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Cronache

Due anni e nove mesi a Verdini jr per appalti all’Anas

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Due anni e 9 mesi  di patteggiamento con pena convertita ai lavori socialmente utili. E’ quanto ha disposto il gup di Roma nei confronti di Tommaso Verdini, figlio dell’ex parlamentare Denis, coinvolto nell’indagine della Procura di Roma su presunte irregolarità nell’affidamento di commesse all’Anas tra cui una di 180 milioni di euro per il risanamento di gallerie. Un procedimento in cui è coinvolto anche il padre, l’ex parlamentare Denis: per lui è arrivato l’atto di chiusura del procedimento per l’accusa di corruzione.

Nell’udienza di giovedì il giudice per le udienze preliminari della Capitale ha inoltre ratificato il patteggiamento ad 1 anno e 9 mesi (pena sospesa) per l’imprenditore Angelo Ciccotto. La richiesta di patteggiamento di Verdini jr era stata avanzata nel marzo scorso dopo l’ok ottenuto dalla Procura per il rito immediato. Per questa vicenda Verdini jr finì ai domiciliari il 28 dicembre del 2023. Dalle carte dell’indagine emerge il ‘sistema’ che ruotava intorno alla società di lobbing Inver. A quest’ultima, gestita da Verdini e dal socio Fabio Pileri, alcuni imprenditori si sono rivolti per ottenere, in cambio di utilità secondo l’accusa, parte delle ricche commesse della società che si occupa di infrastrutture stradali e gestisce la rete di strade statali e autostrade di interesse nazionale.

Per gli inquirenti siamo in presenza di un “asservimento totale” della funzione in favore degli imprenditori interessati. Secondo l’impianto accusatorio dei magistrati, la Inver ‘facilitava’ una serie di ditte nel partecipare e, grazie all’accesso ad informazioni riservate, vincere appalti con l’Anas, potendo contare su due dirigenti ribattezzati in una intercettazione “i marescialli che presiedono il fortino”, ai quali la ‘cricca’ garantiva avanzamenti di carriera e conferme in posizioni apicali di Anas. In questo meccanismo un ruolo chiave era ricoperto dallo stesso Denis Verdini.

Uno “stratega” che poteva garantire sponde politiche, almeno questo è il convincimento degli inquirenti, per arrivare a dama nell’affidamento degli appalti. Nel capo di imputazione si afferma che “come contropartita della messa a disposizione delle loro funzioni” alcuni indagati “accettavano la promessa di utilità da parte di Denis Verdini, del figlio Tommaso e di Fabio Pileri (socio della società di lobbing Inver con Verdini jr ndr), quelle di Denis Verdini e del figlio consistite nel loro intervento e raccomandazioni in sedi politiche e istituzionali per la conferma in posizioni apicali di Anas o comunque la ricollocazione in ruoli apicali ben remunerati di organismi di diritto pubblico”.

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Quindicenne si impicca: sorella, non si è ammazzata

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“Mia sorella non si è ammazzata. Era troppo intelligente. E non si sarebbe mai fatta trovare in quel modo dai miei che amava”: la sorella smentisce che la 15enne trovata impiccata alla corda dell’altalena due giorni fa a Piazza Armeria (En), si sia tolta la vita. Intervistata dal giornalista di Ore 14, la trasmissione in onda dal lunedì al venerdì su Rai due, la giovane che vive al nord e che è arrivata ieri in Sicilia dopo la tragica notizia, tra le lacrime nega che la adolescente fosse depressa. Sul fatto la Procura di Enna ha aperto un’indagine per istigazione al suicidio. Tra le ipotesi anche quella del suicidio come reazione disperata a un video intimo che la vedeva protagonista che sarebbe stato diffuso o di cui sarebbe stata minacciata la diffusione.

“So di foto fatte a mia sorella e mandate, ma non di immagini fatte da lei. Non si vergognava dei miei e sapeva come affrontare le cose. Non si è ammazzata”, commenta. “Era bravissima a scuola, aveva tutti otto. Se fosse stata depressa il suo rendimento sarebbe calato”, dice la donna. La 15enne il giorno della sua morte aveva avuto una violenta lite a scuola con una coetanea. “Stava per dirne i motivi a mia madre, poi è arrivato mio padre e si è interrotta”, racconta aggiungendo: “le ragazzine la odiavano”.

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Venerdì nero per bus e metro, sciopero di 24 ore

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In arrivo un venerdì nero per chi dovrà spostarsi in città con i mezzi pubblici domani. Scatterà ad inizio servizio, alle 5.30, lo sciopero nazionale di 24 ore di bus, metro e tram, con prestazioni ridotte nelle fasce di garanzia, ossia con l’utilizzo solo del 30% del personale viaggiante. Era dal 2005 che non si programmava uno sciopero senza fasce di garanzia.

Dalle 10.30 è prevista anche una manifestazione davanti al ministero dei Trasporti e delle Infrastrutture a Porta Pia a cui parteciperanno i leader della Cgil, Maurizio Landini, e della Uil, Pierpaolo Bombardieri. Sullo sciopero “abbiamo chiesto buonsenso e che vengano garantite alcune fasce protette per chi deve andare a fare una visita medica, in ufficio, ad accudire un disabile”, ha detto il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Matteo Salvini.

“Il diritto allo sciopero, per carità di Dio, è sacrosanto” ma “nel settore dei trasporti ultimamente sono molto più frequenti che non in passato”, ha sottolineato il ministro. Lo stop è stato proclamato dalla Filt Cgil, Fit Cisl, Uiltrasporti, Faisa Cisal e Ugl Fna “per il rinnovo del contratto nazionale, per la carenza di risorse, per la mancanza di politiche di programmazione, per la riforma del settore e per la salute e sicurezza sul lavoro”.

Sono assicurati i “servizi assolutamente indispensabili” per la generalità degli utenti come collegamenti con porti e aeroporti nonché quelli specializzati di “particolare rilevanza sociale” quali trasporto dei disabili e scuola bus per materne e elementari, spiegano i sindacati. In vista dell’agitazione il Garante degli scioperi era sceso in campo chiarendo che anche in assenza di fasce di garanzia, devono essere comunque “garantiti servizi minimi” di trasporto.

Le fasce orarie sono decise a livello locale e così, ad esempio, a Milano saranno garantite le metro e alcune linee di superficie solo da inizio servizio alle 8:45 e dalle 15 alle 18; a Roma garantite sia le linee A e B della metro sia alcune linee di superficie da inizio servizio fino alle 8:30 e dalle 17 alle 20; a Napoliservizio limitato di bus nelle fasce oraria dalle 6.30 fino alle 9.30 e dalle 17 fino alle 20. È coinvolto nello sciopero anche il personale di Ferrovie del Sud Est, dalla mezzanotte alle 23:59.

Quello di domani sarà il decimo sciopero nazionale nel trasporto pubblico locale indetto da inizio anno dai sindacati di categoria, “praticamente uno al mese”, mentre se si analizzano le proteste indette a livello locale dalle varie sigle sindacali del comparto che hanno incrociato le braccia da un minimo di 4 ore a un massimo di 24 ore, il numero di scioperi da gennaio a oggi sale a 44, con “una media di più di 4 serrate al mese”, denuncia il Codacons.

“L’assenza di fasce di garanzia rende lo sciopero di domani abnorme, coinvolgendo un numero enorme di utenti”, afferma il presidente Carlo Rienzi. “Non contestiamo le ragioni dei lavoratori ma le modalità di attuazione della protesta appaiono più che mai eccessive, perché incideranno direttamente sulla libertà di circolazione dei cittadini, diritto riconosciuto dalla nostra Costituzione, di fatto limitando o impedendo gli spostamenti”, spiega il presidente del Codacons. “Il continuo ricorso allo strumento dello sciopero da parte dei sindacati finisce per rendere i cittadini ostaggi delle organizzazioni dei lavoratori”, sottolinea Rienzi.

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Ucciso e mutilato, ergastolo agli assassini di Mahmoud

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Sono stati condannati all’ergastolo Kamel Abdelwahab, detto Tito, e ad Abdelwahab Ahmed Gamal Kamel, detto Bob, accusati di avere ucciso il loro dipendente Mahmoud Abdallah. L’egiziano di 19 anni era stato trovato senza testa e mani la scorsa estate al largo di Santa Margherita Ligure (Genova). La corte d’assise, presieduta dal giudice Massimo Cusatti, ha accolto le richieste della pm Daniela Pischetola che aveva chiesto anche l’isolamento diurno per 18 mesi. I due (difesi, rispettivamente, dagli avvocati Salvatore Calandra, Fabio Di Salvo e Massimiliano Germinni) sono accusati di omicidio volontario aggravato, occultamento e vilipendio di cadavere. Tito aveva dato la colpa a Bob.

Aveva però ammesso che avevano agito perché il ragazzo, che lavorava per loro nella barberia di Sestri Ponente a Genova, li voleva denunciare per lo sfruttamento lavorativo a cui era sottoposto e per i mancati pagamenti. Prima che la corte entrasse in camera di consiglio, i due imputati hanno fatto spontanee dichiarazioni dicendosi entrambi dispiaciuti per quando successo. “Io sono in Italia da tanti anni, non ho mai avuto problemi. Io sono come Mahmoud, siamo ragazzi, la mia vita è distrutta, con luì non ho mai avuto un bisticcio”, ha detto Tito.

“Ho sempre detto la verità, tutta la verità. Io sono venuto in Italia per lavorare. Sono stato in comunità, ho sempre lavorato finché ho avuto i miei documenti, pure in carcere continuo a lavorare. Mi dispiace molto per la famiglia di Mahmoud. Signor giudice io a lei non ho mai detto bugie, non ho mai incontrato in vita mia un criminale come Tito. Mai i miei occhi hanno visto un criminale come Tito”, ha detto Bob. I carabinieri avevano scoperto che la mattina del 23 luglio, poche ore prima di essere ucciso, Mahmoud aveva ricevuto diverse telefonate da Aly e Bob. In una di queste, il titolare aveva detto alla vittima di andare a Sestri, dove gli avrebbero dato i soldi che gli spettavano come liquidazione visto che voleva andare a lavorare per un barbiere concorrente. Nell’appartamento dormitorio, secondo l’accusa, i due lo avrebbero invece ucciso con un coltello e poi fatto a pezzi con una mannaia comprati poche ore prima in un negozio. Avrebbero poi messo il corpo in un trolley e lo avrebbero portato a Santa Margherita dove avrebbero buttato in mare la testa e le mani per non farlo riconoscere. Il fratello della vittima ha pianto uscendo dall’aula mentre i due imputati sono rimasti impassibili. I legali hanno annunciato che faranno ricorso in appello.

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