito il capo di stato maggiore, il generale Herzi Halevi, definendo l’attacco a Nahariya “un incidente grave”. Ma mentre l’esercito si dichiara pronto per il fronte nord, cresce ancora in Israele la richiesta al governo di Benyamin Netanyahu di raggiungere un accordo con Hamas per una tregua a Gaza e la liberazione degli ostaggi israeliani ancora nella Striscia.

L’ex ministro Benny Gantz, dimessosi lo scorso giugno dal governo di emergenza nato dopo il 7 ottobre in dissenso con il premier, ha avvertito: “Senza un accordo con Hamas per un cessate il fuoco a Gaza, una guerra con Hezbollah è imminente”. “Ascolto il grido delle famiglie degli ostaggi che hanno perso ciò che avevano di più caro. E sto facendo tutto il possibile per riportare a casa gli ostaggi e vincere la guerra”, ha poi dichiarato Netanyahu, dopo un colloquio teso con Elhanan Danino, padre di uno dei sei ostaggi giustiziati nei giorni scorsi da Hamas.

Continua a leggere

In rilievo

error: Contenuto Protetto