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Draghi: uniti per il cessate il fuoco. Biden: serve Europa forte

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Uniti e compatti nel sostegno a Kiev e al popolo ucraino. Ma anche, il messaggio forte che Mario Draghi consegna a Joe Biden, nella ricerca di ogni “canale” utile a portare Vladimir Putin al “cessate il fuoco” e al tavolo del negoziato. Draghi entra alla Casa Bianca accolto dall’ “amico” Joe Biden per la prima volta da quando e’ presidente del Consiglio. I due mostrano quanto sia solida l’amicizia tra Stati Uniti e Italia e quanto si sia rinsaldato l’asse euro-atlantico negli oltre due mesi dall’invasione russa dell’Ucraina. La guerra ha portato a “drastici cambiamenti” in Europa, che si e’ ritrovata ancora piu’ unita, dice il premier italiano. Ma ora l’istanza che avanzano i cittadini italiani ed europei, sottolinea Draghi nei primi minuti nello Studio Ovale, e’ quella di fare finire “macelleria” e “massacri” e di arrivare alla “pace”. Il presidente americano parla di Draghi come di un “buon amico” e loda la capacita’ del primo ministro italiano di “tenere unite la Ue e la Nato”: una Ue forte, riconosce Biden, e’ “nell’interesse degli Stati Uniti”. Ma il ruolo che si vuole ricavare Bruxelles, chiarito dal premier italiano, e’ di mediazione e di ricerca di “negoziati credibili”, senza correre il rischio di alimentare escalation militari. A maggior ragione in questa fase della guerra. Biden pero’ non pronuncia mai la parola “pace” e dalla Casa Bianca osservano: al momento “non vediamo nessun segnale” che la Russia si voglia impegnare per una soluzione diplomatica del conflitto. L’incontro, il terzo bilaterale, avviene “in un altro momento ‘whatever it takes’ per l’Europa con la guerra della Russia in Ucraina che infuria sul suo fianco orientale”, sottolinea il Washington Post a poche ore dalla visita, osservando che i due Paesi (e le due sponde dell’Atlantico), hanno “differenze di vedute” sulla guerra e che in Italia iniziano ad emergere distinguo in particolare sull’invio delle armi. Nel faccia a faccia di oltre un’ora Biden chiede che l’Italia continui a fare la sua parte, come ha fatto finora con una rinnovata “leadership”, sia per sostenere economicamente e militarmente l’Ucraina sia per imporre “costi” sempre alti a Mosca. Il premier porta il messaggio che va ripetendo in tutte le occasioni pubbliche: per l’Italia, e per l’Europa, la priorita’ e’ quella di “cercare la pace”. E in questo senso vanno lette la necessita’ di inasprire le sanzioni e il via libera italiano all’embargo del petrolio, su cui Bruxelles fatica ancora a chiudere una intesa. Entrambi i leader riconoscono che Putin ha fallito nel tentativo di dividerli. All’alleato il premier garantisce una nuova tranche di aiuti economici a Kiev e un impegno maggiore delle forze armate a difesa del fianco est: la missione italiana in ambito Nato, come ha annunciato il ministro della Difesa Lorenzo Guerini in Parlamento, sara’ estesa a breve anche a Bulgaria e Ungheria per “rafforzare la postura di deterrenza e rassicurazione”. Sulle armi, su cui pero’ si moltiplicano i mal di pancia della maggioranza che sostiene il governo a Roma, l’Italia si appresta a valutare un terzo decreto per l’invio di pezzi piu’ ‘pesanti’. Si e’ parlato, tra l’altro, dei semoventi d’artiglieria M109. Non escluso che ci siano anche i blindati leggeri Lince. Altro fronte comune, sui cui Roma chiede il sostegno di Washington, quello degli approvvigionamenti energetici. Gli Usa hanno siglato a fine marzo l’accordo per aumentare di 15 miliardi di metri cubi le forniture di Gnl all’Europa. Una quota andra’ all’Italia che nel frattempo sta implementando la capacita’ di rigassificazione, con una nave che dovrebbe essere operativa gia’ a inizio 2023 e un secondo rigassificatore galleggiante da attivare entro la fine del prossimo anno. In questo quadro, nel medio periodo, gli States potranno giocare (il messaggio che arriva da Draghi) un ruolo “fondamentale”, perche’ le forniture a stelle e strisce al momento si fermano al 10% ma il governo ha tutta l’intenzione di incrementarle per arrivare al 2024 alla piena indipendenza dal gas russo. Ma sul fronte dell’impatto economico della guerra, oltre all’inflazione galoppante che crea problemi in entrambi i Paesi, c’e’ un altro aspetto su cui Draghi continua a puntare l’attenzione, convinto che vada messo al centro e non ai margini dell’agenda internazionale, ed e’ quello della sicurezza alimentare. Nei Paesi piu’ poveri, e in particolare quelli che si affacciano sul Mediterraneo, il conflitto rischia di innescare una vera e propria crisi alimentare, visto che da Russia e Ucraina dipendono gran parte dei rifornimenti di grano e mais.

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La trumpiana Greene lavorerà con Musk e Ramaswamy a taglio costi

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La trumpiana di ferro Marjorie Taylor Greene collaborerà con Elon Musk e Vivek Ramaswamy come presidente di una commissione della Camera incaricata di lavorare con il Dipartimento dell’efficienza. “Sono contenta di presiedere questa nuova commissione che lavorerà mano nella mano con il presidente Trump, Musk, Ramaswamy e l’intera squadra del Doge”, acronimo del Department of Government Efficiency, ha detto Greene, spiegando che la commissione si occuperà dei licenziamenti dei “burocrati” del governo e sarà trasparente con le sue audizioni. “Nessun tema sarà fuori dalla discussione”, ha messo in evidenza Greene.

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Pam Bondi, fedelissima di Trump a ministero Giustizia

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Donald Trump nomina la fedelissima Pam Bondi a ministra della Giustizia. L’ex procuratrice della Florida ha collaborato con il presidente eletto durante il suo primo impeachment. “Come prima procuratrice della Florida si è battuta per fermare il traffico di droga e ridurre il numero delle vittime causate dalle overdosi di fentanyl. Ha fatto un lavoro incredibile”, afferma Trump sul suo social Truth annunciando la nomina, avvenuta dopo il ritito di Matt Gaetz travolto da scandali a sfondo sessuale. “Per troppo tempo il Dipartimento di Giustizia è stato usato contro di me e altri repubblicani. Ma non più. Pam lo riporterà al suo principio di combattere il crimine e rendere l’America sicura.

E’ intelligente e tosta, è una combattente per l’America First e farà un lavoro fantastico”, ha aggiunto il presidente-eletto. Bondi è stata procuratrice della Florida fra il 2011 e il 2019, quando era governatore Rick Scott. Al momento presiede il Center for Litigation all’America First Policy Institute, un think tank di destra che sta lavorando con il transition team di Trump sull’agenda amministrativa. Come procuratrice della Florida si è attirata l’attenzione nazionale per i suoi tentativi di capovolgere l’Obamacare, ma anche per la decisione di condurre un programma su Fox mentre era ancora in carica e quella di chiedere al governatore Scott di posticipare un’esecuzione per un conflitto con un evento di raccolta fondi.

La nomina di Bondi arriva a sei ore di distanza dal ritiro di Gaetz dalla corsa a ministro della Giustizia dopo le nuove rivelazioni sullo scandalo sessuale che lo ha travolto. Prima dell’annuncio, l’ex deputato della Florida era stato contattato da Trump che gli aveva riferito che la sua candidatura non aveva i voti necessari per essere confermata in Seanto. Almeno quattro senatori repubblicani, infatti, si era espressi contro e si erano mostrati irremovibili a cambiare posizione. Il nome di Bondi, riporta Cnn, era già nell’iniziale lista dei papabili ministro alla giustizia stilata prima di scegliere Gaetz. Quando l’ex deputato ha annunciato il suo passo indietro, il nome di Bondi è iniziato a circolare con insistenza fino all’annuncio.

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Da Putin a Gheddafi, i leader nel mirino dell’Aja

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Con il mandato d’arresto spiccato contro il premier israeliano Benyamin Netanyahu, insieme all’ex ministro della Difesa Yoav Gallant, si allunga la lista dei capi di Stato e di governo perseguiti dalla Corte penale internazionale con le accuse di crimini di guerra e crimini contro l’umanità. Da Muammar Gheddafi a Omar al Bashir, e più recentemente Vladimir Putin. Ultimo in ordine di tempo era stato appunto il presidente russo, accusato nel marzo del 2023 di “deportazione illegale” di bambini dalle zone occupate dell’Ucraina alla Russia, insieme a Maria Alekseyevna Lvova-Belova, commissaria per i diritti dei bambini del Cremlino.

Sempre a causa dell’invasione dell’Ucraina nel mirino della Corte sono finiti in otto alti gradi russi, tra cui l’ex ministro della Difesa Sergei Shoigu e l’attuale capo di stato maggiore Valery Gerasimov: considerati entrambi possibili responsabili dei ripetuti attacchi alle infrastrutture energetiche ucraine. Prima di Putin, nel 2011 l’Aja accusò di crimini contro l’umanità Muammar Gheddafi, ma il caso decadde con la morte del rais libico nel novembre dello stesso anno.

Un simile provvedimento fu emesso per il figlio Seif al Islam e per il capo dei servizi segreti Abdellah Senussi. Tra gli altri leader di spicco perseguiti, l’ex presidente sudanese Omar al Bashir: nel 2008 il procuratore capo della Corte Luis Moreno Ocampo lo accusò di essere responsabile di genocidio e crimini contro l’umanità e della guerra in Darfur cominciata nel 2003. Anche Laurent Gbagbo, ex presidente della Costa d’Avorio, è finito all’Aja, ma dopo un processo per crimini contro l’umanità è stato assolto nel 2021 in appello.

Nel 2016 la Corte penale internazionale ha condannato l’ex vicepresidente del Congo, Jean-Pierre Bemba, per assassinio, stupro e saccheggio in quanto comandante delle truppe che commisero atrocità continue e generalizzate nella Repubblica Centrafricana nel 2002 e 2003. Il signore della guerra ugandese Joseph Kony, che dovrebbe rispondere di ben 36 capi d’imputazione tra cui omicidio, stupro, utilizzo di bambini soldato, schiavitù sessuale e matrimoni forzati, è la figura ricercata dalla Cpi da più tempo: il suo mandato d’arresto venne spiccato nel 2005. Tra gli altri dossier aperti e su cui indaga l’Aja c’è l’inchiesta sui crimini contro la minoranza musulmana dei Rohingya in Birmania. Un’altra indagine è quella su presunti crimini contro l’umanità commessi dal governo del presidente venezuelano Nicolas Maduro. E non è solo l’Aja ad aver processato capi di Stato e di governo: nel 2001, l’ex presidente Slobodan Milosevic fu accusato di crimini di guerra, genocidio e crimini contro l’umanità dal Tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia. Arrestato, morì d’infarto in cella all’Aja nel 2006, prima che il processo potesse concludersi.

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